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di Domenico Maselli
Tra i punti fissi della fede cristiana, assume particolare rilievo il millenarismo che, del resto, è presente in molte religioni e filosofie come punto di arrivo della specie umana.
Per quanto riguarda il cristianesimo, il Millennio acquista valore perché è strettamente connesso con la morte e la resurrezione del Cristo.
I discepoli pensavano che Gesù stesse per instaurare il regno in Gerusalemme quando Egli si avviò, la domenica delle Palme, verso l’antica capitale, e fu per loro penosa la sua scelta di morire sulla croce.
La resurrezione riapriva la strada del Regno, e i discepoli chiesero al Risorto: “È questo il tempo in cui tu instaurerai il regno in Israele?” La risposta di Gesù ci ammutolisce: “Non sta a voi sapere i tempi che il Padre ha riservato alla stia propria autorità; quanto a voi, siatemi testimoni a Gerusalemme, in Giudea e fino alle estremità della terra” (Atti 1:7-8). Al posto e in attesa del suo ritorno, Gesù promette loro la discesa dello Spirito Santo, caparra della possibilità di essere testimoni del Regno, già presente dentro di loro, che lo Spirito Santo rende evidente e che sarà manifestato al Suo glorioso ritorno.
La comunità cristiana si trovava fin d’allora nella veste di testimone di una triplice realtà: testimone del Re morto e risorto, testimone del regno seminato in lei e operante per lo Spirito, testimone infine del futuro ritorno del Re che avrebbe manifestato in tutta la Sua gloria le qualità rigeneratrici, anche per la natura, del Regno di Cristo.
Idea dominante
Paolo, nella prima completa descrizione della Resurrezione che si trova in 1° Corinzi 15, chiarifica che tale Regno del Cristo non è definitivo, perché Egli stesso sottometterà ogni cosa al Padre, compreso Se stesso, affinché Dio sia tutto e in ogni cosa. Tutto il Nuovo Testamento è dominato da questa idea. I cristiani costituiscono un popolo appartato di re e sacerdoti, che Dio si è scelto. Nel suo interno vigono già le leggi del Regno, sia per quanto riguarda manifestazioni del potere divino (segni e miracoli), sia per ciò che attiene ad una autentica rivoluzione dei rapporti umani.
Basterebbe pensare a 1° Corinzi 7 per ciò che riguarda il matrimonio e i diritti della donna, la lettera a Filemone per le gerarchie sociali, e così via. Tutto ciò è frenato rispetto al “presente secolo”, le cui autorità rimangono in vigore; contro di loro i cristiani hanno la preghiera al Padre: “Venga il tuo regno”. L’attesa di questa prima generazione è spasmodica e comporta una grande attività di testimonianza e di preghiera.
I Padri Apostolici mantengono la stessa abitudine, come testimonia la preghiera liturgica contenuta nella Didaché (Venga la grazia, passi questo mondo: “Maranhatà!”) e l’intera produzione, purtroppo perduta, di Papia di Gerapoli.
Scelta difficile
Al tempo di Tertulliano, una chiesa cristiana, ormai finanziariamente potente e numericamente cresciuta, viene posta dai Severi, imperatori di Roma, di fronte ad una difficile scelta: da un lato vi è la possibilità di continuare una testimonianza intransigente in attesa del ritorno di Cristo, che si fa attendere, e dall’altra una lenta assimilazione della società greco-romana, accettandone alcuni presupposti ideologici (la filosofia greca) e alcuni condizionamenti pratici (la collaborazione con l’impero).
Tertulliano scelse la prima strada, e fu, tra l’altro, il primo obiettore di coscienza della storia; la chiesa di Roma di Callisto e Zefirino la seconda. Fu così che, per esempio, le dame cristiane collaborarono con Lucio Severo a quel senato femminile che doveva fissare rigidamente il modo di vestire delle varie caste sociali.
Fallito il tentativo di coinvolgimento dei cristiani, operato da Lucio Severo, l’impero per tutto il terzo secolo tentò di distruggere una chiesa che era ormai diventata uno stato nello stato. Alla fine Costantino riprese la linea di Lucio Severo, integrando il cristianesimo nell’impero. Si arrivò a pensare di essere nel millennio, secondo la formula della Sancta Romana Respublica.
In nome di questo accordo furono condannati gli “eretici”, separati da un mondo greco di filosofia, romano di diritto, cristiano di religione, dove la religione non poteva che essere confinata nel campo delle convinzioni personali e delle forme cultuali, senza incidenza sulla società.
