SCARICA PDF di questo articolo
di Giovanni Traettino
Parlare del fondamento del cristianesimo significa parlare di Cristo e sostanzialmente dei suoi rapporti con noi.
Egli è – come lo confessa la Chiesa neotestamentaria – Salvatore e Signore – la Sua missione è relativa a queste due funzioni.
Esse sono indicibilmente legate fra loro. Di modo che, chiunque tentasse di scioglierle, predicherebbe un Vangelo a metà. Ed è questa la tragedia di quel messaggio che relativizzando o confinando in un angolo l’annuncio (e la pratica!) della Signoria di Cristo, limita il Vangelo all’annuncio della salvezza personale.
Nessun fondamento solido può essere posto senza la chiara contemporanea affermazione del Cristo come Salvatore e Signore.
Un solo Signore
Ravvedimento, fede in Dio e battesimi descrivono sostanzialmente l’azione salvifica di Dio in Cristo. Ma già lì vi è un rinvio alla contemporanea Signoria del Cristo.
Imposizione delle mani (l’autorità esercitata nel corpo di Cristo!), risurrezione dei morti e giudizio sottolineano il governo e, per così dire, il controllo effettivo che come Signore ha della Chiesa, della morte e della vita. Alleluia!
Il momento del passaggio dal vecchio al nuovo governo, è come fissato e descritto nel fatto del battesimo. Qui la salvezza si risolve nell’ubbidienza che diventa sottomissione attiva all’autorità e al governo di Cristo nella mia vita (“affrancati dal peccato e fatti servi a Dio” Rom. 6:22 per mezzo “dell’ubbidienza che mena alla giustizia” Rom. 6:16 – Romani 6 è il capitolo del battesimo!).
Ma quale è il luogo storico di questa “immersione” e di questa “ubbidienza”? Dove esprimiamo praticamente la nostra resa al governo di Dio nella nostra vita?
E’ Paolo che ci rivela che il nostro battesimo ha da fare con la formazione del Corpo di Cristo (1° Cor. 12:13).
L’immersione (il battesimo) in Cristo è dunque, ipso facto, immersione nel Corpo (1° Cor. 12:12).
Le due cose coincidono. Il corpo diventa il luogo storico dell’immersione, dell’ubbidienza e della morte. “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” Gal. 2:20. E lo Spirito è quello che lo rende possibile (1° Cor. 12:13).
Il Corpo di Cristo
“Potete voi bere il calice che io bevo, o esser battezzati del battesimo del quale io sono battezzato?” Mc. 10:38.
Il calice e il battesimo sono qui associati da Gesù all’annuncio della sua morte.
Il calice, come il battesimo, rinvia alla necessità per ogni uomo di morire, ovvero di negare sé stesso, “facendo offerta di se “ prima di poter entrare a far parte del piano di Dio.
“Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è egli la comunione col sangue di Cristo? Il pane che noi rompiamo, non è egli la comunione col corpo di Cristo? Siccome v’è un unico pane, noi, che siamo molti, siamo un corpo unico, perché partecipiamo tutti a quell’unico pane” (1 Cor. 10:16-17).
La Santa Cena diventa quindi il momento nel quale il corpo di Cristo si riconosce ed è manifestato. Il corpo prende forma attraverso una comunione con la morte (il calice) e con la vita (il pane) (2° Cor. 4:10 “portiam sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo”) di Gesù, rinnovo della morte in me perché sia possibile attingere dalla vita che è nei fratelli “Talché la morte opera in noi, ma la vita in voi” (2° Cor. 4:12).
Una comunità di vita
La partecipazione al calice e al pane è la celebrazione e la riconferma del patto “il nuovo patto” (1° Cor. 11:25) che mi impegna alla comunione totale (sangue e corpo) – possiamo dire all’immersione – col corpo e col sangue del Signore (1° Cor. 11:27). La comunione si fa patto in vista della formazione del Corpo di Cristo. Il nostro rapporto personale col Cristo Salvatore e Signore della nostra vita si fa gesto corale di offerta collettiva al Signore e dell’uno all’altro.
Il corpo di Cristo non è più solo un’immagine o un concetto biologico; è un avvenimento ed una realtà storica e spirituale.
Prende vita come lo strumento storico pensato e ordinato per l’Annuncio della sua morte (1° Cor. 11:26).
