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di Geoffrey Allen
Il re, infuriato, accolse volentieri la proposta di fare strage di quella gente.
Ecco la notizia che lo aveva mandato in bestia: “C’è un popolo appartato, disperso fra i popoli di tutte le province del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo …” (Ester 3:8).
Anche noi siamo “un popolo appartato”, cittadini del Regno dei Cieli che vivono dispersi fra le altre nazioni come “stranieri e pellegrini” (Fil. 3:20, 1° Pt. 2:11). E normale, dunque, che anche noi viviamo secondo “leggi diverse”; ed è normale che questa diversità provochi l’ostilità, addirittura la persecuzione, da parte degli altri fra cui viviamo, che siano questi americani, cinesi, tedeschi… o italiani.
Un simile concetto fu espresso da Gesù con le famose parole: “Voi siete il sale della terra” (Mt. 5:13). Il sale ha un sapore forte. Messo su una ferita, purifica e disinfetta, ma brucia anche. Quando non c’erano frigoriferi e congelatori, il sale veniva usato per conservare i cibi e impedire che andassero a male.
Dobbiamo chiederci dunque: noi abbiamo questi effetti sulla nostra società? O siamo per caso un “sale che è diventato insipido”? Siamo noti ai nostri amici, colleghi e vicini come gente che vive secondo leggi e costumi diversi e migliori di loro? O ci conoscono semplicemente come persone che “seguono un’altra religione?”
Le “leggi” del Regno di Dio, e anche alcune indicazioni sui suoi “usi e costumi”, sono contenute nella Parola di Dio, la Bibbia, e in modo particolare (contrariamente a quanto si potrebbe pensare) nel Nuovo Testamento. Qualcuno ha definito il “Sermone sul Monte” (Matteo capp. 5-7) come “La costituzione e le leggi dei Regno di Dio”. Qui Gesù descrive la mentalità, il comportamento e le reazioni dei cittadini del Regno, cioè di coloro che vivono non secondo la carne ma secondo lo Spirito e che, essendo condotti dallo Spirito, sono figli di Dio (Rom. 8:4,14). È evidente che si tratta di una mentalità e di un comportamento assai diverso da quello tipico di italiani, americani, indiani o cinesi!
La mentalità del Regno
Ritengo di avere personalmente una prospettiva privilegiata sulla questione, come d’altronde tutti gli “immigrati” e gli “emigrati”, cioè coloro che si sono sradicati da una società e da una cultura per trapiantarsi in una diversa. Quanti italiani hanno avuto attriti e incomprensioni con i loro nipoti e cugini americani che venivano in visita da loro senza rendersi conto di queste differenze! Ricordo, per esempio, lo sbigottimento di una nonna italiana quando sua nipote, appena arrivata dagli Stati Uniti, si tolse subito le scarpe e si mise a camminare scalza per la casa!
Ovviamente, molte differenze di abitudini e di comportamenti, come questa, sono “neutrali”, cioè senza implicazioni morali o spirituali. Come cristiani, siamo perfettamente liberi di andare scalzi oppure con le ciabatte! In molti altri casi, invece, dobbiamo mettere in discussione quello che abbiamo sempre dato per scontato perché “lo fanno tutti”, o semplicemente perché non ci è mai venuto in mente che si possa fare diversamente.
Per esempio, quando sono venuto dall’Inghilterra in Italia, ho potuto apprezzare grandemente il valore che la cultura italiana dà all’ospitalità. L’accoglienza che ho ricevuto, a volte, da perfetti sconosciuti, e ancora di più dai fratelli in Cristo, mi faceva sentire davvero un figlio di re! In questo, la cultura e la tradizione italiana sono portatrici di valori molto più biblici della “fredda” Inghilterra, nonostante la sua eredità protestante.
