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di Richard Foster
Gesù ci chiama a uscire dall’isolamento … e di entrare nella solitudine.
La maggior parte delle persone è terrorizzata dall’idea di rimanere soli. Il bambino nuovo nel quartiere si lamenta: “Non gioca nessuno con me!” La matricola universitaria rimpiange gli anni del liceo quando si trovava al centro dell’attenzione: “Non conto più niente”. Il manager siede depresso nel suo ufficio: potente ma solo.
Per il timore di stare soli cerchiamo il chiasso e l’affollamento. Pronunciamo fiumi di parole, molte delle quali vuote di significato. Ci portiamo dietro radio o walkman per non essere condannati al silenzio anche quando siamo soli.
Ma l’isolamento e il chiasso non sono le uniche alternative. Possiamo coltivare dentro di noi una forma di solitudine e di silenzio che ci libera dall’isolamento e dal timore. L’isolamento è un vuoto interiore; la solitudine è invece realizzazione interiore. Non si tratta di un luogo, ma di una condizione della mente e del cuore.
C’è una solitudine del cuore che si può conoscere in ogni momento. La presenza o l’assenza di gente c’entra poco: è perfettamente possibile ritirarsi in un eremo nel deserto senza mai fare l’esperienza della vera solitudine. Se invece possediamo la solitudine interiore non avremo più timore di stare da soli perché sapremo di non essere soli, né temeremo la compagnia perché gli altri non ci condizioneranno. Anche in mezzo al chiasso e alla confusione saremo radicati in un profondo silenzio interiore.
Il silenzio interiore si manifesterà però esteriormente. Saremo liberi di stare soli, non per sfuggire alla gente, ma per ascoltare meglio Dio. Gesù viveva in una “solitudine del cuore”, e spesso cercava anche quella esteriore. Egli inaugurò il proprio ministero passando quaranta giorni solo nel deserto (Mt. 4:1-11). Prima di scegliere i Dodici, passò l’intera notte in solitudine sulle colline (Lc. 6:12). Quando ricevette la notizia della morte di Giovanni Battista, “si ritirò di là in barca verso un luogo deserto, in disparte” (Mt. 14:23). Dopo una serata di lavoro intenso, “la mattina, mentre era ancora notte, Gesù si alzò, uscì e se ne andò in un luogo deserto” (Mc. 1:35). Ai Dodici, tornati da una missione di predicazione e di guarigione, disse: “Venitevene ora in disparte, in un luogo solitario …” (Mc. 6:31). Dopo la guarigione di un lebbroso “si ritirava nei luoghi deserti e pregava” (Lc. 5:16). Insieme con tre discepoli ricercò la solitudine della cima di una montagna per vivere la Trasfigurazione (Mt. 17:1-9). E per prepararsi al suo compito più eccelso e più sacro, cercò la solitudine del giardino di Getsemani. Si potrebbero moltiplicare ancora gli esempi, ma bastano questi per dimostrare che Gesù ricercava regolarmente i luoghi solitari. E così dobbiamo fare anche noi.
Nel suo libro Vita comune, Dietrich Bonhoeffer intitolò un capitolo La giornata vissuta in comune e, per un felice intuito, quello seguente La giornata vissuta in solitudine. Entrambe sono necessarie per il successo spirituale. Egli scrive:
Chi non sa stare da solo, si guardi dal cercare la comunione … Viceversa, chi non si trova in comunione, si guardi dallo star da solo … Ognuna delle due isolatamente presa, presenta pericoli di cadute vertiginose. Chi vuole la comunione senza la solitudine, è risucchiato nel vuoto delle parole e dei sentimenti; chi cerca la solitudine senza la comunione sprofonda nella vanità, nell’autoinfatuazione, nella disperazione.1
Dobbiamo allora ricercare la tranquillità ricreatrice della solitudine per poter stare con gli altri in maniera significativa, e ricercare la compagnia e il rendiconto degli altri per poter stare da soli in maniera utile. Per vivere nell’ubbidienza, entrambe sono necessarie entrambe.
Solitudine e silenzio
Senza silenzio, non c’è solitudine. Il silenzio può talvolta significare che non si parli, ma implica sempre l’atto dell’ascolto. Astenersi semplicemente dal parlare, senza un cuore all’ascolto di Dio, non è silenzio.
Dobbiamo comprendere il legame che esiste tra la solitudine interiore e il silenzio interiore. Le due cose sono inseparabili, e tutti i maestri della vita spirituale ne parlano insieme. Per esempio, quel capolavoro della letteratura devozionale che è L’imitazione di Cristo ha una sezione intitolata L’amore della solitudine e del silenzio. Se vogliamo conoscere la solitudine, è necessario comprendere e vivere il potere trasformatore del silenzio.
Dice un vecchio proverbio: “Chi apre bocca, chiude gli occhi”. Lo scopo del silenzio e della solitudine è poter vedere e ascoltare meglio. La chiave del silenzio non è l’assenza del rumore, ma l’autocontrollo. Nella disciplina del silenzio e della solitudine, impariamo quando parlare e quando tacere. Tommaso da Kempis scrive: “Tacere del tutto è più facile che evitare le intemperanze del discorrere”.2 Il saggio Predicatore dice: “C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare” (Eccl. 3:7). La chiave è l’autocontrollo.
