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di Geoffrey Allen
Una delle più straordinarie esperienze della mia vita cristiana si è verificata verso la fine degli anni ’60, a solo un anno o due dalla mia conversione.
L’associazione studentesca cristiana di cui facevo parte organizzava, tra le altre attività, dei piccoli gruppi di preghiera per l’opera della chiesa in diverse parti del mondo. Uno di questi si occupava dei credenti perseguitati nel mondo comunista di allora. Non lo frequentavo regolarmente, anzi credo di avervi partecipato non più di due o tre volte in tutto. Ma un giorno un amico credente mi trascinò a questo incontro nella stanza di un altro studente. Uno dei temi per i quali ci fu chiesto di pregare quel giorno era l’importazione e la diffusione (all’epoca necessariamente clandestina) della Bibbia.
Improvvisamente, durante la riunione, sentii un grande “peso”, una forte tristezza, per tutte le minoranze etniche dell’Unione Sovietica (le popolazioni tribali indigene), della cui esistenza ero venuto a conoscenza nel corso dei miei studi di scienze politiche. Mi sentii “spinto” a pregare con grande forza, e con una fede che non veniva certamente da me, perché questi popoli potessero in qualche modo essere raggiunti dalla Parola di Dio, che non era mai stata tradotta nelle loro lingue.
Sembrava un obiettivo assolutamente irraggiungibile nell’URSS di Brezhnev. Ma di una cosa ero certo: quella preghiera non veniva da me, perché non avevo mai immaginato una simile possibilità. Era troppo fuori della realtà! L’idea poteva essere venuta soltanto dallo Spirito Santo; e se Egli suggeriva una simile preghiera, allora Dio doveva avere in mente di realizzarla, per quanto sembrasse impossibile!
Anche gli altri giovani presenti furono investiti dalla forza di quella preghiera, e dopo un tempo di lotta spirituale, scoppiammo tutti in un grido di vittoria. Sicuramente qualcosa era successo nei luoghi celesti!
Poche settimane più tardi, lessi sul giornale che era stato concluso un accordo tra il governo sovietico e i “Wycliffe Bible Translators”, una missione evangelica specializzata nella traduzione della Bibbia nelle lingue tribali, per cui questa avrebbe avuto accesso alle minoranze etniche dell’URSS per analizzare le loro lingue e ridurle in forma scritta, ricevendo in cambio il permesso di tradurre e diffondere la Bibbia in tali lingue! Un accordo definito dalla missione, allora e dopo, “storico” e “miracoloso”!
Ora, non voglio certo prendere il credito di questo avvenimento. Sicuramente migliaia di credenti in tutto il mondo avevano pregato, e molto più assiduamente di noi, per quell’obiettivo. Ancora più sicuro, Dio non aveva affatto bisogno delle nostre preghiere per realizzare i Suoi progetti! Voglio soltanto illustrare la potenza di una preghiera profetica, che esprime non le nostre idee o i nostri desideri, ma “il desiderio dello Spirito”, il quale “intercede per i santi secondo il volere di Dio” (Romani 8:27).
Profeti intercessori
Leggendo l’Antico Testamento, scopriamo infatti che c’è un intimo collegamento tra profezia e intercessione.
Pochi sanno chi è la prima persona chiamata “profeta” nella Bibbia. Non è Mosè, ma Abramo. Ora, in genere è particolarmente significativa la prima comparsa nella Parola di Dio di una cosa o di un concetto. È dunque degno di nota il fatto che l’uomo chiamato “l’amico di Dio” (Giacomo 2:23) è nominato profeta in un contesto di preghiera e intercessione. Dio appare in sogno al re Abimelek e lo minaccia di morte perché ha preso Sara per farla sua moglie. Ma aggiunge: “Restituisci dunque la moglie di quest’uomo, perché egli è un profeta, ed egli pregherà per te e tu vivrai” (Genesi 20:7).
Anche Mosè, il più grande profeta dell’Antico Testamento, fu un grande intercessore. Quando gli Israeliti avevano peccato terribilmente contro Dio, costruendo e adorando il vitello d’oro, Mosè non si fece tentare dalla proposta allettante del Signore di distruggere il resto d’Israele e di fare della sua discendenza quella grande nazione che avrebbe ereditato le promesse. Piuttosto egli si frappone fra gli Israeliti e l’ira di Dio e insiste fino a quando non ottiene da Lui una promessa di perdono (Esodo 32:32).
