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di Geoffrey Allen
Capita spesso, nelle chiese e nelle assemblee pentecostali e carismatiche, di sentire qualcuno che parla ad alta voce in altre lingue, seguito subito dopo da un altro (o, talvolta, dalla stessa persona di prima) che ne dà “l’interpretazione”, praticamente indistinguibile da una profezia.
La domanda che vogliamo esaminare è: È biblico questo tipo di manifestazione? È a questo che allude la Parola di Dio quando dice, a proposito dei doni dello Spirito Santo, “a uno è data, mediante lo Spirito … diversità di lingue e a un altro, l’interpretazione delle lingue” (1° Cor. 12:8-10)?
Prima di procedere, sarà importante notare che spesso la nostra lettura della Bibbia, e la nostra prassi nella chiesa, sono influenzate più dall’abitudine e dalla tradizione che non dalla Parola di Dio.
Un esempio: prima che scoppiasse il movimento pentecostale/carismatico (ma per molti cristiani, anche per lungo tempo dopo), era dato per scontato che l’utilità del parlare in altre lingue fosse quello di poter predicare il messaggio del Vangelo agli stranieri sul campo di missione, senza averne studiato le lingue. Tale convinzione era basata su una lettura superficiale del capitolo 2 degli Atti degli Apostoli, ma non regge a uno studio più attento.
Infatti è evidente che in quell’occasione non c’era necessità di tale miracolo, dal momento che poi l’apostolo Pietro poté predicare a tutti quanti contemporaneamente in una lingua compresa da tutti (presumibilmente il greco o l’aramaico). Non solo, ma i 120 discepoli “cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro di esprimersi”, prima dell’arrivo della folla di Giudei e di proseliti “di ogni nazione che è sotto il cielo” (Atti 2:4-5).
È evidente, allora, che stavano facendo la stessa cosa che è descritto anche nella 1° lettera ai Corinzi: “Chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio” (14:2). Infatti essi furono uditi “parlare delle grandi cose di Dio” (Atti 2:11); in altri termini, lodarLo e “raccontare tutte le sue meraviglie” (cfr. Sal. 26:7. ecc.). Solo che in quell’occasione, per una disposizione divina particolare, alcune delle lingue che essi parlavano furono riconosciute dalla folla che accorse poi a vedere cosa fosse quel rumore del vento celeste.
Per quel che riguarda l’interpretazione delle lingue, anch’io, quando sono entrato in contatto con gente carismatica che aveva esperienza dei doni – che per me, invece, era un territorio completamente inesplorato – ho accettato senza discussione che sapevano quel che dicevano e facevano. Quando mi hanno spiegato che un parlare in lingue in pubblico, seguito dall’interpretazione (1° Cor. capp. 12 e 14), diventava equivalente a una profezia, e udivo nelle riunioni manifestazioni di questo genere, ho dato per scontato che questo era ciò che insegna la Parola di Dio.
Solo più tardi, leggendo uno studio biblico sull’argomento e, come i Bereani, “esaminando le Scritture per vedere se le cose stavano così” (vedi At. 18:11), mi convinsi che anche questa interpreta-zione è completamente priva di fondamento biblico. Cercherò ora di dimostrarlo.
Parlare in lingue
Cominciamo dall’affermazione di Paolo in 1° Corinzi 14:2-3: “Chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio … Chi profetizza, invece, parla agli uomini …” L’affermazione non è qualificata. L’apostolo non dice: “Chi parla in lingue non parla agli uomini, tranne quando lo fa in pubblico e le sue parole vengono interpretate”. No, l’apostolo Paolo – il quale, ricordiamo, sapeva ciò che scriveva in quanto si vanta: “Parlo in altre lingue più di tutti voi” (v.18) – non fa eccezioni, ma dice in termini assoluti: “Chi parla in altra lingua … parla a Dio”; in altre parole loda, ringrazia, benedice, talvolta, magari, intercede … ma prega.
Ciò è confermato nei versetti successivi (1° Cor. 14:16-17) quando, con riferimento a chi parla in lingue pubblicamente nella riunione della chiesa, senza che le sue parole vengano interpretate, prosegue: “Se tu benedici Dio soltanto con lo spirito, colui che occupa il posto come semplice uditore come potrà dire “Amen!” alla tua preghiera di ringraziamento, visto che non sa quello che tu dici? Quanto a te, certo, tu fai un bel ringraziamento; ma l’altro non è edificato …”.
