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Questa intervista risale al 1988, ma la maggior parte del suo contenuto è ancora valido e attuale.
Sono passati quasi dieci anni da quando vi siete messi insieme con questa visione della “restaurazione della chiesa”. Come valuti l’esperienza di questi anni? Si sono adempiute le vostre attese?
In questi anni c’è stata una “messa a fuoco”, attraverso l’esperienza, della visione che lo Spirito di Dio aveva suscitato in noi: dei temi del discepolato, della cura d’anime, dei rapporti, dell’autorità. Credo che le linee della nostra riflessione ne escono rafforzate e liberate da alcuni eccessi che sono sempre collegati agli inizi, al calore della scoperta e della novità.
Alcuni temi in particolare sono venuti in evidenza nel nostro cammino: il tema della riconciliazione tra fratelli di diversa estrazione e diversa formazione; il tema dell’interazione tra vari ministeri e doni nel Corpo di Cristo; e una riflessione sulla natura del Regno di Dio e della chiesa.
In complesso, la mia valutazione di questi anni è senz’altro positiva. Le nostre attese si sono adempiute, almeno parzialmente, dal momento che i rapporti tra i ministeri impegnati con noi sono cresciuti: oggi ci troviamo a un livello di solidità e di sicurezza nei nostri rapporti che, credo, ha un valore profetico per la chiesa e per la realtà nella quale viviamo.
Ovviamente, c’è un cammino ancora da fare. Vediamo che è importante cercare di comunicare meglio che cosa intendiamo per “restaurazione della chiesa”. Noi non abbiamo mai pensato che il nostro compito fosse quello di costruire “le chiese della restaurazione”, ma piuttosto di svolgere un servizio per tutte le chiese; e il nostro ministero porterà veramente i suoi frutti solo quando questo discorso del recupero delle verità dimenticate e della costruzione della chiesa secondo il modello di Dio, sarà penetrato in tutto il corpo di Cristo in Italia.
Questo non significa che le chiese debbano tutte quante venire sotto di noi (cosa che siamo stati accusati di voler raggiungere!), ma che preghiamo e ci aspettiamo che tutta quanta la chiesa si apra a questo messaggio, e che in tutte le chiese siano suscitati uomini che portino avanti questo discorso nelle loro realtà, aprendosi all’azione dello Spirito per realizzare le cose che il Signore desidera.
È cambiato qualcosa nella vostra dottrina o nella vostra pratica alla luce di queste esperienze?
Nella dottrina, non credo che ci sia stato bisogno di nessun cambiamento: sono convinto che le nostre posizioni dottrinali sono sempre state profondamente ortodosse. È sorprendente il fatto che alcuni abbiano potuto fraintendere le cose che abbiamo detto, al punto di catalogarci addirittura come “setta” o gruppo eretico. Credo che la nostra concezione della Scrittura, la nostra convinzione trinitaria, la nostra pratica del discepolato, la nostra comprensione dei ministeri, siano tutte profondamente bibliche. Siamo partiti con questa impostazione, e siamo sempre più convinti che questo sia il modello da seguire.
Per quanto riguarda la pratica, noi non abbiamo mai avuto nella pratica del discepolato e della cura pastorale quegli eccessi sperimentati in alcune esperienze negli Stati Uniti e magari altrove. Spesso è venuto su di noi il biasimo, piuttosto che per la nostra pratica diretta, per l’eco di esperienze negative fatte in altre realtà. La nostra pratica del discepolato, che è stata quella maggiormente al centro della polemica, credo sia stata sempre corretta ed equilibrata.
Ovviamente, il cammino che abbiamo fatto ci ha consentito di capire meglio quali sono le difficoltà pratiche nell’applicazione dei principi, e le ragioni per le quali la chiesa ha trovato molto spesso più comodo e più facile deviare dalla pratica del discepolato, che certamente è pienamente biblica. Quando si comincia a lavorare nella vita dei credenti si creano tutta una serie di difficoltà e di tensioni, che possono spingere i pastori a ritirarsi. Noi abbiamo visto le difficoltà, non tanto per i discepoli – ovviamente, se i pastori sono persone equilibrate – quanto per i pastori stessi, i quali sono chiamati al confronto per aiutare i credenti a rimuovere dalla loro vita quello che non va.
Quanto ai rapporti con le comunità che dovessero aprirsi al nostro messaggio e desiderare viverlo all’interno delle loro realtà, la nostra posizione è stata, ed è con sempre maggiore forza, quella di rispettare i pastori e i leaders che governano queste chiese locali, e la nostra strategia è quella di entrare nella casa attraverso la “porta”, non attraverso la finestra.