Pure Samuele considerava fondamentale per la sua chiamata di profeta il compito di pregare continuamente per il popolo di Dio. Questo è evidenziato dalle parole della sua vecchiaia, quando gli Israeliti furono presi da rimorso dopo aver chiesto a Dio un re. Egli li rassicura dicendo: “Non sia mai che io pecchi contro l’Eterno, smettendo di pregare per voi” (1° Samuele 12:23).
La preghiera di Elia
Ma l’esempio più illuminante della preghiera profetica nell’Antico Testamento è quello di Elia. Questo grande profeta – scelto, insieme a Mosè, per incontrare Gesù sul monte della trasfigurazione e, con Enoc, l’unico personaggio biblico a essere rapito direttamente in cielo senza vedere la morte – ci è proposto nel Nuovo Testamento come modello di efficacia nella preghiera: “Elia era un uomo sottoposto alle nostre stesse passioni, e pregò intensamente che non piovesse; e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. Pregò di nuovo, e il cielo diede la pioggia e la terra produsse il suo frutto” (Giacomo 5:17-18).
Il segreto dell’efficacia di questa sua preghiera, credo, ci è rivelato nel versetto precedente, anche se non risulta chiaro dalla maggior parte delle traduzioni: “Molto può la preghiera del giusto, fatta con efficacia” (v.16).
L’espressione tradotta “fatta con efficacia” (versioni Riveduta e Nuova Diodati – è addirittura omessa nella Nuova Riveduta) è in greco energoumene, dalla radice da cui deriviamo “energia” e “energumeno”. Ora, quasi tutte le volte che questo verbo energeo compare nel Nuovo Testamento, significa: “ispirare o produrre in virtù di una forza o potenza esterna”. Per esempio:
- “… è Dio che opera in voi il volere e l’operare” (Filippesi 2:13);
- “Costui è Giovanni Battista! Egli è risuscitato dai morti, e perciò agiscono in lui le potenze miracolose” (Matteo 14:2);
- “… non vi è che un medesimo Dio, il quale opera tutte le cose in tutti … Tutte queste cose le opera quell’unico e medesimo Spirito …” (1° Corinzi 12:6,11);
- “quello spirito che opera oggi negli uomini ribelli …” (Efesini 2:2);
- “… combattendo con la sua forza, che agisce in me con potenza” (Colossesi 1:29);
- “… la parola di Dio, la quale opera efficacemente in voi che credete” (1° Tessalonicesi 2:13).
È possibile, dal testo greco, che in questo versetto sia la preghiera stessa che “opera con potenza” in chi prega. Ma sembra molto più probabile che il significato sia che ha grande efficacia quella preghiera che è “operata in” chi prega, tramite una rivelazione di ciò che Dio intende fare.
Infatti, quando leggiamo in 1° Re 17:1 il racconto dell’episodio in questione, troviamo che Elia annuncia semplicemente: “Com’è vero che vive l’Eterno, il Dio d’Israele, alla cui presenza io sto, non ci sarà né rugiada né pioggia in questi anni, se non alla mia parola”.
Non è detto esplicitamente, ma possiamo forse immaginare che Elia abbia fatto una dichiarazione del genere di sua iniziativa personale, senza avere una rivelazione da parte di Dio di ciò che Egli intendeva fare? Ma poi, il profeta non aspetta passivo che la parola di Dio si compia automaticamente. Si mette a pregare intensamente perché sia compiuta l’intenzione che Dio ha rivelato. Ecco, in una parola, la chiave di una preghiera efficace: è una preghiera radicata nella rivelazione.
Ascolto
Infatti uno dei principali segreti di una preghiera efficace è pregare secondo la volontà di Dio. Quando i discepoli hanno chiesto a Gesù: “Signore, insegnaci a pregare”, Egli ha risposto: “… Pregate così: … Sia fatta la tua volontà anche in terra come è fatta in cielo” (Matteo 6:9-10). La preghiera, insomma, come ha scritto Watchman Nee, “non è un sistema per convincere Dio a fare ciò che vogliamo noi, ma piuttosto per ottenere che sia fatto, su una terra ostile, quello che vuole Lui”.
