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di Emilio Ursomando
Di solito, quando si pensa all’evangelizzazione, si dà importanza a due cose: la Parola e lo Spirito Santo. Ma c’è anche un terzo fattore indispensabile – l’uomo – ed è questo il tema che voglio trattare. L’evangelizzazione infatti – come ogni forma di servizio a Dio – dipende più da quello che è dentro di noi che non dall’esteriorità.
Si pubblicano tanti libri che parlano di potenza, di strategie, di tecniche per moltiplicare, ma pochi che parlano dell’importanza di essere “uomini secondo il cuore di Dio”. Gesù, nei quaranta giorni passati con i discepoli durante i quali “si presentò vivente con molte prove, facendosi vedere da loro per quaranta giorni, parlando delle cose relative al regno di Dio” (Atti 1:3), deve aver parlato loro, credo, non solo della potenza che sarebbe sceso su di loro, ma soprattutto di come diventare uomini sui quali lo Spirito Santo potesse scendere e rimanere.
Attorno a noi vediamo tanta gente smarrita, indifferente nei confronti di Dio, che vive per cose vane che prima o poi la deluderà, e pensiamo che forse il mondo di oggi sia diverso rispetto al passato, che il Vangelo non avanzi perché le esigenze dell’uomo siano cambiate. Ma secondo le Scritture, né il mondo né i bisogni dell’uomo cambiano. Se dunque non vediamo manifestato il regno di Dio, il problema sta in noi.
Il buon pastore
Nell’Antico Testamento, il profeta che portava la Parola di Dio fungeva da “postino di Dio”: riceveva la parola del Signore e la trasmetteva al popolo. Ma, nonostante portasse la parola di Dio, il popolo non si è mai raccolto attorno a lui. Questo è stato vero di tutti i grandi profeti quali Mosè, Isaia o Ezechiele.
Quando invece compare Gesù, il Profeta per eccellenza, le cose cambiano. È venuto l’Uomo che Dio aveva preparato fin dal principio, che ha formato per trent’anni, ed Egli è stato capace finalmente di raccogliere attorno a sé le pecore disperse d’Israele. I peccatori stanchi, smarriti e confusi, che da tempo aspettavano la visitazione di Dio, si raccolgono attorno a Lui. Gesù non solo porta la Parola: è Lui stesso l’incarnazione della Parola.
Ora Gesù – senza nulla togliere alla sua divinità – non ci ha portato la salvezza come “dio”, ma come uomo; altrimenti non ci sarebbe speranza per noi di poter seguire le sue orme. Noi siamo stati salvati grazie alla fedeltà di un Uomo, ed è un Uomo che è ora seduto alla destra del Padre. Al battesimo di Gesù, che aveva camminato con il Padre in quanto uomo come un figlio obbediente, il Padre pronuncia una straordinaria testimonianza: “Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto” (Matteo 3:17). E ora, dice Paolo, “la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio” (Romani 8:19). Le masse non aspettano né un profeta né un evangelista, ma qualcuno che sia capace di mostrare il volto del Padre.
In Giovanni capitolo 10 troviamo la testimonianza di Gesù riguardo a se stesso: “In verità, in verità vi dico che chi non entra per la porta nell’ovile delle pecore, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Ma colui che entra per la porta è il pastore delle pecore. A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le proprie pecore per nome e le conduce fuori. Quando ha messo fuori tutte le sue pecore, va davanti a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Ma un estraneo non lo seguiranno; anzi, fuggiranno via da lui perché non conoscono la voce degli estranei … Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore” (Giovanni 10:1-5,11).
Ecco la risposta, io credo, a tanti nostri fallimenti: le pecore non seguono chi non è come Gesù. Riconoscono le parole, ma non la voce. Per un po’ potranno essere ingannati, ma poi, avvicinandosi di più all’uomo in cui pensavano di vedere Dio, si accorgono che non è quello che avevano pensato e fuggono lontano.
