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di Ernesto Bretscher sr.
Nella parola di Dio, troviamo dei principi fondamentali per la nostra vita cristiana, che non possiamo trascurare senza incorrere in gravi pericoli. Rischieremmo addirittura di diventare, senza volerlo, “avversari” di Dio. Uno di questi principi ci viene proposto sin dall’inizio della Bibbia, nel libro della Genesi. Tutti conosciamo il racconto della creazione, e come al termine di ogni giorno, Dio vide che quello che aveva creato “era buono”.
Ma dopo aver creato l’uomo, Egli disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: io gli farò un aiuto” (Gen. 2:18). Voglio sottolineare un fatto: che Dio disse questo quando il peccato ancora non era entrato nel mondo. Faceva parte del piano originale di Dio nella creazione mettere un’altra persona a fianco dell’uomo, perché insieme riflettessero la Sua perfezione. Così gli donò la donna come “aiuto”. Possibile che l’uomo avesse bisogno di aiuto? quando era ancora nel Paradiso?! quando tutto era ancora perfetto?! Ma Dio ha voluto che l’uomo, senza questo “aiuto convenevole”, non fosse completo: lo diventava solo nel momento in cui stava insieme con un’altra persona.
Questo è dunque il piano di Dio, la Sua volontà chiaramente espressa sin dall’inizio della creazione: che l’uomo non sia solo. Come Dio è una Trinità di persone che vivono in perfetta comunione e collaborazione tra loro, così l’uomo è stato creato a Sua immagine e somiglianza per vivere in comunione e collaborazione con Dio e con i suoi simili. “Quel che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché voi siate in comunione con noi; e la nostra comunione è col Padre e col Figlio suo, Gesù Cristo” (1 Giov. 1:3). La volontà di Dio è che siamo in comunione, in rapporto: un rapporto “verticale”, con Dio, e nello stesso tempo un rapporto “orizzontale”, con i nostri simili.
Difficoltà nei rapporti
Quanti credenti trovano difficoltà nel loro rapporto con Dio! Vorrebbero avere comunione con Lui, ma qualcosa lo impedisce. Quando però si va ad indagare sul loro problema, si scopre che la causa è che non hanno comunione neanche con i fratelli. “Chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto” (1 Giov. 4:20). E la difficoltà che hanno ad amare i fratelli e di conseguenza, anche Dio – deriva dal fatto che non amano e non riescono ad accettare neanche se stessi, così come Dio li ha creati (cfr. Mc. 12:31). Se non amo e non accetto me stesso, avrò di conseguenza un atteggiamento critico verso i miei fratelli, e sarò incapace di ricevere l’aiuto che Dio vorrebbe darmi tramite loro. Il risultato sarà che mi ritroverò completamente solo.
In Ecclesiaste 4:9-12, leggiamo di tre benefici dello stare in rapporto e in comunione con altri. Il primo è un frutto maggiore. “Due valgono meglio di uno solo, perché sono ben ricompensati della loro fatica” (v. 9). Due (o più) che lavorano insieme funzionano meglio e ottengono migliori risultati di uno che lavora da solo. Le promesse e le benedizioni di Dio sono per coloro che stanno insieme e che lavorano insieme.
Poi, l’incoraggiamento e il sostegno. “Perché, se l’uno cade, l’altro rialza il suo compagno; ma guai a colui che è solo, e cade, senza avere un altro che lo rialzi!” (v. 10). Quando sbagliamo, quando cadiamo nelle difficoltà e nello scoraggiamento, la volontà di Dio è che ci sia qualcuno al nostro fianco per dirci: “Su, alzati! andiamo avanti!” Quanti ministri di Dio sono stati distrutti, spiritualmente “uccisi”, perché nel momento dei problemi e delle difficoltà, non avevano nessuno per rafforzarli e incoraggiarli!