La teocrazia papale, tentata da grandi papi di profonda coscienza cristiana come Gregorio VII e Innocenzo III, fallì perché era falsa la premessa che considerava questo mondo come regno di Cristo già manifestato. Se ne accorse Gioacchino da Fiore e da lui trasse nuova vitalità e speranza il movimento pauperistico evangelico del Basso Medioevo, ipotizzando il prossimo avvento dell’età dello Spirito.
Riformatori e Anabattisti
Certamente, la riscoperta della fede individuale indicata da Lutero sulla traccia di S. Bernardo è fondamentale, ma non risolve tre problemi essenziali:
1) Come mai in una società che si dice cristiana vi sia spazio per il Male, per le contrapposizioni economiche e sociali, per l’ingiustizia.
2) L’affermazione di Dio, onnisciente, dopo aver creato l’uomo sulla bontà di questa operazione non avrebbe senso senza un punto di arrivo positivo della intera storia dell’umanità.
3) Gesù aveva promesso il Suo ritorno e Paolo aveva pure dichiarato che la stessa natura attende la manifestazione gloriosa del Cristo e dei Suoi santi.
Per queste tre ragioni gli Anabattisti, portando all’estrema conseguenza il pensiero stesso di Lutero, affermarono che questa società non è cristiana e che pertanto lo stesso battesimo, lungi dall’essere un’immissione in questa struttura sociale, è un atto rivoluzionario, perché è l’ingresso in speranza nel Regno di Cristo che si manifesterà un giorno.
Nella storia della Chiesa vi è sempre stato un gruppo fedele che ha atteso il Regno, finché l’ex gesuita Manuel de Lacunza y Vida, alla fine del Settecento, ha di nuovo riaffermato la grande speranza del Ritorno di Cristo e del Regno millennale, e ha visto nell’apostasia del clero e nel ritorno degli Ebrei in Palestina i segni dell’imminente Parusia.
L’oppio dei popoli?
Si obietta: l’attesa del Millennio non può diventare un alibi per disinteressarsi dell’enorme quantità dei problemi del mondo?
La storia insegna invece che i momenti di massima attesa del ritorno di Cristo coincidono con quelli della massima attività sociale e spirituale della Chiesa.
La Chiesa primitiva, tutta pervasa della attesa della Parusia, riuscì a mettere in crisi lo stesso impero romano; il tredicesimo secolo vide la trasformazione sociale e filosofica portata dai francescani spirituali e dai valdesi. L’intero sistema assistenziale medioevale trae origine dai movimenti che attendevano nel 1260 e negli anni seguenti l’avvento dell’età dello Spirito.
Il XVI e il XVII secolo videro la nascita della moderna democrazia, la tolleranza religiosa, una nuova pedagogia come frutto dei movimenti anabattisti e anticonformisti, che, mentre attendevano Cristo, vivevano al loro interno l’esperienza del Regno, i doni dello Spirito e l’annuncio dell’evangelo.
Lo stesso risveglio del secolo scorso è connesso alla visione di Manuel Lacunza ed ha avuto come caratteristica la lotta contro la schiavitù, l’alcoolismo, il lavoro non pagato dei bambini e delle donne, l’analfabetismo, la diffusione dell’evangelizzazione, accanto ad una ricerca di santificazione.
Come potremmo ai nostri giorni non vedere l’imminenza di una crisi risolutiva? E di un anno fa la grande dichiarazione: pace e sicurezza, seguita alla fine della guerra fredda. L’anno che è seguito è stato il più foriero di guerre, rivoluzioni, torbidi della storia dell’ultimo mezzo secolo. Non è possibile non sentire riecheggiare le parole dell’Apostolo: “Quando diranno: pace e sicurezza, allora una rovina improvvisa verrà loro addosso”(1° Tess. 5:3).
I disastri ecologici ci portano oggi alla considerazione che la sofferenza della natura, provocata dal peccato dell’uomo, è giunta al massimo, e gli sforzi unitari dei cristiani per salvaguardarla sembrano infrangersi contro ostacoli insormontabili e crescenti. L’umanità è sempre più divisa tra ricchi e poveri, e i ricchi sono sempre più benestanti, mentre i bisognosi mancano di tutto.
La predicazione del Regno che viene, lungi dal lasciarci dormire, ci chiama ad essere testimoni viventi e operanti, a dimenticare i nostri piccoli bisticci di fronte all’eccellenza dell’annuncio che dobbiamo far risuonare in tutto il mondo, e a fare vivere al nostro interno i segni premonitori del regno, tra cui l’amore, la potenza di Dio e la sottomissione reciproca.
Vieni, Signore Gesù!