SCARICA PDF di questo articolo
di Giovanni Traettino – Presidente della Chiesa Evangelica della Riconciliazione
Il 2000 non è stato un anno positivo per l’ecumenismo, cioè per il progetto di riavvicinamento e di riconciliazione tra i cristiani delle diverse denominazioni.
Prima, per il “Giubileo” cattolico, e in particolare per la rinnovata enfasi sulle “Indulgenze” che ne hanno costituito un elemento essenziale (vedi Tempi di Restaurazione n. 4/99 pagg. 4-7, Cos’è dunque questo “Giubileo”?). Ma non solo: tutto lo spiegamento di forze per attirare l’attenzione dei mass media, l’accesso a ricchissimi fondi pubblici e gli sforzi per coinvolgere anche i non cattolici, rafforzando così la propria posizione di egemonia culturale (almeno in Italia), hanno urtato non poco la sensibilità delle minoranze cristiane ed hanno rafforzato il sospetto che il concetto di ecumenismo di buona parte (in questo momento maggioritaria) della leadership della Chiesa di Roma sia quello di “ricondurre all’ovile (suo) le pecore disperse” delle altre Chiese.
Anche il risalto dato al culto mariano, con la “rivelazione” (per quanto deludente) del “terzo segreto di Fatima” e il “pellegrinaggio”(!) a Roma perfino della statua della “Madonna di Fatima”, accolta in piazza S. Pietro con grande onore ed in pompa magna dal Papa in persona; e inoltre la “beatificazione” di Pio IX, autore dei dogmi della “immacolata concezione” e dell’infallibilità papale, e di Padre Pio, il cui “culto” le autorità sembrano incoraggiare anziché frenare, hanno dato l’impressione di un cattolicesimo deciso a “sottolineare le cose che lo dividono” piuttosto che quelle che ha in comune con le altre chiese.
Ma la sorpresa maggiore è arrivata nel mese di Agosto con la pubblicazione della “Dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede” (l’ex Santo Uffizio) “circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa”, meglio nota con il titolo Dominus Jesus[1].
Ora, bisogna riconoscere che il bersaglio principale di questa “bordata” della Congregazione vaticana presieduta dal cardinale Joseph Ratzinger, non siamo noi delle altre confessioni cristiane. È piuttosto la tendenza – sempre più forte e diffusa – interna al cattolicesimo romano di mettere in discussione la verità assoluta del Vangelo, nonché l’autorità della Chiesa, adottando una mentalità relativistica; mentalità che purtroppo va facendosi rapidamente strada anche nelle chiese storiche protestanti. Con la conseguenza di porsi nei confronti delle altre religioni o filosofie non cristiane in un atteggiamento di “dialogo” e di “apertura” (cose non sbagliate di per sé), che spesso si traduce in un annacquamento e perfino nell’abbandono di ogni pretesa di dichiarazione del Vangelo come unica verità e di Gesù Cristo come unica via di salvezza.
Possiamo dunque dire che con gran parte di questa “Dichiarazione” ci troviamo d’accordo. I paragrafi sul relativismo riguardo alla verità (4), sulla pienezza e unicità della rivelazione cristiana (5-8), sull’unicità di Gesù (10-11, 13-14) rivolgono ai cattolici un salutare richiamo a verità bibliche basilari.
La sorpresa dolorosa arriva, invece, con la sezione intitolata: “Unicità e unità della Chiesa” (paragrafi 16-17) in cui, evidentemente per contrastare altre posizioni anche esse interne alla stessa Chiesa, si ribadisce in maniera chiara ed inequivocabile la pretesa di Roma di rappresentare l’unica vera ed autentica Chiesa di Cristo.
I fedeli sono tenuti a professare che esiste una continuità storica – radicata nella successione apostolica – tra la Chiesa fondata da Cristo e la Chiesa Cattolica: «È questa l’unica Chiesa di Cristo … Questa Chiesa, costituita e organizzata in questo mondo come società, sussiste [subsistit in] nella Chiesa Cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui»… la Chiesa di Cristo, malgrado le divisioni dei cristiani, continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa Cattolica … Le Chiese che, pur non essendo in perfetta comunione con la Chiesa Cattolica, restano unite ad essa per mezzo di strettissimi vincoli, quali la successione apostolica e la valida Eucaristia [cioè, le Chiese Ortodosse – N.d.R.] sono vere Chiese particolari … Invece le comunità ecclesiali che non hanno conservato l’Episcopato valido e la genuina e integra sostanza del mistero eucaristico [cioè, tutte le chiese protestanti ed evangeliche – N.d.R.] non sono Chiese in senso proprio; tuttavia i battezzati in queste comunità … sono in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa … «Non possono, quindi, i fedeli immaginarsi la Chiesa di Cristo come la somma – differenziata ed in qualche modo unitaria insieme – delle Chiese e Comunità ecclesiali; né hanno facoltà di pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esista più in alcun luogo e che, perciò, debba esser soltanto oggetto di ricerca da parte di tutte le Chiese e comunità» (par. 16-17 – le sottolineature sono nostre, N.d.R.)