Così l’apostolo Giovanni scrive: “Questa è la fiducia che abbiamo in lui: che se domandiamo qualche cosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce” (1° Giovanni 5:14). Ma allora sorge un problema: come possiamo sapere se stiamo chiedendo secondo la Sua volontà? Perché, come ha ben commentato Arthur Wallis, molti cristiani agiscono come se il versetto appena citato dicesse piuttosto: “Questa è l’incertezza che abbiamo in lui: che solo se ci dovesse capitare di chiedere secondo la sua volontà, ci sarà qualche possibilità che egli ci esaudisca”! 1
Dio non ha ideato la preghiera come un fucile potente, ma sprovvisto di mirino, con cui “sparare sperando di colpire qualcosa”. Intende piuttosto che facciamo preghiere mirate e otteniamo un’alta percentuale di centri! È dunque indispensabile, prima di pregare, metterci in ascolto per capire quale sia il “peso” di Dio, che cosa Gli sta a cuore, per poter chiedere “secondo la Sua volontà”.
Troppe volte, invece, i nostri colloqui con Dio sono come una conversazione telefonica “a senso unico”. Ti è mai capitata una telefonata di questo genere:
“Pronto! Ciao, Giovanni, sono la zia Luisa. Come stai? E papà e mamma? Noi qui siamo tutti un po’ pieni di acciacchi. Lo zio ha di nuovo quei problemi allo stomaco e il nonno ha dolori alla schiena”.
“Mi dispiace. Ma, zia …”
“È venuto tuo zio Umberto e ci ha raccontato tutto sulle sue vacanze in Spagna. Poverino! Il mare era sporco e il cibo non si poteva proprio mangiare!”
“Sì, l’avevo sentito anch’io. Ma, zia …”
“Domani andremo dal tappezziere per le nuove tendine del salotto. Speriamo che vengano belle!”
“Sì, zia, ma ti volevo dire che …”
“Ora ti devo proprio salutare, caro, mi si stanno finendo i gettoni. Ciao, salutami la mamma e ci vediamo tra un mese”.
“Ma, zia, volevo darti una notizia proprio importante …” CLIC! Troppo tardi!
Non sono forse così molti dei nostri colloqui con Dio? Come la zia Luisa, siamo bravi a parlare, ma non altrettanto ad ascoltare. Gli raccontiamo una serie di cose che, in fondo, Lui già sa perfettamente, ma non Gli lasciamo spazio per dirci le cose importanti che ha da comunicarci, e che noi non sappiamo!
Preghiere mirate
Dobbiamo allora imparare ad ascoltare Dio prima di parlarGli. È ancora valido il saggio consiglio dell’Ecclesiaste: “Bada ai tuoi passi quando vai alla casa di Dio: avvicinati per ascoltare piuttosto che per offrire il sacrificio degli stolti … Non essere precipitoso con la tua bocca, e il tuo cuore non s’affretti a proferire alcuna parola davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sulla terra; perciò le tue parole siano poche” (5:1-2).
Non voglio essere frainteso: non sto dicendo di stare in un silenzio passivo mentre aspettiamo che Dio ci parli. Sto dicendo soltanto di non essere così presi con le richieste che a noi sembrano delle “buone idee”, da trascurare di tenere l’orecchio aperto per captare ciò che lo Spirito Santo ci vorrà suggerire.
Dobbiamo infatti “entrare nei suoi cortili con lode”, dopo di che ci sono tante cose per cui pregare che già sappiamo essere “secondo la sua volontà”. La Parola di Dio ci dice di pregare per tutti i credenti in ogni parte del mondo, e in particolare per i ministri impegnati nella diffusione dell’evangelo (Efesini 6:18-19); per i re, i governi e tutti quelli che sono in autorità, e anche per tutti gli uomini in generale perché siano salvati (1° Timoteo 2:1-4); per quelli che ci maltrattano e ci perseguitano (Matteo 5:44); per la guarigione dei credenti malati (Giacomo 5:16). Per tutto questo non abbiamo bisogno di rivelazioni speciali.
Detto questo, tuttavia, le preghiere generali spesso mancano di efficacia perché non sono preghiere di fede. La Bibbia dice che chi prega “chieda con fede, senza dubitare; perché chi dubita è simile a un’onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là. Un uomo simile non pensi di ricevere qualcosa dal Signore” (Giacomo 1:6-7).