Là dove ci sono dei credenti che sono insoddisfatti dell’andamento della loro comunità, la nostra pratica è stata quella di incoraggiarli, a volte anche per anni – cinque, sei, sette anni! – a rimanere sottomessi alle autorità, anche quando la situazione poteva in qualche modo giustificare la loro insoddisfazione. Ci è parso che il Signore non ci aveva chiamati a giudicare su situazioni nelle quali non eravamo stati invitati ad intervenire.
Là dove invece i pastori ci hanno chiesto e di portare il contributo del nostro ministero, ci siamo messi a disposizione e abbiamo cercato di fare quello che era in nostro potere di fare.
Come vedi la condizione della chiesa in Italia oggi?
Ci sono due aspetti. Uno è senz’altro quello della frammentazione del Corpo di Cristo in Italia, che è anche il risultato del processo di denominazionalizzazione che c’è stato nel mondo evangelico nel corso degli ultimi secoli. Ovviamente, noi pensiamo che lo Spirito di Dio voglia un superamento di questa situazione.
D’altra parte vediamo, forse per la prima volta negli ultimi anni, segni di cambiamento: per esempio, tutto l’arcipelago pentecostale-carismatico è senz’altro in movimento. Da alcuni anni l’incontro annuale del 1 Maggio vede una partecipazione sempre più folta e rappresentativa di tutte le correnti pentecostali e carismatiche presenti nel nostro Paese, con la sola eccezione delle Assemblee di Dio, per le quali occorre fare un discorso a parte.
Credo che non bisogna chiudersi nei loro riguardi per il fatto che hanno questa politica così fortemente denominazionale; credo che sia importante non reagire alle chiusure e agli atti di accusa che vengono da quella realtà, ma continuare a riconoscerli come fratelli e pregare che lo Spirito di Dio possa creare all’interno delle A.D.I., negli anni a venire, un movimento di apertura che consenta a questa parte estremamente significativa del Corpo di Cristo in Italia di raccordarsi al resto delle realtà presenti nel nostro paese.
Sono in parte anche comprensibili i motivi di questa loro “prudenza”: le esperienze negative fatte nel corso degli anni li hanno portati a prendere delle misure di precauzione a volte eccessive, e si avverte a volte una diffidenza assolutamente non giustificata nei riguardi degli altri. Dopo di che, credo che sia importante per noi rispondere a loro come fratelli, continuare a rimanere aperti nei loro riguardi, e aspettare i tempi del Signore. Quindi, il nostro augurio è che anche le A.D.I. possano aprirsi.
Per quanto riguarda il risveglio e la crescita delle chiese, ci sono dei segnali estremamente interessanti e nuovi su questo fronte. Negli ultimi cinque o dieci anni assistiamo, credo per la prima volta, al fenomeno estremamente significativo di chiese che crescono in un modo sorprendente. Ci sono comunità, particolarmente in Sicilia e in Campania, che raggiungono e superano i mille membri, alcune delle quali cresciute nel corso degli ultimi quattro-cinque anni. In generale, c’è un fermento e un movimento di conversioni che è abbastanza nuovo nella storia recente del cristianesimo nel nostro paese, e che ci fa ben sperare per gli anni a venire: noi crediamo che nei prossimi anni, crescerà il numero di chiese con una certa consistenza numerica e con una certa capacità d’impatto, e questo sarà un fatto importante per costruire il futuro della chiesa nel nostro paese.
È molto importante, a nostro avviso, che queste forti chiese locali entrino in rapporto fra loro, in modo da scambiarsi il patrimonio di esperienze, di ministeri e di doni che il Signore ha affidato a ognuno. In questo senso noi faremo tutto quello che è in nostro potere per costruire ponti e per rimanere aperti al contributo che il Signore vorrà mandarci, da qualsiasi parte dovesse venire.
Tu sei riconosciuto come un “apostolo”. Che cosa significa?
Innanzitutto, significa porre all’ordine del giorno nel mondo evangelico alcuni temi decisivi per la costruzione della chiesa: la problematica dell’unità e dell’autorità; la necessità di costruire “l’otre” secondo il modello neotestamentario; il problema della carismaticità e della visibilità dell’autorità nella Chiesa; la necessità di tutti i ministeri di Efesini 4:11, fino al perfezionamento e alla maturazione di tutto il Corpo di Cristo; la necessità dei rapporti tra i ministeri, sotto il coordinamento dell’autorità apostolica, come via all’unità della chiesa.