Il terzo beneficio è lo stimolo reciproco: comunicarsi calore, zelo, il fuoco delle iniziative nuove: “Così pure, se due dormono assieme, si riscaldano; ma chi è solo, come farà a riscaldarsi?” (v. 11). Dio vuole che siamo pieni di zelo per la Sua casa, (cfr. Giov. 2:17); e quando cadiamo nella tiepidezza e nell’indifferenza, abbiamo bisogno di un compagno che stia al nostro fianco per stimolarci di nuovo all’amore e alle buone opere (Ebr. 10:24).
“E se uno tenta di sopraffare colui che è solo, due gli terranno testa; una corda a tre capi non si rompe così presto” (v. 12). La natura stessa ci insegna la stessa lezione: i lupi, per poter sbranare e divorare la loro preda, devono prima isolarla dal resto del branco.
Insieme
In ogni sfera della vita, Dio dice: “Non è bene che l’uomo sia solo”, e questo è vero soprattutto della sua vita spirituale. Essere insieme è una garanzia di vittoria; essere soli dà la certezza della sconfitta. Gesù ci ha dato un esempio, quando ha mandato i suoi discepoli “a due a due” (Mc. 6:7, Lc. 10:1). Egli stesso si è circondato di altri uomini per stare insieme (Mc. 3:14), nonostante tutti i rischi di delusioni, di ferite e di incomprensioni che questa scelta comportava.
In Matteo 18:19, Gesù ci dà questa grandiosa promessa: “Se due di voi sulla terra si accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli”. Dove due di voi si mettono d’accordo – dove stanno insieme, sono uniti insieme – per affrontare qualunque problema o presentare al Padre qualunque richiesta – “qualsiasi cosa”, dice la Scrittura! – otterranno quello che chiederanno. Infatti, dov’è che, secondo la Parola di Dio, Dio “ha ordinato che sia la benedizione”? È là dove “i fratelli vivono insieme” (Sal. 133:1,3). Non “insieme” solo fisicamente, ma insieme in un rapporto di cuore a cuore, di amore e di apertura, in una vera comunione di spirito.
Tanti brani della Scrittura ci esortano a vivere e a lavorare insieme. Per esempio, Paolo scrive ai Romani: “Quando sarò tra voi, ci conforteremo a vicenda mediante la fede che abbiamo in comune, io e voi”. Paolo, il grande, apostolo, sta dicendo in effetti: “Io ho bisogno di voi”! Viene per dare loro qualcosa, ma anche per ricevere qualcosa da loro. Che sia questo l’atteggiamento anche nei nostri cuori quando ci riuniamo: “Io ho bisogno di voi; confortiamoci ed aiutiamoci a vicenda!”.
In 1 Tessalonicesi 5:11, incontriamo lo stesso principio: “Perciò, consolatevi gli uni gli altri, ed edificatevi l’un l’altro, come d’altronde già fate”. Ognuno di noi ha la responsabilità di vegliare sui propri fratelli per consolare, per edificare, per impartire nuovo coraggio, visione e zelo, per rialzare chi cade e dirgli “Andiamo avanti!”. Non è bene che l’uomo sia solo!
Anche in Colossesi 3:16 e Ebrei 3:13 troviamo la stessa esortazione. Quest’ultimo brano è particolarmente significativo perché dice: “Esortatevi a vicenda ogni giorno”. Come possiamo esortarci e ammaestrarci l’un l’altro “ogni giorno”, se ci vediamo soltanto la domenica?! Anche qui, dunque, vediamo che il rapporto che vuole il Signore non è soltanto domenicale o in occasione di qualche conferenza, ma come quelli della chiesa primitiva, quando “ogni giorno … rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme con gioia …” (Atti 2:46).
Guai a chi è solo!
In Ecclesiaste 4:10, troviamo questa parola: “Guai a colui che è solo”. Ma perché l’uomo dovrebbe essere solo? Perché diventa solitario e si mette in disparte? Perché si allontana e “divorzia” da coloro con i quali dovrebbe restare unito? Anche a questo interrogativo, la Scrittura ci dà una risposta.