“Signore, ti prego per la conversione di tutto il mondo”. È una preghiera di fede? Mi sia permesso di dubitarne! È come un ragazzino armato di cerbottana che spara contro un bunker antiatomico! No, dobbiamo imparare a pregare secondo la misura della nostra fede (Romani 12:3).
Allora, per pregare in maniera efficace, applicando le linee generali delle Scritture alle situazioni particolari, abbiamo bisogno di essere guidati dallo Spirito. È Lui che “scruta le profondità di Dio” (1° Corinzi 2:10) ed è quindi in grado di comunicarci i Suoi progetti e i desideri del Suo cuore.
Come parla Dio?
E qui ci scontriamo con un problema più generale: come sentire la voce dello Spirito? Tutti noi abbiamo letto nella Bibbia centinaia di brani in cui è scritto: “La parola dell’Eterno mi fu rivolta …” “Lo Spirito disse …” “Udii una voce …”. Ma poi, quando abbiamo chiesto la guida di Dio e abbiamo cercato di capire la Sua volontà, molti di noi sono rimasti confusi. Magari abbiamo fatto anche esperienze in cui pensavamo di aver ricevuto una parola o una guida da parte di Dio, ma poi si è rivelata tutta un’illusione.
Abbiamo bisogno di imparare a distinguere la voce di Dio dalle nostre idee, i nostri desideri, le nostre preferenze. E qui, possono aiutarci alcuni principi che saranno utili anche (ma non esclusivamente) nella sfera della “preghiera profetica”.
- Mettere a tacere le proprie preferenze personali. Gesù spiegò una volta il principio che guidava tutta la sua vita: “Io non posso far nulla da me stesso. Come odo, giudico; e il mi giudizio è giusto perché cerco non la mia propria volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Giovanni 5:30).
- Confrontarsi con le Scritture. Dio non si contraddice: quello che ci dirà oggi non sarà mai in contrasto né con la lettera né con lo spirito della Bibbia. Perciò abbiamo bisogno di lasciarci “rinnovare la mente” dalla Parola di Dio. “Voi errate – ebbe a dire Gesù un giorno ai suoi oppositori – perché non conoscete le Scritture …” (Matteo 22:29).
- Imparare dall’esperienza. “Sbagliando s’impara”, dice il proverbio. È solo con l’esperienza che impariamo a distinguere con sempre maggiore chiarezza (mai con certezza infallibile!) la voce dello Spirito da quella dei nostri pensieri, desideri e ragionamenti.
Dio parla a volte con sogni, visioni o voci udibili, ma molto più spesso per mezzo di impressioni, pensieri e sensazioni, con una “voce dolce e sommessa” nell’intimo del nostro spirito. Per questo è importante fare silenzio dentro di noi per poterla distinguere. E, quando ce l’aspettiamo con fede e ci mettiamo in ascolto, vedremo che il Signore, in effetti, ha “ancora molte cose da dirci” (Giovanni 16:12).
Intercessione
Infine, voglio dedicare alcune osservazioni al tema dell’intercessione. “Intercedere” non è, come pensano molti, un semplice sinonimo di “pregare”; e neanche soltanto un tipo di preghiera particolarmente intenso a favore degli altri.
Piuttosto, il significato dell’intercessione è quella illustrata dal nostro “perfetto esempio di fede”: Gesù. In Isaia 53 è scritto di lui: “Egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace è su di lui … Egli è stato annoverato fra i malfattori; ha portato il peccato di molti e ha interceduto per i trasgressori” (vv.5,12).
Intercedere vuol dire frapporsi fra il colpevole e la giusta ira di Dio. È l’espressione di una profonda comprensione della natura di Dio: del conflitto tra la Sua esigenza di giustizia, da una parte, e il Suo desiderio di usare misericordia dall’altra. È ciò che fa Mosè quando prega per gli Israeliti colpevoli di idolatria: “Ora, ti prego, perdona il loro peccato; se no, deh, cancellami dal tuo libro che hai scritto!” (Esodo 32:32).