La Parola, lo Spirito e il messaggero
Predicare la Parola è indispensabile: non possiamo vanificarne l’importanza! Gesù riferiva tutto alla Scrittura, e anche l’apostolo Paolo scrive: “Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? E come potranno sentirne parlare, se non c’è chi lo annunzi?” (Romani 10:14). Se parliamo di noi stessi, le pecore non potranno convertirsi a Cristo. Se invece comunichiamo la Parola di Dio, i cuori si riscaldano e riconoscono la Parola di Dio, così come è successo ai discepoli sulla via di Emmaus.
Anche l’opera dello Spirito Santo è indispensabile: nessuno può convertirsi senza il suo intervento. Ogni uomo deve essere convinto di peccato, di giustizia e di giudizio per opera dello Spirito Santo. Abbiamo bisogno inoltre della franchezza che lo Spirito Santo ci infonde e che ci libera dalla viltà della nostra vita naturale.
Ma non bastano la predicazione della Parola e l’opera dello Spirito Santo per ottenere risultati consistenti nell’evangelizzazione. Spesso le persone rimangono indifferenti o addirittura resistono alla Parola che predichiamo, la quale, come ben sappiamo, è capace di portare tante benedizioni nella vita dell’uomo! Ma … si oppongono veramente alla Parola? C’è un terzo elemento che esercita un’influenza notevole, e che è capace di annullare la potenza della Parola e dello Spirito: l’uomo. Come in una reazione chimica, se uno degli elementi non è della qualità adatta, la reazione non si realizza.
Talvolta ci illudiamo che per fare l’opera di Dio sia sufficiente essere nati di nuovo e riempiti di Spirito Santo. Non è così. Per trent’anni Dio ha preparato il suo Uomo. Gesù, “pur essendo in forma di Dio, spogliò sé stesso” (Filippesi 2:6-7). Si è annullato totalmente, non solo per diventare simile all’uomo, ma al punto di diventare servo dell’ultimo degli uomini, e da qui deriva la sua facilità nel trattare anche con gli ultimi. Non la pienezza dello Spirito, ma la formazione dell’uomo ha prodotto il frutto dell’amore del Padre in Lui. Spesso noi invece non amiamo gli uomini. Si infiltrano nella nostra evangelizzazione altri spiriti che guastano il profumo di Cristo e le pecore, pur avvertendo il profumo di Cristo, avvertono anche gli altri odori e si allontanano da noi.
Anche Giovanni Battista fu formato, vivendo trent’anni nel deserto. Dio avrebbe potuto formarlo nella comodità di casa sua, ma Giovanni ha dovuto imparare a vivere nella rinuncia. Perciò, quando è comparso l’Uomo più grande di lui, egli non ha difeso il suo ministero, non ha protestato, ma ha detto: “L’amico dello sposo … si rallegra vivamente alla voce dello sposo … Bisogna che egli cresca, e che io diminuisca” (Giovanni 3:29-30). Non doveva rinunciare a niente perché aveva già rinunciato a tutto. Quando lo scambiavano per Elia o addirittura per il Cristo, la sua risposta era sempre lo stesso: “Non lo sono … non lo sono … sono una voce che grida nel deserto” (Giovanni 1:21-23): non era importante che la voce avesse un nome. Così anche noi possiamo misurare il progresso dell’opera di Dio nella nostra vita guardando la nostra capacità di riconoscere un altro più grande di noi.
Ecco l’Uomo
Quando Gesù si è mosso in mezzo alle pecore, anche i suoi nemici sono rimasti conquistati. Molti non Lo seguivano solo perché avevano paura; ma più tardi, negli Atti degli Apostoli, leggiamo che “anche un gran numero di sacerdoti ubbidiva alla fede” (Atti 6:7). Anche i soldati – uomini addestrati per essere privi di ogni sentimento di tenerezza e di compassione – quando furono mandati ad arrestarlo tornarono indietro dicendo: “Nessuno parlò mai come quest’uomo!” (Giovanni 7:46). I loro cuori erano stati toccati, ma non tanto da quello che Gesù diceva quanto da quello che era.
Parlare dunque dello spirito dell’evangelizzazione significa parlare dell’uomo interiore, delle nostre attitudini e motivazioni: perché serviamo Dio? perché preghiamo? perché digiuniamo? La Parola ci rivela che le nostre motivazioni sono talvolta impure. Possiamo pregare e digiunare per diventare o per apparire qualcosa, o evangelizzare per avere delle pecore intorno a noi; ma così Dio non potrà servirsi di noi, né introdurremo i nostri seguaci nella vera vita di Dio.