Significa anche realizzare che in questa generazione, come nella prima della storia della chiesa, è ancora vitale avere una mentalità pionieristica, e che le modalità e gli strumenti per la costruzione della chiesa – i ministeri – sono gli stessi. Quindi, significa riconoscere la necessità che ci siano uomini e ministri “di frontiera”, che dissodano nuovo terreno, non solo nell’evangelizzazione e nella conversione delle persone, ma anche dal punto di vista della comprensione dei modi nei quali Dio intende portare a compimento il Suo piano eterno di sottomettere ogni cosa a Cristo e di formare una chiesa unita, vittoriosa e gloriosa.
Poi, in particolare, significa che i rapporti che viviamo come fratelli e come ministri – pastori, dottori, profeti, eccetera – sono articolato in base ai doni, alla funzione, al “taglio”, alla statura, all’unzione che abbiamo. Questo non significa necessariamente che il rapporto “verticale” viene in primo piano, ma che viene sottolineata l’articolazione, e quindi la diversità, la complementarietà, e poi la necessità del coordinamento, della direzione e della strategia per la costruzione della chiesa.
Esiste una qualche forma di collegialità? Ci sono cioè altri apostoli con i quali sei in collegamento e con cui ti consigli?
Senz’altro! Noi crediamo alla pluralità ad ogni livello, quindi nella chiesa locale e anche nel rapporto fra gli apostoli. Non crediamo che l’apostolo debba muoversi da solo, senza consultarsi e aprirsi con altri uomini della sua statura. Infatti, questo è uno dei fronti sui quali io personalmente sono maggiormente impegnato: quello di costruire rapporti con altri apostoli, sia nel nostro paese che in altri paesi del mondo. Questo per la convinzione che ho che sia necessario il contributo di più ministeri per entrare in possesso di una misura sempre maggiore di sapienza divina.
Quindi, io personalmente curo rapporti con altri fratelli che hanno statura e misura apostolica; la mia vita, il mio ministero e le comunità che mi sono sottomesse sono aperti al loro ministero. Vediamo necessaria una sottomissione reciproca tra gli apostoli, come quella che si vede tra Pietro e Paolo: questo aveva la libertà di riprendere Pietro, ma sentiva anche il bisogno di andare a Gerusalemme per esporgli il cammino che aveva fatto e per ricevere da lui la mano di associazione.
Quindi vediamo necessaria questa forma di collegialità, di apertura, di sottomissione reciproca: ascoltare insieme il Signore e confrontare la visione che Dio ci dà nelle nostre diverse realtà. “Spada affila spada” è sempre un concetto molto importante, che dobbiamo cercare di praticare nel modo più onesto e più corretto possibile.
Noi pensiamo che il modello che il Signore vuole sviluppare negli anni a venire è proprio quello di squadre di ministri in rapporto, sotto la guida di apostoli che il Signore avrà suscitato, e che queste squadre dovrebbero essere in rapporto tra di loro al livello apostolico: che nello stesso paese possano esserci più squadre e più apostoli, e che questi siano in rapporto tra loro per ascoltare il Signore insieme e formulare la strategia per una regione, una nazione, un continente.
Noi crediamo che la questione dei rapporti fra gli apostoli è una delle frontiere sulle quali occorre lavorare nel prossimo decennio. Crediamo che il Signore stia facendo emergere altri apostoli anche nel nostro paese: la loro statura è sempre più chiara, e crediamo che il processo attualmente in corso porterà al riconoscimento reciproco tra loro.
Quali sono le vostre relazioni con le altre chiese e opere evangeliche in Italia?
Per quel che ci riguarda, siamo estremamente aperti nei riguardi di tutte le realtà evangeliche in Italia. Purtroppo c’è stato un periodo di diffidenza e di pregiudizio nei nostri riguardi, a nostro avviso non giustificato, frutto piuttosto di problemi e di situazioni esterne al campo italiano: in America, magari, o in Inghilterra. Noi, nei rapporti con le chiese italiane, abbiamo cercato sempre di muoverci nel rispetto dei pastori e delle chiese locali.
Attualmente, grazie a Dio, assistiamo ad un’apertura sempre crescente nei nostri confronti, e avvertiamo che l’atteggiamento dei nostri fratelli è di sempre maggiore ascolto delle cose che noi effettivamente diciamo. In passato, invece, ci è capitato di essere giudicati e di essere condannati per cose che non dicevamo. Ora, ci sta bene essere discriminati per quello in cui effettivamente crediamo; anche se ci pare che occorrerebbe rimanere un momentino in ascolto dello Spirito quando una sezione del Corpo di Cristo comincia a dire certe cose che sembrano nuove e “scandalose”. In fondo, questa è stata sempre la sorte di tutti quelli che hanno avuto un ruolo profetico verso il popolo di Dio!