Un altro grande intercessore, Paolo, scrive in termini simili: “Io stesso vorrei essere anatema, separato da Cristo, per amore dei miei fratelli, miei parenti secondo la carne, cioè gli Israeliti” (Romani 9:3-4). È difficile comprendere un amore così profondo: voler addirittura perdere la propria salvezza se potesse servire per salvare gli altri …! Ma, in fondo, non è forse quello che ha fatto Gesù? “Colui che non ha conosciuto peccato, [Dio] lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui” (2° Corinzi 5:21).
Identificazione
Come Gesù, l’intercessore non guarda i colpevoli dall’alto in basso, piuttosto si identifica con loro. Un altro esempio di questo è Nehemia. Come coppiere del re di Persia, aveva un’ottima posizione: poteva stare tranquillo e godersi la vita. Invece si preoccupa per le sorti del popolo di Dio e per la Sua città di Gerusalemme. Quando giungono notizie che “i superstiti che sono scampati dalla cattività sono … in grande miseria e obbrobrio; inoltre le mura di Gerusalemme sono piene di brecce e le sue porte consumate dal fuoco” (Nehemia 1:3), la sua reazione è di sgomento: “mi posi a sedere e piansi … feci cordoglio per vari giorni, e digiunai e pregai davanti al Dio del cielo” (v.4).
E il contenuto della sua preghiera è questo: “… confesso i peccati dei figli d’Israele, tuoi servi, che noi abbiamo commesso contro di te. Sì, io e la casa di mio padre abbiamo peccato. Ci siamo comportati molto malvagiamente contro di te e non abbiamo osservato i comandamenti, gli statuti e i decreti che tu ordinasti a Mosè …” (vv.6-7).
Per quel che ne sappiamo, Nehemia non era personalmente colpevole dei peccati che qui confessa. Ma si fa rappresentante e portavoce del suo popolo, identificandosi con i suoi peccati e le sue colpe. E poi diventa lo strumento per mezzo del quale Dio pone rimedio alla “miseria” e all’“obbrobrio” degli Israeliti.
In Ezechiele capitolo 22, Dio denuncia con parole roventi il peccato e l’idolatria di Israele. “I sacerdoti violano la mia legge e profanano le mie cose sante … I capi sono come lupi che dilaniano la preda per versare sangue e distruggere anime per realizzare un ingiusto guadagno. I profeti … hanno visioni false e divinazioni bugiarde … Il popolo del paese pratica l’oppressione, compie rapine, maltratta il povero e il bisognoso e opprime lo straniero, violando la giustizia” (vv. 26-29).
Come reagisce Dio a tanta malvagità? “Io ho cercato fra loro un uomo che costruisse un muro e stesse sulla breccia davanti a me in favore del paese, perché io non lo distruggessi …” Straordinario! Dio stesso – offeso e contrariato dalla ribellione e dalla perversità del proprio popolo – si mette a cercare un intercessore per evitare di “dover” dare sfogo alla sua ira, più che giustificata! E con quale risultato? “… ma non l’ho trovato. Perciò io riverserò su di loro la mia indignazione, li consumerò col fuoco della mia ira e farò ricadere sul loro capo la loro condotta, dice il Signore, l’Eterno” (vv. 30-31).
Dio non è forse libero di fare come vuole? Secondo questo brano della Scrittura – e lo dico con grande rispetto – sembra di no! Tra le contrastanti esigenze della giustizia e della misericordia, Dio ha deciso che sia l’uomo a fare da arbitro. Quando non trova un intercessore, uno che “costruisca un muro e stia sulla breccia” a favore dei colpevoli, si vede costretto a dare sfogo, a malincuore, alle esigenze dell’ira e del giusto giudizio. Che mistero!
Anche oggi, Dio sta cercando intercessori. Sta cercando uomini e donne con la sensibilità dei profeti per ciò che è nel Suo cuore: ira e indignazione contro il peccato, la malvagità e la ribellione degli uomini (Romani 1:18), e nello stesso tempo il desiderio misericordioso che “l’empio si converta dalla sua via e viva” (Ezechiele 33:11). Uomini e donne pronti a stare sulla breccia per intercedere, identificandosi con un popolo ribelle, e a soffrire pur di ottenerne la conversione e la salvezza.
Chi sa se, tra voi che leggete questo articolo, non ne trovi qualcuno?
1Arthur Wallis, In the Day of Thy Power, CLC, Londra, 1956, pag. 142 (opera non tradotta in italiano)