L’altro lato della medaglia, qualcosa che per me è stato difficilissimo accettare e imparare, è, il costume dei “complimenti” e delle “insistenze”. E vero che troviamo anche nella Bibbia tracce di questo tipo di comportamento (vedi la trattativa di Abramo con gli abitanti di Hebron, Gen. 23:3-16), ma notiamo pure che qui Abramo ha a che fare con i Cananei pagani! Quando si tratta invece di relazioni tra credenti, la Parola di Dio ci dice chiaramente: “Il vostro «sì» sia sì e il vostro «no» sia no” (Giac. 5:12). La chiarezza, la trasparenza e la sincerità sono valori del Regno. I “complimenti” (il «no» che significa invece «sì»!) e le piccole bugie convenzionali non hanno posto nel Regno di Dio.
Integrità
Le qualità che caratterizzano i cittadini del Regno e li distinguono dai cittadini del “principato delle tenebre” sono l’integrità, l’onestà e la rettitudine. “… Siate irreprensibili e limpidi, figli di Dio senza macchia in mezzo a una generazione corrotta e perversa, nella quale risplendete come astri nel mondo …” (Fil. 2:15).
Non è di moda, oggi, essere onesti! In genere, chi, come Paolo, si sforza di avere sempre la coscienza pulita (cfr. Atti 23:1, 24:16) passa per “fesso”. Ma la Parola di Dio ci avverte che chi rinuncia a questo sforzo, adeguandosi ai comportamenti dei “pagani” che ci circondano, farà “naufragio quanto alla fede” (1° Tim. 1:19).
Se, ad esempio, il negoziante ci dà per sbaglio troppo resto, glielo facciamo notare con la stessa prontezza che usiamo quando ce ne dà troppo poco? Quando troviamo un oggetto smarrito, facciamo il possibile per rintracciare il proprietario e restituirglielo, come richiedeva già la legge dell’Antico Testamento (Es. 23:4)?
Oppure chi lavora autonomamente, da commerciante o libero professionista, dichiara scrupolosamente tutti i suoi redditi, anche se rischia così di pagare più di quanto la legge stabilisce (perché gli addetti ai controlli di solito danno per scontato che tutte le dichiarazioni sono disoneste)? Ho sentito dei credenti sostenere seriamente che, in questi casi, è legittimo anche per noi dichiarare delle cifre diverse da quelle reali, piuttosto che correre il rischio di soffrire un’ingiustizia.
Ma la Parola di Dio che dice? Se l’alternativa è quella di compromettere la propria coscienza, “perché non patite piuttosto qualche torto? Perché non patite piuttosto qualche danno?”, domanda l’apostolo (1° Cor. 6:7). “Se qualcuno, per motivo di coscienza davanti a Dio, sopporta afflizioni e soffre ingiustamente, ciò è una grazia… Se soffrite perché avete agito bene, e lo sopportate pazientemente, questa è una grazia davanti a Dio. Infatti a questo siete stati chiamati …” (l° Pt. 2:19-21).
Alcuni, forse, non considerano il fatto che chi non paga le tasse ruba, e non allo Stato, quel “mostro impersonale dalle sette teste”, ma al suo vicino più onesto o semplicemente impossibilitato a “barare”, il quale finisce inevitabilmente per pagare più della sua parte delle spese della collettività.
Oppure prendiamo il caso del lavoratore dipendente che, con l’aiuto di un medico compiacente, si fa dare dei giorni di “malattia” quando in realtà è sano come un pesce… magari per dedicarsi all’“opera del Signore”! Anche qui, egli non può giustificarsi davanti a Dio dicendo: “Ma se lo fanno tutti …” Non siamo stati forse chiamati a “non conformarci a questo mondo, ma a essere trasformati …” (Rom. 12:2)? Agli occhi del Signore anche lui è un ladro, uno che prende dei soldi cui non ha diritto.