Dio, tramite il profeta Malachia, ammonisce il suo popolo: “Badate al vostro spirito e non siate sleali” (Malachia 2:16). Prima che a quello che facciamo o diciamo, dobbiamo badare a quello che siamo, a quella parte di noi che solo Dio conosce. Egli può dire di te: “In questo figlio mi sono compiaciuto”? Isaia, parlando profeticamente del Messia, dice: “Respirerà come profumo il timore del Signore” (11:3). Per Gesù, fare la volontà del Padre, fino ad abbracciare la morte in croce, era come odorare un profumo: non se ne lamentava come un peso. Quelli che entrano e escono continuamente dalla sua presenza non saranno in grado di portare le anime al Signore: dobbiamo imparare a dimorare alla sua presenza se vogliamo portare frutto.
Spesso attribuiamo a Satana la responsabilità degli scarsi risultati che otteniamo nell’evangelizzazione. Ma la Parola di Dio è categorico: Gesù ha spogliato i principati e le potestà! Il nostro problema perciò non viene dall’esterno, ma è dentro di noi. È un principio fondamentale che la nostra evangelizzazione porta l’impronta del nostro spirito.
Lo spirito sbagliato
Voglio elencare dunque alcuni atteggiamenti del nostro spirito che guastano l’evangelizzazione.
- Lo spirito di giudizio e di condanna. È molto frequente nell’evangelizzazione. Il fatto è che noi non amiamo i peccatori! Il nostro modo di esprimerci nelle nostre case lo dimostra chiaramente: parliamo del governo, dei corrotti, dei delinquenti con parole di amore, oppure di giudizio? Se uso parole dure di condanna, non potrò improvvisamente cambiare e predicare sulla piazza o in TV con parole d’amore a persone che non amo. Le pecore riconosceranno che quella non è la voce di uno che le ama.
Infatti, all’inizio usiamo parole dolci nei confronti del peccatore che stiamo evangelizzando. Invitiamo la prostituta: “Vieni a Gesù!”. Ma se non risponde, alla fine pensiamo – anche se non lo diciamo apertamente – “Ti sta bene andare all’inferno!” Questa è ipocrisia! Dio vede che mettiamo la maschera dell’amore, ma che in realtà non abbiamo imparato ad amare le anime. Le pecore non ci seguiranno se non le amiamo; e forse è un bene, perché dove le porteremmo? “Guai a voi – disse Gesù agli scribi e ai farisei – perché viaggiate per mare e per terra per fare un proselito; e quando lo avete fatto, lo rendete figlio della geenna il doppio di voi” (Matteo 23:15).
Un giorno, mentre Gesù era in cammino verso Gerusalemme, manda i discepoli a cercare alloggio in un villaggio samaritano, ma gli abitanti non vogliono riceverLo. Subito i discepoli chiedono a Gesù di poter far scendere il fuoco dal cielo per distruggerli. Si manifesta lo spirito che è dentro di loro: avevano capito la potenza di Dio, ma il loro cuore non era in ordine. Gesù li sgrida severamente. Quando emergono simili reazioni nel nostro cuore, dobbiamo sapere che ciò che proviene dal nostro spirito, non dallo Spirito Santo.
Riproduzione
Dio si serve dell’uomo anche nel processo di riproduzione spirituale. La nuova nascita di un’anima è prodotto dall’intervento dello spirito di Dio, ma anche del nostro spirito. L’unione tra due persone, di cui una sana e una malata, può produrre un bambino malato. Dio è sano, ma per produrre figli spirituali sani anche noi dobbiamo guarire delle malattie del nostro spirito per assomigliare a Gesù.
Gesù lo ha detto chiaramente: “Un estraneo non lo seguiranno”. È inutile studiare l’abbigliamento, le luci, l’intonazione della voce, le espressioni del viso per attirare le pecore: esse seguiranno solo chi ha lo spirito del Buon Pastore. Gesù non aveva niente che lo distinguesse degli altri, almeno finché taceva. Giuda Iscariota ha dovuto dare ai soldati un segnale per farLo riconoscere: “Quello che bacerò, è lui” (Matteo 26:48). Ma quando apriva la bocca, le pecore che Lo ascoltavano lasciavano il sentiero in cui si erano smarrite e Lo seguivano, perché lo Spirito del Signore era su di lui.
