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di Joe Tosini
Molti credenti lottano inutilmente per discernere una “chiamata” speciale per la propria vita o per trovare una collocazione particolare nel corpo di Cristo. Può essere per noi un grande sollievo scoprire che la nostra chiamata più alta è semplicemente dedicarci a ciò che Dio ha nel Suo cuore: essere una famiglia. Tutti noi abbiamo ricevuto questa chiamata, che altro non è che la chiamata ad essere cristiani, ad essere nel giusto rapporto con Dio e l’uno con l’altro.
Vogliamo ora volgere la nostra attenzione ad alcuni principi delle Scritture che costituiscono il fondamento dei rapporti, e senza i quali il piano di Dio non potrà essere realizzato.
L’epistola agli Efesini ci aiuta a capire quanto i rapporti siano centrali alla nostra “chiamata”. I primi tre capitoli sono pieni di affermazioni profonde e consolanti che riguardano il nostro rapporto con Dio: parlano del Suo grande amore per noi, della Sua chiesa eterna, e della Sua potenza redentrice esercitata a nostro favore per mezzo di Gesù Cristo. Gli ultimi tre capitoli, poi, parlano del desiderio di Dio che viviamo nel giusto rapporto con i nostri fratelli credenti. Questa sezione inizia con un’esortazione: “Vi esorto a comportarvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta …” (Ef. 4:1).
Seguono le istruzioni della Bibbia su come fare proprio questo: vivere una vita degna della nostra chiamata. Di che cosa parla? Dei rapporti. “Siate umili”, ci dice. “Siate pazienti. Sopportatevi nell’amore. Dite la verità al vostro prossimo. Non peccate quando vi adirate. Lavorate per poter dare qualcosa a chi è nel bisogno. Allontanate da voi l’amarezza, la rabbia, la maldicenza, la malizia. Siate benevoli, perdonatevi, liberatevi dall’immoralità sessuale e dall’avarizia. Mariti, amate le vostre mogli; mogli, rispettate i vostri mariti; figli, ubbidite ai vostri genitori”.
Il brano riassume poi le sue istruzioni così: “Siate dunque imitatori di Dio, come figli a lui cari. Camminate nell’amore come anche Cristo vi ha amati e ha dato se stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio” (Ef. 5:1-2).
Chiamati all’impegno
La nostra chiamata non è un’occasione per metterci alla tavola principale, di fianco a Gesù alla Sua destra o sinistra, ma piuttosto per fare ciò che ha fatto Lui: deporre la nostra vita. Siamo stati chiamati a una vita di impegno, di sacrificio, di sopportazione, di lealtà. Attraverso la nostra vita vissuta insieme come chiesa, dobbiamo manifestare lo stesso genere di rapporto che Dio ha con la Sua chiesa. Questa è la chiamata più alta che chiunque di noi possa ricevere: camminare insieme nell’amore con i propri fratelli. L’amicizia non è soltanto un modo di compiere la volontà di Dio; l’amicizia è la volontà di Dio!
Come puoi sapere se stai vivendo in modo degno della tua chiamata? Prova a chiederti: “Sono impegnato con un gruppo di credenti? So perdonare? Sono paziente e misericordioso? Do agli altri una parte di ciò che ho? La mia vita, quando sono solo e quando sono in mezzo alla chiesa, è vissuta in modo tale che i non credenti intorno a me possano capire quale sia la chiamata di un cristiano?” Se non vivi queste cose, allora non importa quanto tu abbia pregato, quanto “ministero” tu abbia svolto, quanti doni spirituali manifesti: hai mancato la tua chiamata di cristiano.
Il contesto della chiesa locale
Le istruzioni su come vivere una vita degna della nostra chiamata non furono indirizzate ad individui: tutte le epistole del Nuovo Testamento furono scritte a gruppi di credenti, riuniti in chiese locali. Dio ha scelto questo modo di comunicare le Sue istruzioni, perché la chiesa è lo strumento che Egli ha scelto per comunicare al mondo la Sua vita e il Suo messaggio.