Anche chi va sul posto del lavoro ma, invece di lavorare, se ne sta tranquillo a leggere il giornale e a prendere il caffè, deve sentirsi ladro quando ritira lo stipendio che non ha guadagnato “lavorando onestamente con le proprie mani” (Ef. 4:28). E lo stesso vale, ovviamente, del datore di lavoro che approfitta dei dipendenti, dando loro uno stipendio da fame e rubando così il frutto del loro lavoro (Giac. 5:4).
Sei un uomo o una donna di integrità morale? Prendi alcuni minuti ora per misurare la tua statura spirituale per mezzo del test riprodotto nelle prossime due pagine.
Rispetto per la legge
Uno degli aspetti più caratteristici della mentalità del mondo moderno – cioè, dello “spirito del mondo” – è il disprezzo della legge e dell’autorità. Anche fra i credenti in Cristo è diffuso questo modo di pensare.
Prendiamo, per esempio, i limiti di velocità. Già sento il coro di proteste: “Ma non li rispetta nessuno!”. Esatto! Ma il fatto che tutti i pagani si comportano in un determinato modo è forse una buona ragione perché noi, il “sale della terra”, dobbiamo imitare il loro esempio?
È vero che, troppo spesso, queste leggi dello Stato vengono applicate in maniera poco seria, talvolta assurda; ed è anche vero che, almeno fino a tempi recenti, neanche le autorità incaricate di far rispettare la legge – vigili, polizia e carabinieri – tentavano seriamente di applicarle. Ma tutto questo è sufficiente giustificazione per prenderle sotto gamba anche noi?
In Romani 13:5, nel brano “classico” della Scrittura sui nostri rapporti con le autorità civili, sta scritto: “E necessario stare sottomessi, non soltanto per timore della punizione (Autovelox e supermulte!), ma anche per motivo di coscienza”.
Quanto è sensibile la nostra coscienza? È come quella di Davide, “l’uomo secondo il cuore di Dio”? Quando egli, odiato e perseguitato senza avere fatto niente di male, fu costretto a fuggire per salvarsi la pelle, ebbe l’opportunità di uccidere Saul nella spelonca di En-Ghedi. Invece si limitò a tagliargli di nascosto il lembo della veste, dicendo: “Mi guardi l’Eterno dal commettere contro il mio Signore, che è l’unto dell’Eterno, l’azione di mettergli le mani addosso; poiché egli è l’unto dell’Eterno”.
Nondimeno, anche dopo avergli soltanto tagliato il lembo della veste, “il cuore gli batté” (un’altra traduzione dice “la coscienza lo rimproverò”) “per aver egli tagliato il lembo del mantello di Saul”. Ora, la nostra coscienza ci rimprovera quando superiamo i limiti di velocità? quando sorpassiamo a dispetto della striscia bianca continua? quando ignoriamo il segnale di “Stop”?
Se no, dobbiamo riflettere se non rischiamo forse di finire “segnati di un marchio nella coscienza” (l° Tim. 4:2), cioè con la coscienza indurita e insensibile ai richiami (sempre “dolci e sommessi”) dello Spirito Santo. “Custodisci il tuo cuore [una coscienza tenera e pulita] più di ogni altra cosa”, avverte Salomone nel libro dei Proverbi, “perché da esso procedono le sorgenti della vita” (4:23).
Sempre in orario
Un altro campo in cui dobbiamo liberarci dalla mentalità tipica della nostra cultura “mediterranea” (specialmente nel Sud) è la puntualità (e mi sento in dovere di parlarne, anche se chi mi conosce sa che anch’io ho molto da imparare in quest’area). Se il nostro appuntamento è per le 10,30, ci sentiamo in perfetta regola se arriviamo tra le 10,45 alle 11,00? Il culto della nostra chiesa inizia sempre con un quarto d’ora di ritardo perché all’ora stabilita ci sono solo quattro persone presenti?