Quando Gesù si avvicina a Gerusalemme, nonostante sappia ciò che tiene in serbo per Lui – che la stessa folla che lo avrebbe un giorno acclamato, poco dopo avrebbe gridato: “Crocifiggilo!” – piange per la città. E noi, sappiamo piangere per chi ci respinge? oppure tuoniamo parole di giudizio e di condanna? Gesù avrebbe potuto dire: “Io sono l’Unto di Dio, vi farò pagare per quello che state per farmi”, ma, invece, piange. Anche le parole pronunciate sulla croce sono parole di profondo amore: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Luca 23:34). Gesù, il buon Pastore, dava la sua vita per le pecore, anche per quelle che lo stavano respingendo.
- Il secondo spirito, molto simile al primo, è lo spirito dell’indifferenza. Spesso i cristiani evangelizzano “per dovere”, perché la Bibbia dice che bisogna farlo e si sentono in colpa se non lo fanno. Ma non amano i peccatori come li ama Dio.
Le pecore, accorse a migliaia per sentire la predicazione di Gesù, dopo una lunga giornata hanno fame. I discepoli, indifferenti, propongono di mandarli via. Molte volte l’indifferenza nel nostro cuore impedisce che accadano miracoli intorno a noi. I miracoli di Gesù non nascevano dal desiderio di dare spettacolo, ma dal suo amore per le pecore. Infatti, spesso Gesù raccomandava alle persone guarite di non parlarne con nessuno: era l’amore che Lo portava a compiere la guarigione, non il desiderio strumentale di pubblicizzare il suo messaggio.
Gesù dice: “Molti mi diranno in quel giorno: «Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in nome tuo e in nome tuo cacciato demoni e fatto in nome tuo molte opere potenti?» Allora dichiarerò loro: «Io non vi ho mai conosciuti»” (Matteo 7:22-23). Il miracolo non è dunque garanzia dell’approvazione di Dio, né tanto meno di un ministero apostolico. I segni che si cercano maggiormente oggi sono il miracolo e il numero. Ma ci sono anche dei guru indiani che fanno miracoli e raccolgono tanti seguaci: non sono certo loro i pastori delle pecore!
Amore, non religione
Il cieco Bartimeo, sentendo che tra poco Gesù passerà di lì, riconosce che è venuta un’occasione unica per lui. Forse già altri erano passati di là, ma questa volta egli sa che questo è uno che non resta indifferente, che si fermerà al suo grido. Conoscendo dunque la voce del Pastore, egli grida: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!” Le persone non ci faranno conoscere i loro bisogni più profondi se avvertono in noi l’indifferenza e il distacco professionale. Nessuno dirà: “Abbi pietà di me!”, se non sente nell’altro la capacità di avere compassione. Anche questa volta, i discepoli intervengono dicendo al cieco di non disturbare il Maestro. Ma Gesù ha sentito il grido di Bartimeo e lo guarisce (Marco 10:46-52).
Nella parabola del buon Samaritano, Gesù dà uno schiaffo morale a tutto il popolo d’Israele. Il sacerdote e il levita – i servi di Dio! – non conoscono l’amore di Dio, e Gesù propone loro come esempio il disprezzato estraneo al popolo di Dio. Recentemente ho sentito un messaggio in cui si disprezzavano le opere e si esaltava la fede. Attenzione! Dio ha manifestato il proprio amore attraverso le sue opere. Una fede che ci toglie l’espressione dell’amore, non è la fede di Dio. Dio cerca persone che sappiano amare.