Ora, è vero che, in un certo senso, qui non c’è nulla di nuovo: ci si limita a ripetere e a sottolineare ciò che il Vaticano aveva già ripetutamente affermato in passato. Le frasi citate tra virgolette sono tutte tratte dai documenti del Concilio Vaticano II. Però bisogna ricordare che l’espressione cruciale – “Questa Chiesa … sussiste nella Chiesa Cattolica, governata dal successore di Pietro …” – fu a suo tempo una soluzione di compromesso, volutamente ambigua (suscettibile cioè di più letture e interpretazioni), frutto evidente del dibattito tra tradizionalisti e sostenitori dell’apertura e del rinnovamento.
Infatti una prima stesura (1963) del documento “Sulla Costituzione della Chiesa”, in linea con la Mystici Corporis (1943 ) di Pio XII, diceva: “Questa Chiesa … è la Chiesa Cattolica”, mentre la stesura finale (1964) recitava: “Questa Chiesa … sussiste nella Chiesa Cattolica”. Ora è evidente che quando un testo, come quello in questione, viene – come risultato di una rielaborazione (dunque intenzionalmente) – modificato nel senso di passare da una chiara ed inequivocabile affermazione di identità tra Chiesa di Cristo e Chiesa di Roma, ad una più aperta, sfumata e comunque suscettibile di interpretazione, la cosa avrà pure un significato. Né d’altra parte nel testo in questione del Vaticano II era presente la parola “soltanto” a qualificare la presunta “solitudine”, ovvero l’unicità di Roma nel suo rapporto con Cristo. Questa parola compare invece nel documento di Ratzinger, che recita: “La Chiesa di Cristo … continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa Cattolica”.
È anche a partire dalla “rottura” presente in questa formulazione del Vaticano II che si erano potute fare spazio nel dopo-Concilio le letture “aperturiste” di esponenti (vescovi e teologi) anche autorevolissimi della Chiesa di Roma (si comprendono le odierne reazioni di sorpresa), e il dissenso alla Dichiarazione espresso oggi in forma velata (e reticente) in pubblico, più spesso e in modo esplicito, purtroppo, in privato. Per non parlare del “disagio” manifestato dallo stesso Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. È anche a partire da quel testo che aveva acquistato maggiore credibilità la prospettiva di un ecumenismo non più “romano-centrico”, e maggior vigore la speranza di unità degli altri cristiani.
Ma se negli anni ’60 la posizione adottata rappresentava una grande novità rispetto alla chiusura totale dei secoli precedenti, oggi si poteva sperare (confortati oltre che dalle aperture – ammissioni di colpa, richieste di perdono, ecc.– di Giovanni Paolo II, anche da documenti quali le encicliche Tertio Millennio Adveniente e Ut unum sint) in un’ulteriore attenuazione delle tradizionali pretese di Roma ad un monopolio così rigido ed esclusivo di verità e di ecclesialità.
Bisogna invece dolorosamente riconoscere che questo documento rappresenta un deciso passo indietro, segnala un’inversione di tendenza e attesta un tentativo di ritorno verso le posizioni di chiusura preconciliari. Si aggiunga a questo la “Nota sulle Chiese Sorelle” e il contemporaneo tentativo di recupero della figura e del pontificato di Pio IX (il papa del Vaticano I), affiancato – in un gioco di equilibri “religiosi”, politici e teologici preoccupante – alla figura e al pontificato di Giovanni XXIII (il papa del Vaticano II), e si avrà la misura del tentativo di “normalizzazione” anti-progressista in atto in Vaticano. Almeno così sembra a noi.
È indubbio che non tutti i cattolici, e neanche tutta la gerarchia, la pensa allo stesso modo (il cardinale Cassidy ad esempio, capo del dicastero vaticano responsabile delle relazioni ecumeniche, ha manifestato chiaramente il suo dissenso quanto meno rispetto ai “tempi e ai modi” di questa mossa). Per cui è probabile che la Dichiarazione faccia parte di una battaglia interna al cattolicesimo, tra tradizionalisti e innovatori, intesa probabilmente a posizionare le forze in vista della successione.