E però, grazie a Dio, noi vediamo che adesso le cose stanno cambiando, che veniamo giudicati per quello che effettivamente crediamo, e che c’è un’apertura, un ascolto e un interesse tutto nuovo nei nostri riguardi. Quindi ci auguriamo che il futuro ci riservi degli spazi e una capacità di ascolto che consenta allo Spirito Santo di muoversi nella chiesa anche attraverso il nostro contributo.
Per illustrare il modo nel quale noi abbiamo regolato il nostro rapporto con le chiese in Italia: diversi anni fa, all’inizio del nostro cammino, fu diffuso un documento delle Assemblee di Dio nel quale venivamo accusati anche di cose che non avevano nessun riscontro nella realtà. L’atteggiamento che noi decidemmo di prendere, già allora, fu quello di non metterci in polemica con quei fratelli, di continuare a rispettarli, a non parlare male di loro e aspettare che il Signore, col tempo e con il frutto che veniva dal nostro ministero, mostrasse quale era il nostro spirito.
Credo che nessuno possa dire, fino ad oggi, di averci mai sentito parlare contro le Assemblee di Dio. Questo è un po’ il modo nel quale noi pensiamo. Non pensiamo di essere stati chiamati a combattere questa o quella sezione del Corpo di Cristo, ma a dare il nostro contributo alla costruzione del Corpo di Cristo. Quindi la nostra è una mentalità positiva, è una mentalità di voler costruire i rapporti e di riconoscere il valore e l’importanza di quello che lo Spirito Santo ha costruito nel corso della storia della Chiesa, e in particolare, che siamo anche noi “figli” del movimento pentecostale. Ecco il tipo di atteggiamento che abbiamo cercato di sviluppare in questi anni.
E i rapporti con l’estero?
Fin dall’inizio, abbiamo avuto rapporti frequenti con vari movimenti di restaurazione che sono all’opera in altri Paesi. In particolare, abbiamo sviluppato rapporti con fratelli in Inghilterra, poi anche negli Stati Uniti e da ultimo in Brasile. Quindi abbiamo collegamenti con più realtà in più continenti, il che ci aiuta ad allargare la nostra visione dell’opera che Dio vuole fare e a mettere a fuoco la strategia complessiva che Dio ha per la Sua chiesa in questo tempo.
Abbiamo avuto anche contatti con alcune chiese in Svizzera, sia di lingua francese che di lingua tedesca, che cominciano ad aprirsi al messaggio della restaurazione.
Quali sono le tue attese per i prossimi dieci anni?
Adesso ci avviamo verso il 2000, e credo che un modo utile di porsi rispetto al futuro è vedere che cosa è realizzabile in questi ultimi anni del secolo. Credo che tutto il mondo evangelico dovrebbe porsi come obiettivo quello di esporre tutta l’Italia al Vangelo entro il 2000. Io sono convinto che il Signore vuole visitare la Chiesa nel nostro Paese; ma in vista di questo, è importante innanzitutto la preparazione delle chiese locali. Bisogna preparare i contenitori, gli “otri”, per il “vino” che Dio sta per mandare: allargare e consolidare le chiese locali esistenti; sviluppare i rapporti nel mondo evangelico; piantare e formare nuove chiese.
Credo che questo obiettivo debba concentrarsi su alcune linee strategiche, prima delle quali è la costruzione di alcune forti chiese locali che diventino centri di diffusione, “laboratori” di nuovi ministeri, “città di rifugio” per il popolo di Dio nel nostro Paese. Dopo di che, diventa importante l’intensificazione dei rapporti tra queste chiese. Da questo tipo di interazione credo che verrà fuori senz’altro una benedizione per tutta la nostra nazione.
Noi in particolare, nella sfera del nostro ministero, vogliamo dedicarci soprattutto alla formazione di nuovi ministri: in questa direzione va il “Progetto Timoteo” che abbiamo inaugurato poco fa, e che andrà avanti per un primo anno residenziale a cui seguirà un secondo anno di formazione sul lavoro. Dopo di che, vogliamo anche mettere a punto una strategia per piantare nuove chiese nelle aree nelle quali oggi siamo presenti con ministeri e con comunità che si muovono nella stessa direzione e nella stessa visione.
Il Signore ci ha anche parlato profeticamente di un ruolo futuro che ci vedrà impegnati oltre i confini nazionali per toccare varie nazioni dell’Europa e del bacino mediterraneo. Crediamo che è ora per la chiesa italiana di allargare gli orizzonti e vedere che può avere un ruolo anche in altri paesi che sono ancora più poveri del nostro dal punto di vista spirituale.