In Amos 6:6 troviamo il rimprovero di Dio a un popolo che gode di tutte le sue benedizioni: “Bevono il vino in ampie coppe e si ungono con gli oli più pregiati, ma non si addolorano per la rovina di Giuseppe. Perciò ora andranno in esilio …” Anche nell’Apocalisse leggiamo il rimprovero di Gesù alla chiesa di Laodicea che si ritiene ricca e crede di non avere bisogno di nulla; lo Spirito la vede invece povera, nuda e cieca. Il messaggio è chiaro: chi non è in grado di soffrire per gli altri è prigioniero del proprio egoismo. Talvolta sono proprio le sane dottrine che ci rendono insensibili verso il prossimo che Dio ama. Ma chi non ama è povero e cieco, e un cieco non può guidare un altro cieco; un povero non ha da dare agli altri. Le pecore non seguiranno chi è indifferente.
- Poi, c’è lo spirito del proselitismo. Spesso è questo a spingerci a evangelizzare. Lavoriamo come muli a montare e smontare le tende, ma quello che ci spinge è l’interesse: vogliamo superare quell’altro pastore che ha duecento pecore mentre noi ne abbiamo solo cinquanta. Difficilmente le pecore potranno riconoscere Gesù in questo spirito. L’apostolo Paolo, dopo tanti anni di ministero insieme con vari collaboratori, scrive di Timoteo: “Non ho nessuno di animo pari al suo che abbia sinceramente a cuore quel che vi concerne. Poiché tutti cercano i loro propri interessi, e non quelli di Cristo Gesù … Accoglietelo dunque nel Signore con ogni gioia e abbiate stima di uomini simili” (Filippesi 2:19-20,29).
Attraverso il profeta Zaccaria, Dio chiede al suo popolo, triste e avvilito nei digiuni: “Quando avete digiunato e fatto cordoglio … avete forse digiunato per me, proprio per me?” (7:5). Gesù dice dei Farisei: “Essi amano pregare … agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini … si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. Io vi dico in verità: questo è il premio che ne hanno” (Matteo 6:5,16). Questo tipo di preghiera e di digiuno non può avere efficacia presso Dio.
Il Salmista mette in luce un’altra causa del fallimento nell’evangelizzazione: “Se nel mio cuore avessi tramato il male, il Signore non m’avrebbe ascoltato” (Sal. 66:18). Se il mondo non viene nella casa di Dio, dobbiamo vedere se il motivo non è in noi stessi, nel nostro peccato e nella nostra incredulità.
Malvagità
Un uomo che aveva un figlio gravemente malato e tormentato chiama i discepoli di Gesù, ma essi non riescono a guarirlo. Così il padre si rivolge a Gesù e, con una fede ormai vacillante, gli chiede se può fare qualcosa per suo figlio, visto che i suoi discepoli non vi sono riusciti. Poiché Gesù ama il ragazzo, avviene un grande miracolo. Ma poi, rivolgendosi ai discepoli, egli dice: “O generazione incredula e perversa! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando vi sopporterò?” (Matteo 17:14-18). Dentro di noi c’è una natura incredula e perversa proveniente dalla nostra nascita naturale, un cuore naturale che cerca il proprio appagamento e che si manifesta anch’esso nella nostra evangelizzazione. Ma è l’uomo nuovo, il figlio di Dio rigenerato che deve evangelizzare.
“La creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio”, scrive Paolo (Romani 8:19). In tutta l’umanità c’è un desiderio della Parola di Dio. Le persone non hanno problemi con la Parola di Dio: ma quello che può annullare questa sete, far affievolire questo desiderio e confondere le menti è l’elemento umano. Le pecore si avvicinano, conoscono lo spirito e si allontanano di nuovo. Questo è il motivo che porta molte persone a lasciare la chiesa. Ci sono, è vero, coloro che vengono solo per essere assistite e quelli che vagano senza meta, ma vengono anche le “pecore”. Poi vedono che la pecora e la capra nella casa di Dio litigano fra di loro e invece di essere mansuete sono orgogliose. La pecora, timida per natura, si spaventa e scappa via in cerca di un altro pastore. Molti credenti che cambiano chiesa, in realtà stanno solo cercando la pace. Le persone non cercano dottrine, ma pace: un luogo dove Gesù sia presente ed eserciti il suo principato di pace.