È tuttavia certo che questa lettura “reazionaria” dei documenti conciliari è un documento ufficiale del Vaticano, pubblicato con l’esplicita approvazione e ratifica del Papa (anche se non sembra essere un pronunciamento ex cathedra, ritenuto quindi “infallibile”) e non può essere ignorato, né dai cattolici, né dalle altre parti chiamate in causa. Risospinge la posizione ufficiale di Roma nei confronti di coloro che Giovanni Paolo II aveva proposto di chiamare “cristiani di altre confessioni” e “fratelli ritrovati”, verso l’isolamento e l’intransigenza: la Chiesa di Roma sarebbe la sola vera Chiesa di Cristo alla quale gli altri cristiani si dovrebbero, in ultima istanza, coordinare o riunire. Il chiaro ritorno ad un “ecumenismo a senso unico”.
Pertanto, ferme restando le ragioni della ricerca dell’unità (che hanno in Dio stesso e in Cristo la loro sorgente e il loro fondamento), dunque dell’attenzione al movimento e all’azione dello Spirito Santo (“il vento soffia dove vuole” – Giov. 3:8) anche all’interno della Chiesa di Roma (questa Dichiarazione a nostro avviso vi “contrista”, intralcia, ma non “spegne” o soffoca del tutto il “soffio” e l’opera dello Spirito Santo), dunque dell’incoraggiamento, del dialogo e dell’apertura verso quei cattolici che possiamo riconoscere come nostri “fratelli” in Cristo, una simile presa di posizione, proprio perché rappresenta un arretramento oggettivo della posizione ufficiale, una sconfitta – momentanea speriamo – del “partito” del dialogo fraterno ed evangelico, una chiara ferita al clima di fiducia che si era stabilito tra le Chiese, esige una risposta.
Abbiamo dunque maturato, come Chiesa Evangelica della Riconciliazione, la decisione di promuovere un “digiuno ecumenico”, astenendoci dalla partecipazione alle attività ufficiali della “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” del gennaio 2001. Questa decisione è figlia della sofferenza e del dolore nostri di fronte ai chiari segnali di mutamento del clima complessivo di apertura della Chiesa Cattolica Romana nei riguardi di tutti gli altri cristiani, degli evangelici in particolare. Se, d’altra parte, l’unità per la quale prega la Chiesa Cattolica, quanto meno quella ufficiale, è veramente del genere di quella che emerge da questo Dichiarazione, ci riuniremmo per chiedere a Dio due cose diverse, cosa che non ci sembra avere molto senso.
Noi non crediamo che Roma sia l’unica Chiesa di Cristo, “la pienezza del mistero salvifico di Cristo”, né che sia “madre” delle altre Chiese, né che sia superiore per qualità o per dignità alle altre. Non crediamo ad un rapporto unico e privilegiato tra Roma e Cristo. Non crediamo che l’unità per cui ha pregato Gesù sia il “ritorno” alla Chiesa di Roma.
Crediamo invece che sia una delle chiese o denominazioni cristiane, perché crediamo che, al di là degli errori, delle responsabilità e delle deficienze anche gravi, sia di ordine morale che dottrinale, accumulati nel corso dei secoli, ci siano in essa – per l’azione dello Spirito Santo – un deposito di verità, persone, posizioni e movimenti autenticamente cristiani.
Crediamo invece che il Corpo di Cristo, che è la chiesa, sia formato da tutti quei cristiani e quelle comunità che accettano e proclamano Gesù come Signore e Salvatore. Crediamo che sia necessario pregare e lavorare con essi per il rinnovamento, la riforma e l’unità visibile di questa chiesa, la chiesa di Cristo, senza altri aggettivi.
Ci turba profondamente ogni vertigine di orgoglio e di arroganza, anche se solo teologica, ogni mancanza di umiltà ecclesiale o denominazionale, per cui il mistero del Corpo di Cristo si identifichi con una qualsivoglia chiesa particolare.
Vogliamo dunque, pur separatamente in questa stagione, continuare a pregare perché si possa realizzare tra tutti i veri cristiani, figli di Dio, quell’unità desiderata da Gesù: unità di cuore e di spirito nella totale sottomissione alla volontà del Padre.
[1] Il testo di questo documento (in italiano) è disponibile sul sito Internet del Vaticano all’indirizzo: http://www.vaticano.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20000806_dominus-iesus_it.html