Billy Graham, uno dei più grandi evangelisti di questo secolo, ha sottolineato in un suo scritto l’importanza della chiesa locale:
“Egli [l’apostolo Giovanni nell’Apocalisse] scriveva alle varie chiese, piccoli gruppi di credenti, conduttori e seguaci insieme. Al cuore di queste epistole è il presupposto di Dio che il nostro posto è insieme, nel servizio e nell’adorazione di una chiesa locale. Sono convinto che il gruppo di credenti di cui tu fai parte, quei fratelli e quelle sorelle in Cristo con i quali ti unisci per pregare e per studiare, per dare e per testimoniare, è l’unità base attraverso la quale Dio è all’opera per redimere il mondo”.
Dio chiama i credenti a venire assieme nella chiesa in modo tale che la loro vita insieme dimostri la realtà di Gesù.
Sopportazione o fuga?
I rapporti con gli altri aggiungono alla nostra vita pressioni, che a volte diventano intense. Dio usa i rapporti per metterci alla prova: la nostra pazienza, la nostra umiltà, la nostra longanimità. Egli collauda la nostra fedeltà alla chiamata della vita cristiana.
Sei mai stato disgustato da qualcuno nella tua chiesa? Frustrato? Esasperato? Credetemi, io lo sono stato! A volte mi sono svegliato la mattina con la mente assillata dai problemi delle persone, e dalle persone che sono un problema. Mi sono alzato sospirando, ho guardato allo specchio gli occhi arrossiti, e ho cominciato a lamentarmi. “Signore, non ne posso più! Tu non hai bisogno di gente così, e neanche io!” (Proprio le parole di uno che ha compreso la sua alta chiamata di servo di Dio, vero?!)
Nei momenti così, posso simpatizzare con quel pastore che si lamentò: “Signore, tu mi hai chiamato ad essere il pastore di questa chiesa, ma questa gente sta frustrando la mia chiamata!”. Ma insomma, qual è la vocazione di un pastore? Predicare? Dare consigli? Presiedere matrimoni e funerali? No, la chiamata principale di un pastore è quella di ogni altro cristiano: ad amare. È una chiamata a perseverare in ogni sorta di difficoltà, nella buona e nella cattiva sorte; a perseverare anche quando non te la senti, a restare fedele alla gente della tua chiesa.
Se non accetti questa sfida, che cosa succede quando i rapporti diventano difficili? quando le persone ti fanno arrabbiare? quando deludono le tue aspettative? Ti sentirai “chiamato” altrove? La chiamata di Dio non è un pretesto “religioso” per sfuggire alle difficoltà: è un mandato a diventare un amico fedele degli altri, come lo è Dio per te.
La chiamata di Dio non ci separa dagli altri, anzi ci unisce. La Bibbia paragona la Chiesa al corpo umano: come il cuore è legato ai polmoni e il braccio alla mano, così noi siamo legati l’uno all’altro (Ef. 4:16). La chiesa locale fu ideata come una vetrina in cui mettere in mostra la vita di Gesù in modo tangibile. La realtà di Gesù è manifestata quando delle qualità come la bontà, il perdono e la fedeltà sono evidenti tra noi, tenendo unite le membra del corpo. In un mondo affamato di amore, la prova più potente che il Vangelo funziona sono i cristiani che si amano reciprocamente. Purtroppo, soffriamo da una grande carenza di prove!
La chiesa e i suoi surrogati
Negli ultimi decenni, la chiesa è rimasta relativamente passiva e sono emerse molte altre organizzazioni per riempire il vuoto. Tipicamente, queste organizzazioni paraecclesiali, cioè esistenti fuori della struttura della chiesa locale, sono composte da credenti pieni di zelo e pronti a servire in prima linea, caricandosi dei lavori più impegnativi. Questi ministeri si occupano di compiti quali le missioni estere, l’evangelizzazione nelle università e la distribuzione di letteratura cristiana.