- Il quarto atteggiamento che guasta l’evangelizzazione è lo spirito d’incredulità. Mosè era un incredulo: mansueto sì, ma anche incredulo: risponde a Dio che gli appare nel pruno ardente: “Ma ecco, essi non mi crederanno e non ubbidiranno alla mia voce, perché diranno: «Il Signore non ti è apparso»” (Esodo 4:1). Dio deve lottare con lui per convincerlo ad accettare la chiamata che gli era rivolta. Alla fine Mosè in apparenza cede a Dio ma, nonostante abbia acconsentito con la bocca, nel cuore continua a nutrire l’incredulità e per questo motivo Dio cerca di farlo morire (Esodo 4:24-26)! Il ministero di Mosè è già in fase calante quando Dio gli dice di dare da bere al popolo e Mosè, per incredulità, disubbidisce. Perciò non è entrato nella terra promessa.
Dobbiamo decidere di sottrarci dallo spirito d’incredulità che regna nella nostra generazione ed entrare nello spirito di fede dei figli di Dio. Gesù aveva fede per la redenzione di tutti, credeva che le anime Lo stavano aspettando, anche i pubblicani e le prostitute. Dio ci ha messo in mano le chiavi del regno di Dio: dobbiamo usarle non per chiudere, ma avere fede per aprire la porta a tutti.
- Il quinto spirito è lo spirito di paura. Questo è forse meno pericoloso, dal momento che è comune a quasi tutti noi … ! Durante le campagne d’evangelizzazione, quando invito i fratelli a venire a dare la propria testimonianza, spesso questi rispondono che “non se la sentono”. È chiaro che dietro questo atteggiamento di paura si nasconde l’orgoglio: si teme di fare brutta figura. Se avessimo la certezza assoluta che la nostra testimonianza convertirebbe qualcuno, la daremmo ben volentieri! Il problema è che io voglio essere glorificato: ecco ciò che si nasconde dietro lo spirito di paura. Chi ha paura, chieda allo Spirito Santo il coraggio di annunciarLo con franchezza, ma anche si ravvede del proprio orgoglio.
- Anche lo spirito del legalismo guasta la nostra evangelizzazione. Propongo un’immagine per spiegare questo concetto: quando Dio metteva il suo popolo in marcia nel deserto, alla sua testa veniva portata l’Arca del Patto. L’Arca conteneva tre oggetti che insieme esprimono ciò che Dio è: le tavole della legge, un vaso d’oro con la manna, e la verga fiorita d’Aaronne. Le tavole della legge rappresentano la legge morale, quella che il mondo sta aspettando, perché non è vero che la gente del mondo vuole peccare. La manna, poi, rappresenta Dio che provvede; e la verga fiorita è segno della vita che Gesù dona a tutti quelli che lo incontrano. Ma, a distanza di tempo – anche se era la stessa Arca a precedere Israele – essa conteneva ormai soltanto le tavole della legge. Non c’era più né la verga né la manna: se n’era andata la fede nel soprannaturale e la freschezza della vita di Dio.
Allo stesso modo l’“Arca” che portiamo avanti nella nostra evangelizzazione, troppo spesso contiene solo le tavole della legge, una legge che si limita a condannare. Gesù riprende i capi religiosi perché avevano annullato il comandamento di Dio (Marco 7:9), facendoLo apparire come un tiranno interessato solo a privare l’uomo della sua gioia. Troppo spesso anche noi scagliamo addosso alle pecore delle tavole di pietra e rompiamo la testa alle persone, mentre Dio invece vuole dare all’uomo una legge morale che rallegra il cuore. Il Salmista esclama: “Oh, quanto amo la tua legge! È la mia meditazione di tutto il giorno” (Salmo 119:97).
Settarismo
- Infine, lo spirito di settarismo. La persona che mi ha evangelizzato non ha parlato di Gesù e del suo amore per me, perché era convinta che non mi poteva amare se pregavo la Madonna e i Santi. Ma lo Spirito mi ha fatto un’altra predicazione, facendomi capire che Cristo era morto per me mentre ero ancora nei miei peccati. Se abbiamo conosciuto questa grazia, come possiamo predicare un vangelo legalista? A volte ci convinciamo perfino che la salvezza ci sia stata data per merito della nostra fede, che diventa un’opera della quale ci vantiamo davanti a Dio. Ma la salvezza è per grazia, non in premio della nostra fede.