Il luogo dell’annuncio della sua morte è il luogo dove ci è dato di esprimere praticamente la nostra obbedienza e sottomissione al Signore, che qui diventa nostro Capo “egli, che è il Salvatore del corpo” (Ef. 5:22).
Qui, i rapporti (il patto) che abbiamo con lui come Signore diventano concretamente misurabili nei rapporti con il corpo. L’uno e gli altri fusi in un’unica realtà spirituale (“Così è Cristo” 1° Cor. 12:12).
Centrale alla nostra riflessione sull’opera che Dio vuole fare nella nostra generazione e prima del ritorno di Gesù è l’insegnamento neotestamentario sul corpo di Cristo, descrizione dei rapporti che devono esserci col Signore e tra i credenti.
Natura e modi di questi rapporti sono stati a lungo trascurati da una certa spiritualità con la conseguente parossistica frantumazione della Chiesa e la quasi totale vanificazione di un insegnamento così centrale alla riflessione del Nuovo Testamento.
Alleanza
Tutte le volte che Dio ha voluto muovere passi decisivi nella storia dell’umanità, lo ha fatto attraverso alleanze. Ciò è vero per l’Antico Testamento. E’ vero anche per il Nuovo. Un nuovo patto.
Non si comprenderanno mai completamente la natura e i modi dell’azione di Dio in questa fase della storia se non alla luce del concetto e delle implicazioni dell’alleanza che Egli ha stabilito con noi in Cristo.
Essa è descrizione della natura del suo impegno con noi, e del livello di impegno necessario tra di noi.
Attraverso la conversione noi entriamo in un Patto che ci impegna col Capo e con i fratelli alla stessa maniera.
I rapporti tra membri del corpo di Cristo e con Cristo vanno intesi in questi termini. Una sola alleanza.
Sottomissione
“Prendete bene nota che Stana non ha timore che predichiamo la parola di Cristo, ma è atterrito dal fatto che ci assoggettiamo all’autorità del Signore” (Watchman Nee, Autorità Spirituale).
L’altra chiave per intendere i nostri rapporti col Signore della vita è l’ubbidienza o, meglio, la sottomissione. Egli è il Signore nella mia vita (Giac. 4:7) comporta necessariamente la mia sottomissione ai fratelli (Ef. 5:21) e la mia sottomissione alle autorità, nel corpo anzitutto (Eb. 13:17) e poi ovunque siano presenti nella realtà della mia vita quotidiana.
Il principio dell’AUTORITA’ nella Scrittura è profondamente legato alla VITA, anzi a Dio, come AUTORE di tutte le cose.
AUTORITA’ è dunque tutto quello che partecipa dell’azione creatrice e preservatrice di Dio nella storia.
E quindi Dio stesso, Cristo, il Corpo di Cristo, i ministeri e i doni di governo da Lui ordinati in esso, la famiglia, il padre, i magistrati, ecc.
Nel Corpo di Cristo noi siamo chiamati a fare la rivoluzionaria esperienza di questa autorità rinnovatrice, che ci riconcilia con l’immagine del Padre e con quella delle autorità terrene.
I ministeri di Efesini 4
I ministeri di apostoli, profeti, evangelisti, pastori e dottori sono essenzialmente quelli che Dio ha ordinato nella Chiesa per rendere possibile la crescita, il perfezionamento e l’unità dei cristiani.
Essi partecipano del servizio e della signoria di Cristo. Sono l’espressione concreta della paternità di Dio per il suo popolo.
Dobbiamo comprendere che è solo attraverso rapporti orizzontali (fraterni) e verticali (filiali) profondamente impegnati nel Corpo di Cristo che possiamo riscoprire la nostra vera identità in Dio.
L’ecclesiologia non è una variabile indipendente dal discorso cristologico.
Il regno di Dio è teocratico anche nel senso della sua esperienza pratica qui ed ora per noi.
Errata è una lettura del sacerdozio universale intesa come devo rispondere solo a Dio. Dissolverebbe di colpo ogni rispetto per qualsivoglia autorità, compresa quella del pastore.
La verità del sacerdozio universale, che fonda il principio della libertà e responsabilità del credente di fronte a Dio deve essere intesa e vissuta nel contesto della signoria di Cristo oggi sul Suo Corpo, che è la Chiesa.
Pastorato e discepolato sono solo la pratica di questo principio.