Anche nei vv.13-14, non si parla di “messaggio” o di “profezia” in altre lingue, ma di preghiera: “Chi parla in altra lingua preghi di poter interpretare; poiché, se prego in altra lingua, prega lo spirito mio, ma la mia intelligenza rimane infruttuosa. Che dunque? Pregherò con lo spirito [espressione che qui equivale a dire “in altre lingue”], ma pregherò anche con l’intelligenza; salmeggerò con lo spirito, ma salmeggerò anche con l’intelligenza …”.
Ma – obietterà qualcuno – Paolo non dice forse che, se il parlare in lingue viene interpretato, allora diventa l’equivalente di una profezia? “Chi profetizza è superiore a chi parla in altre lingue, a meno che egli interpreti, perché la chiesa ne riceva edificazione” (v.5).
Sì, è vero che, secondo questo brano, le lingue interpretate valgono quanto una profezia, quanto al loro valore per edificare la chiesa. Ma non dice, né lascia intendere, che il contenuto sia quello di una profezia. Qui non si tratta affatto la questione dei contenuti, ma quella del valore ai fini dell’edificazione. Non possiamo dunque concludere da questo versetto che chi parla in lingue nella chiesa stia “profetizzando” in una lingua sconosciuta.
Altra obiezione: al versetto 21, l’apostolo scrive: “È scritto nella legge: “Parlerò a questo popolo per mezzo di persone che parlano altre lingue e per mezzo di labbra straniere; e neppure così mi ascolteranno, dice il Signore”“. Quindi – si sostiene – Dio parla al Suo popolo anche attraverso chi parla in altre lingue: in una parola, profetizza.
Questo brano è di difficile interpretazione; ma due cose sono chiare nella spiegazione che ne dà Paolo subito dopo. Egli infatti scrive: “Quindi le lingue servono di segno non per i credenti, ma per i non credenti; la profezia, invece, serve di segno non per i non credenti, ma per i credenti” (v.22). Questo parlare in lingue, dunque, non è equivalente alla profezia, anzi è posto in contrasto con essa. E non si rivolge alla chiesa, bensì ai non credenti!
Le manifestazioni nelle assemblee
Cosa dire, allora, delle manifestazioni che così spesso si sentono nelle chiese e nelle riunioni, di un parlare in lingue seguito dalla “interpretazione/profezia”? Dobbiamo concludere che sono tutte manifestazioni false e ingannevoli?
La mia convinzione personale è che, anche in questo campo, siamo condizionati dalle nostre aspettative. Se in un’assemblea sento qualcuno parlare ad alta voce in lingue, e credo che stia dando una “profezia in lingue”, è naturale che comincerò ad interrogare il Signore per riceverne l’interpretazione, e mi aspetterò di ricevere un messaggio profetico. In quelle condizioni, facilmente potrò captare un messaggio profetico che, magari, lo Spirito Santo da tempo stava cercando di comunicare alla chiesa, senza però trovare nessuno che Lo ascoltasse! Quello che darò sarà, allora, una profezia autentica, ma non l’interpretazione della preghiera che precedentemente si era fatta in altre lingue.
Certo, Dio è sovrano ed è libero di fare tutto ciò che desidera fare: è libero di dare manifestazioni dello Spirito che esulano completamente da quelle descritte nella Bibbia. Ci sono infatti testimonianze di tali manifestazioni anche per quel che riguarda il parlare in lingue: qualche caso di missionari, soprattutto in circostanze di emergenza e di pericolo, ai quali è stato dato di predicare a gente di lingua sconosciuta e di essere compresi (un caso del genere è citato nell’interessante libro di John Sherrill, Essi parlano in altre lingue, ed. EUN).
E non è in dubbio che Dio, se vuole, nella Sua sovranità, potrebbe dare anche “profezie” in altre lingue. Ciò che è chiaro è che non troviamo né esempi né descrizioni di questo nelle Sacre Scritture, e che ordinariamente, chi parla in lingue sta esprimendo una preghiera.
Ne consegue che, quando succede che udiamo qualcuno nell’assemblea il quale, sotto l’unzione dello Spirito Santo, alza la voce e parla in lingue in modo che tutti lo ascoltino, quello che ci aspetteremo di “udire” dallo Spirito Santo quando ci mettiamo in “ascolto” interiore per averne l’interpretazione sarà, non un messaggio profetico indirizzato agli uomini, ma una preghiera – il più delle volte, di ringraziamento, benedizione e lode – rivolta a Dio. E sono sicuro che, quando questa è la nostra aspettativa, è proprio quello che riceveremo, secondo il modello così chiaramente spiegato per noi nella Parola di Dio.