Lo spirito settario si può definire in una frase: “Noi, soltanto noi”, che tende a diventare: “Io, soltanto io”! Il settario vive in una cerchia che si stringe sempre di più, e può rimanere alla fine completamente solo, pur all’interno di una chiesa, perché non accetta nessuno che non sia identico a lui. Paolo si oppone a questo spirito dicendo: “Che cos’è dunque Apollo? E che cos’è Paolo? … Voi siete di Cristo” (1° Corinzi 3:5,23). Il settarismo è frutto unicamente della carne. Le sétte nascono dall’egoismo di chi vuole prevalere, e un egoista non può portare un altro egoista a Cristo.
Prima di poter mandare Pietro da Cornelio, Dio ha dovuto lottare contro un atteggiamento settario in lui, nonostante fosse un apostolo. La sua convinzione era basata sulle Scritture, e Dio non cambia la sua Parola, ma voleva rivelare meglio lo spirito di quella Parola. Quando dunque Pietro riceve la visione in cui il Signore gli dice di ammazzare e di mangiare animali di ogni sorte, Pietro si rifiuta categoricamente: la Parola di Dio gli proibiva di mangiare animali impuri! E questo è successo dopo il suo pianto di rimorso … Pietro non era così cambiato come alcuni sostengono! Non è in discussione l’ispirazione della Parola, bensì la differenza tra l’Uomo e gli uomini, tra Gesù e tutti quelli che ministrano nel suo nome. Anche gli apostoli avevano atteggiamenti sbagliati che creavano problemi alla comunità e tra di loro, e anche con loro Dio ha fatto fatica per portare avanti l’opera sua.
Pietro alla fine entra in casa dei Gentili, e quando vede che lo Spirito scende su di loro, risponde con maggior umiltà di tanti pentecostali di oggi i quali, vedendo gli “altri” ricevere lo Spirito Santo, sostengono che ciò viene dal diavolo! Pietro invece si arrende davanti allo Spirito e li riconosce come fratelli. In quell’istante è stato demolito dentro di lui lo spirito settario.
L’albero e il suo frutto
Anch’io, non appena salvato per grazia, sono diventato un settario: sono andato a casa e ho accusato mio padre per la sua idolatria! Come cattolico, avevo assorbito uno spirito anti-evangelico; appena convertito, sono diventato anticattolico. Ma poi ho osservato nella Scrittura che Gesù accoglieva tutti: l’uomo spirituale può stare con tutti senza contaminarsi. Così ho cominciato a cercare il Signore e gli ho chiesto di farmi capire com’ero diventato.
Allora ho avuto una visione nella quale vedevo Gesù con Maria: “Guarda bene”, mi ha detto il Signore. E ho visto che aveva lo stesso naso di Maria. Dio mi ha fatto capire: quando il suo Spirito scende su uno strumento umano, il risultato prende le caratteristiche sia Sue che dello strumento. Nello spirito Gesù era come suo Padre, Dio, ma nel corpo era come Maria. Un’anima nasce dallo spirito del Padre che la rigenera, ma anche dallo spirito della persona che la porta a Dio. Così io ho ricevuto da Dio lo spirito della libertà, ma anche uno spirito settario dalla persona che mi ha parlato di Dio.
Gesù ci dice che l’albero si riconosce dal frutto, non dal giardino in cui è piantato. Le pecore ci riconosceranno da ciò che siamo, non da quello che diciamo. Ci possono essere alberi cattivi in un giardino buono – pensate a Giuda Iscariota in mezzo ai dodici! – e alberi buoni in un giardino cattivo. Dobbiamo cercare in tutti i giardini gli alberi del Signore, non valutandoli con superficialità in base all’etichetta che portano. Là fuori ci sono altri figli di Dio che aspettano di imparare dal Padre. Predichiamo dunque la Parola, siamo ripieni di Spirito Santo, ma soprattutto facciamo attenzione a quello che c’è nel profondo del nostro cuore, alle nostre attitudini e le nostre motivazioni, chiedendo a Dio, come Davide: “O Dio, crea in me un cuore puro” (Salmo 51:10). Amen!