Riflettiamo un momento. Se siamo figli di Dio, non dovremmo comportarci come nostro Padre? Egli non è mai in ritardo per i Suoi appuntamenti! Quante volte nella Bibbia leggiamo espressioni come: “Il tempo è compiuto …”; “il mio tempo non è ancora venuta …”; “ma quando giunse la pienezza dei tempi …” (Mc. 1:15, Giov. 7:6, Gal. 4:4). Possiamo mai immaginare Gesù che dice: “Scusatemi il ritardo, ho dimenticato di guardare l’orologio”?!
James Hudson Taylor, il grande pioniere apostolico della Cina nel secolo scorso, compi durante la sua lunga vita un’opera impressionante. Questo, in primo luogo, fu senz’altro. perché egli era un uomo pieno di fede e di visione; ma poi, fu anche perché era estremamente disciplinato nell’uso del tempo. Era rimasto profondamente segnato dall’educazione ricevuto da suo padre, il quale usava rimproverare i ritardi dei figli in questi termini: “Non capite, ragazzi, che se fate aspettare cinque persone per un minuto, vanno perduti cinque minuti che non potranno mai più essere recuperati?”
Cittadini esemplari
Ecco un’altra esortazione che ci viene rivolta nella Parola di Dio: “Abbiate una buona condotta tra i pagani, affinché là dove sparlano di voi, chiamandovi malfattori, osservino le vostre opere buone e diano gloria a Dio nel giorno in cui li visiterà” (1° Pt. 2:12).
Il nostro comportamento civile è esemplare? Siamo rispettosi degli altri e dei loro diritti come persone create e amate da Dio? O siamo disordinati, sporcaccioni, incivili? I nostri vicini di casa sono infastiditi da rumori fuori orario e da bambini che schiamazzano nel cortile e per le scale? O siamo noti a tutti come buoni vicini e modelli di comportamento civile?
Quando facciamo il picnic, portiamo a casa la nostra spazzatura alla fine della giornata, se non c’è un recipiente in cui deporla, lasciando il posto più pulito di quanto l’abbiamo trovato? Anzi, abbiamo mai pensato di raccogliere anche quella degli altri? Non sarebbe questo forse un bel modo di “fare il secondo miglio”, secondo le parole di Gesù nel Sermone sul Monte?
Anzi, perché credenti, abbiamo un doppio motivo per fare così: non solo il rispetto per gli altri, ma anche il rispetto della natura. I cristiani hanno più motivo di tutti per essere ecologisti! Altri possono essere spinti dalla paura del disastro ambientale, o dal pensiero che l’uomo, essendo il prodotto dell’evoluzione, è solo una specie fra tante e non ha più diritto delle altre di sopravvivere. Ma noi sappiamo che “all’Eterno appartiene la terra e tutto ciò che è in essa, il mondo e i suoi abitanti”, e che l’uomo vi è stato posto “per lavorarla e custodirla” (Sai. 24:1, Gen. 2:15).
Siamo dunque amministratori del mondo in cui viviamo, e, nella misura della responsabilità di ciascuno, risponderemo a Dio del modo in cui l’avremo trattato. Se avremo guastato la Sua proprietà, Egli vorrà saperne il perché. Via, dunque, la mentalità secondo la quale “quello che è di tutti non è di nessuno, per cui non sono tenuto ad averne cura”. Sia quello che è “mio”, sia quello che è “di tutti” o “di nessuno”, in realtà appartiene al Signore, e dobbiamo custodirlo e curarlo come amministratori fedeli.
Saporito o insipido?
Siamo dunque un “sale” saporito? O siamo diventati insipidi? Se, davanti allo specchio della Parola di Dio, ci troviamo mancanti, siamo ancora in tempo per ravvederci e cambiare strada. Possa Dio concedere che nessuno di noi sia giudicato, alla fine, “non più buono a nulla” e venga “gettato via e calpestato dagli uomini” (Matt. 5:13). Piuttosto, possa la nostra luce “così risplendere fra gli uomini che vedano le nostre buone opere e glorifichino il Padre nostro che è nei cieli” (Mt. 5:16).