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di Ernesto D. Bretscher
Tutti i cristiani sono d’accordo nel riconoscere in Dio l’autorità suprema. Ma si è sempre dibattuta la questione: per mezzo di chi si esprime tale autorità? Voce di Re, o voce di popolo?
La Chiesa Cattolica ha la sua tesi in merito. Nel mondo protestante invece le posizioni sono diverse: alcuni attribuiscono l’autorità al popolo, altri a un collegio di anziani, altri ancora ad un’unica persona, il pastore. E ognuno riesce a trovare nelle Scritture brani che sostengono la propria tesi. In questo numero vogliamo riflettere su quest’ampia problematica, certamente non di facile soluzione.
La prima di queste posizioni produce comunità con un governo debole o quasi assente, senza obiettivi o motivazioni, perché nessuno è autorizzato a correggere e insistere con la necessaria forza. Non perché non ci siano uomini capaci, solo perché c’è sempre chi non è d’accordo, chi vede le cose in modo diverso, chi teme che l’uno possa elevarsi a spese degli altri. Così, pur di preservare la tranquillità interna, si preferisce andare avanti “come sempre”, settimana dopo settimana e anno dopo anno.
Ma quale futuro hanno comunità così gestite? Quali prospettive di influenzare la propria nazione, di estendere intorno a sé il Regno di Dio o di dare visione alla generazione successiva?
La proposta contraria, che vede racchiusa tutta l’autorità di Dio nell’”unto”, in colui che “ha il ministero” – spesso caratterizzata da una personalità forte – può sembrare talvolta vincente in quanto il conduttore spirituale, se è veramente tale, riesce a stimolare e a motivare, producendo movimento, crescita e sicurezza. E alcune comunità hanno ottenuto certamente grandi benefici da questa forma di governo. Tuttavia esso può presentare alcuni aspetti preoccupanti. Succede troppo spesso infatti che i membri siano portati ad appoggiarsi sull’uomo piuttosto che sul Signore e ad eseguire gli ordini più per timore o per ottenere approvazione che non per convinzione o sincero desiderio di servire il Signore e la Chiesa.
Inoltre, la personalità forte del leader tende spesso a soffocare l’individualità e ogni forma di iniziativa nei membri della comunità. La critica costruttiva finisce per essere vista come ribellione o insubordinazione, un attentato all’autorità della guida. Spesso questa forma di governo produce all’inizio un forte movimento, ma finisce per appiattire e spegnere l’entusiasmo, la sensibilità, la consacrazione e la disponibilità della comunità, provocando una fuoriuscita continua di membri “dissidenti”, spesso profondamente feriti. La Chiesa oggi è piena di credenti smarriti e solitari, spogliati della loro bellezza e ritenuti a torto ribelli, sovversivi e pericolosi solo perché rappresentano con la loro diversità una minaccia per chi si ritiene “l’unto infallibile di Dio” e non sa ascoltare altri che se stesso.
Le denominazioni organizzate hanno di solito un comitato direttivo centrale che dirige l’operato dei singoli pastori locali. Benché le comunità possano ricevere dei benefici da questa forma di governo, che può offrire una comprensione più equilibrata dell’autorità e una linea teologica e strategica più chiara, spesso il governo centrale si trova svantaggiato rispetto a quello locale perché troppo lontano dalle realtà specifiche. Spesso le chiese locali perdono vitalità e visione e finiscono per assestarsi sull’abitudinario.
C’è infine chi propone un governo pluralistico locale, rappresentato da più anziani sotto la guida di un presidente. Oltre a prevenire l’esaltazione di un ministero isolato, l’autoritarismo e l’abuso del potere, questa forma di governo è indubbiamente molto più vicina alle reali esigenze e problematiche locali. Si rivela più atta a cogliere obiettivi e traguardi e più sensibile ai talenti, alla statura e al cammino dei singoli membri. E sembra essere la forma di governo in uso nelle chiese primitive: “Nella chiesa di Antiochia c’erano profeti e dottori: Barnaba, Simeone detto Niger, Lucio di Cirene, Manaen, amico d’infanzia di Erode il tetrarca, e Saulo” (Atti 13:1).
Ma, per quanto una forma di governo della Chiesa sia più vicina al modello biblico o più adatta alle esigenze delle comunità locali, non va dimenticato che è pur sempre rappresentata da uomini che, a seconda del loro grado di maturità, consacrazione e umiltà, sono un veicolo sano oppure viziato dell’autorità delegata da Dio. Siano dunque sempre davanti agli occhi di quanti sono preposti al governo della Chiesa queste parole di Pietro: “Pascete il gregge di Dio che è tra di voi, sorvegliatelo, non per obbligo, ma volonterosamente secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non come dominatori di quelli che vi sono affidati ma come esempi del gregge… E tutti rivestitevi di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili” (1° Pt. 5:2-3,5).