In Proverbi 18:1, leggiamo: “Chi si separa dagli altri, cerca la propria soddisfazione, e si arrabbia contro tutto ciò che è profittevole”. Egli cerca la propria soddisfazione! Esattamente il contrario di quello che ci ha insegnato Gesù, quando ha detto: “Se uno vuol venire dietro a me, rinunzi a se stesso”! Non solo, ma “… si arrabbia contro tutto ciò che è profittevole”.
È interessante leggere alcune altre traduzioni di questo versetto: “Colui che si separa cerca le sue cupidità e schernisce ogni legge e ragione” (Diodati). Diventa avversario di Dio! Un’altra versione dice: “L’egoista non ascolta che i suoi desideri; egli non si cura dei consigli altrui” (Interconfessionale). O ancora: “Chi si isola cercherà la sua propria brama egoistica; irromperà contro ogni saggezza”. Comprendiamo, dunque, che chi si isola, chi dice “Non ho bisogno di altri, posso fare da solo”, è uno stolto. E una pazzia opporsi alle leggi che Dio ha stabilite!
Non solo è una pazzia, è anche un peccato. “Peccare” siunifica “mancare il bersaglio”, o, come diremmo nel calcio, “tirare fuori porta”. “Peccato! – diciamo – non è andato dentro”. Non bisogna pensare che il peccato sia sempre una cosa grossa: se sbagliamo il tiro anche di poco, ma non centriamo il traguardo di Dio, è peccato. Quanti credenti, perché sono isolati e separati dai loro fratelli, vivono una vita senza alcun senso. Mancano il bersaglio: una vita di peccato!
Problemi di carattere
Un uomo che è solitario, e che desidera rimanerlo, è un uomo con grandissimi problemi di carattere. Il suo universo è tutto centrato su se stesso. E se è un pastore, anche la chiesa, in realtà, gli serve per soddisfare i suoi bisogni personali. Egli vuole “essere qualcuno”, essere considerato, occupare il pulpito, il posto più in vista, ed esercita potere e dominazione sugli altri. Un tale uomo, appena si parla di cercare rapporti con gli altri, si chiude in se stesso perché si sente in pericolo: L’altro potrebbe “rubargli le pecore”! Potrebbe interferire, portare nuova luce nella comunità! Così, anche nella comunità egli inculca una mentalità chiusa, settaria, che rifiuta il contatto e la comunione con gli altri. Quando il ministero è vissuto in funzione di se stessi, è una catastrofe: non si costruisce niente, e la vita è un fallimento completo.
I frutti di un simile atteggiamento sono tensioni, ipocrisie, falsità, timore degli uomini, paura di essere feriti; e tutto questo, chiaramente, impedisce di sviluppare rapporti con gli altri. Anche il ricordo di ferite ricevute nel passato e mai risanate porta ad isolarsi; ma è un modo di proteggere se stessi, quando Cristo ci ha chiamati a morire a noi stessi, a dare anche la nostra vita per le pecore. Non abbiamo il “diritto” di offenderci, di ricordare il male ricevuto, di proteggerci egoisticamente! E un peccato, perché, ricordiamolo, non è bene che l’uomo sia solo, che il ministro sia solo, che la comunità sia sola.
Dobbiamo liberarci, dunque, sia dal “complesso di superiorità – “Non ho bisogno di lui” – sia dal “complesso di inferiorità” che ci porta ad avere paura dell’altro e di temere il confronto con lui e di dissimulare i nostri problemi.
Un pastore mi ha detto un giorno: “Ernesto, devi stare attento. Non permettere mai ai credenti di entrare nella tua famiglia. Non dovranno mai saperlo se hai problemi con tua moglie o con i tuoi figli; non devono vedere le tue debolezze e i tuoi limiti: devi sempre mostrarti un uomo potente e vittorioso!”. Seguendo questo principio, ci chiudiamo nella nostra famiglia e veniamo la domenica mattina con un bel sermone; poi “Arrivederci a domenica prossima”. Ma così la chiesa non si costruirà mai!