Tali organizzazioni dominano la scena odierna perché i bisogni sono grandissimi e la chiesa non è in condizioni di poterli soddisfare. Ma, con il rafforzamento e la moltiplicazione delle organizzazioni paraecclesiali, la strategia di incanalare le risorse attraverso un sistema che lascia da parte la chiesa ha avuto un risultato imprevisto: ha addirittura impedito alla chiesa di riprendere le forze e di assumersi le responsabilità. Mentre non era certamente l’intenzione dei leaders di tali ministeri ostacolare la chiesa, alcuni di essi, senza saperlo, si sono fatti promotori di una mentalità che fa proprio questo.
Ma Dio oggi sta rivitalizzando la chiesa, e credo che dobbiamo riesaminare le nostre strategie. Abbiamo bisogno di recuperare il sistema biblico che dà alla chiesa locale il ruolo principale nel promuovere e stabilire il Regno di Dio …
Atleti e spettatori
Le organizzazioni paraecclesiali sfidano quei credenti che sono zelanti per servire Dio, e molti di essi decidono di “arruolarsi”. Prendono così il loro posto sul campo di gioco, e poi si rivolgono ai loro amici “in tribuna”, cioè nella chiesa, per essere sostenuti. Innumerevoli credenti nelle chiese locali restano poi inattivi a guardare l’azione a distanza. Ricevono notizie delle prove e delle vittorie di coloro che sono impegnati nel ministero; vengono a sapere delle persone convertite da questi altri, dell’esaudimento delle loro preghiere, dei miracoli che avvengono per loro. Evidentemente la partita è avvincente laggiù sul campo.
Ma cosa fa tutta quella gente in tribuna? Il cristianesimo è forse una partita-spettacolo: paghi il biglietto, prendi il tuo posto e applaudi? Senza volerlo, il sistema paraecclesiale ha promosso un tipo di cristianesimo che lascia disoccupato il credente medio. Egli potrà offrire un sostegno, ma non è invogliato a scendere in campo. Ma in una chiesa locale sana, tutti sono chiamati a stare sul campo e a servire in un modo o nell’altro …
Ai tempi del Nuovo Testamento, non esistevano ministeri paraecclesiali. Quando Gerusalemme fu colpita dalla carestia, nessuna organizzazione internazionale inviava aiuti; piuttosto, furono le chiese della Grecia a raccogliere offerte e mandare cibo ai loro fratelli. Nel Nuovo Testamento, l’evangelizzazione e le missioni estere non venivano delegate ad organizzazioni indipendenti, ma svolte da forti chiese locali, come quelle di Antiochia e Gerusalemme. Furono le chiese ad equipaggiare i santi e a riconoscere apostoli, profeti, dottori ed evangelisti; e, guidate dallo Spirito Santo, inviavano squadre missionarie – ad esempio, Paolo e Barnaba – a predicare il Vangelo e a stabilire e fortificare nuove chiese locali.
Quando i credenti lasciano le chiese locali per realizzare le loro ambizioni ministeriali, la chiesa viene colpita, perché perde alcuni dei suoi lavoratori più efficaci. Non solo, ma è debilitata anche dalla perdita di grosse risorse economiche. Ma Dio ha in cuore di costruire ministeri, oppure chiese? Non dovremmo forse tornare ai metodi del Nuovo Testamento, che non solo sono più efficaci, ma anche molto più efficienti dei nostri?
Questi estratti sono presi dal suo libro Is there not a cause?, di cui l’edizione italiana è in preparazione presso le “Edizioni Koinonia”.
Nato a New York di genitori italiani, Joe Tosini è il pastore della “Christian Fellowship” della città universitaria di Columbia nel Missouri, chiesa di circa mille membri con undici anziani a tempo pieno. Egli visita frequentemente l’Italia, dove ha parlato in diversi convegni. È sposato e ha quattro figli.