Crollo
Nella Scrittura, troviamo il caso di un uomo di Dio che, dopo aver esercitato un ministero potente e glorioso, si è ritrovato improvvisamente con grossi problemi. Elia aveva trionfato sui profeti di Ball: aveva invocato Dio, il fuoco era sceso dal cielo, e tutto il popolo si era prostrato a terra a glorificare Dio. Una vittoria straordinaria, un vero risveglio! E pochi giorni dopo, eccolo nel deserto che si lamenta e chiede di morire (1 Re 19).
Come è potuto arrivare a tal punto? Nel versetto 3, leggiamo: “Elia, vedendo questo (un’altra versione dice “preso da paura”) si levò e se ne andò per salvarsi la vita”. Soltanto perché una donna gli si oppone e lo minaccia, l’uomo di Dio fugge nel deserto! Non c’è nessuno al suo per dirgli: “Su, Elia! Non reagire a questo modo!” Lascia il servo, si inoltra nel deserto, si siede sotto una ginestra e si abbandona alla disperazione. E Dio gli chiede per ben due volte: “Che fai tu qui, Elia?”.
Vediamo qui la tipica reazione uomo solitario che; nel momento della difficoltà, va ad isolarsi ancora di più, troncando anche il piccolo rapporto che ha col suo servo, e dice “Basta! Non ce la faccio più!”.
Fratelli, credo che sulla terra non c’è un servo di Dio – non c’è nessuno tra i miei lettori che sarà chiamato un giorno a servirLo – che non arrivi un giorno a dire, come lui, “Basta! Non ce la faccio più! Non valgo niente: ho sbagliato tutto; mi dimetto dal ministero”. E, se non c’è allora qualcuno al tuo fianco, finisci nel deserto, in preda al senso di inferiorità e alla depressione.
Elia dice al Signore: “Sono rimasto io solo” (v. 10,14). Ma era vero questo? Nel capitolo precedente, Abdia gli aveva detto: “Non hanno riferito al mio signore quello che io feci quando Izebel uccideva i profeti dell’Eterno? Come io nascosi cento uomini di quei profeti dell’Eterno, cinquanta in una e cinquanta in un’altra spelonca, e li sostentai con pane e acqua?” (18:13). Elia, nella sua depressione, aveva una visione distorta delle cose! Quante volte ho sentito queste stesse parole dai servi di Dio: “Sono solo! Non c’è nessuno che mi aiuti!” Ma, che cosa avevano fatto per cercare i loro fratelli? Che cosa avevano fatto per chiedere loro aiuto nel momento del bisogno? “Non è bene che l’uomo sia solo”!
Non importa quante benedizioni, quanta potenza di Dio hai visto manifestarsi: verrà quel giorno in cui qualcosa – una donna, un sassolino, una foglia che cade da un albero! – ti metterà in crisi. E, se non ci sarà qualcuno al tuo fianco, ti troverai nel deserto della depressione e della sconfitta.
Così, Dio ha messo al fianco di Elia un altro uomo: Eliseo. Ed Elia non ha conosciuto più la sconfitta, ma insieme sono andati di vittoria in vittoria.
Riconciliazione
In conclusione, dunque, voglio farvi capire che ogni isolamento, ogni separazione, ogni distacco fa il gioco del Diavolo. Nel Giardino di Eden, Satana è intervenuto per separare l’uomo da Dio e per separare l’uomo e la donna, seminando discordie e reciproche accuse. Ma Gesù è venuto per distruggere le opere del diavolo! Abbandonato da tutti, separato persino da Dio, è morto in croce per ristabilirci in comunione con Dio e l’uno con l’altro. Ha gustato la nostra solitudine, il nostro deserto, perché noi non fossimo più né abbandonati né soli. Ha stabilito le premesse perché potessero compiersi le promesse di Dio: “Egli dà al solitario una famiglia” (Sal. 68:6), e ancora: “L’Eterno sta per consolare Sion, consolerà tutte le sue ruine: renderà il deserto di lei pari ad un Eden, e la sua solitudine pari a un giardino” (Is. 51:3).