Con le analogie del timone e del freno, Giacomo suggerisce che la lingua, oltre a controllare, determina il corso della nostra vita. Se diciamo una bugia, questa ci porta poi a dirne altre per coprire la prima; presto il nostro comportamento è condizionato dalla necessità di rendere credibile quella menzogna. Nessuna meraviglia se Giacomo dichiara che “la lingua è un fuoco” (3:6)!
La persona disciplinata è in grado di fare ciò che occorre nel momento in cui serve. Solo chi ha imparato la disciplina del silenzio è capace di dire ciò che occorre nel momento opportuno. “Le parole dette a tempo sono come frutti d’oro in vasi d’argento cesellato” (Prov. 25:11). Chi tace quando occorre parlare, non vive la disciplina del silenzio; e chi parla quando conviene tacere, manca ugualmente il bersaglio.
Il sacrificio degli stolti
Nel libro dell’Ecclesiaste leggiamo: “Avvicinati per ascoltare, anziché per offrire il sacrificio degli stolti” (5:1). “Il sacrificio degli stolti” è un parlare religioso di origine umana. Aggiunge: “Non essere precipitoso nel parlare e il tuo cuore non si affretti a proferir parola davanti a Dio; perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra; le tue parole siano dunque poche” (v.2).
Quando Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e fu trasfigurato davanti a loro, apparvero Mosè ed Elia che conversavano con Gesù. Il testo greco prosegue: “E Pietro, rispondendo, disse a Gesù: «… Se vuoi, farò qui tre tende …»” (Mt. 17:4). Ma nessuno aveva rivolto la parola a Pietro. Egli offriva il sacrificio degli stolti!
Il Diario di John Woolman contiene una descrizione tenera e commovente dell’esperienza di uno che impara a controllare la lingua. Le sue parole sono così vivide che voglio citarle per esteso:
Andavo alle riunioni in uno stato d’animo profondamente reverenziale, e cercavo di riconoscere dentro di me il parlare del vero Pastore. Un giorno, essendo fortemente stimolato nello spirito, mi alzai e dissi alcune parole durante la riunione; ma, non attenendomi strettamente alla guida divina, dissi più di quanto avrei dovuto.
Rendendomi presto conto del mio errore, rimasi per alcune settimane afflitto nella mente, senza luce né consolazione, a tal punto che non riuscivo a trovare soddisfazione in alcuna cosa. Nel mio turbamento invocai Dio, e nella profondità della mia afflizione egli ebbe pietà di me e mi mandò il Consolatore. Allora sentii che mi era stato perdonato il mio misfatto; la mia mente divenne tranquilla e serena, e fui profondamente riconoscente al Redentore per la sua misericordia.
Dopo circa un mese e mezzo, sentendo aperta la sorgente dell’amore divino e avvertendo la spinta a parlare, dissi in una riunione poche parole, nelle quali ebbi pace. Essendo così umiliato e disciplinato sotto la croce, la mia comprensione fu rafforzata per discernere lo spirito puro che si muove interiormente nel cuore, e che mi ha insegnato ad aspettare in silenzio, talvolta per molte settimane di seguito, fino a quando avvertivo sorgere dentro di me quell’impulso che prepara la creatura ad alzarsi come una tromba per mezzo della quale il Signore parla al suo gregge.3
Che bella descrizione del processo di apprendimento vissuto da chi si sottopone alla disciplina del silenzio! Particolarmente significativa è l’accresciuta capacità che egli ricevette di “distinguere lo spirito puro che si muove interiormente nel cuore”.
Una delle ragioni per cui abbiamo tanta difficoltà a tacere è che il fatto che il silenzio ci fa sentire così impotenti. Se tacciamo, chi prenderà in mano la situazione? Lo farà Dio. Ma non glielo permetteremo mai se non ci fidiamo di lui. Il silenzio è dunque intimamente legato alla fede.
La lingua è la nostra arma di manipolazione più efficace. Ci esce dalla bocca un fiume frenetico di parole perché temiamo profondamente che gli altri ci giudichino male, perciò parliamo per far capire loro quanto siamo bravi. Se ho fatto qualcosa di sbagliato e scopro che tu ne sei a conoscenza, sarò fortemente tentato di aiutarti a capire la mia azione! Il silenzio è una delle discipline dello Spirito più profonde, proprio perché mette un freno a tutto ciò.
Uno dei frutti del silenzio è la libertà di lasciare a Dio la nostra giustificazione: non abbiamo più bisogno di correggere la nozione che gli altri hanno di noi. Si racconta che un monaco medievale fu ingiustamente accusato di certi misfatti. Un giorno, guardando dalla finestra, vide un cane che mordeva e strappava un tappeto appeso ad asciugare. Il Signore gli parlò dicendo: “Ecco ciò che io farò al tuo buon nome. Ma, se ti fiderai di me, non dovrai più preoccuparti delle opinioni degli altri”.
La lingua, dunque, non solo è un termometro che indica la nostra temperatura spirituale, ma è anche un termostato che la determina. Siamo stati talmente liberati da poter tacere? Scrive Bonhoeffer: “Solo come conseguenza rigorosa del silenzio spirituale si giungerà veramente al silenzio, al raccoglimento, a frenare la lingua”.4 Solo chi ha imparato il vero silenzio è capace di dire la parola adatta nel momento opportuno.
Catherine de Hueck Doherty ha scritto: “Tutto dentro di me fa silenzio … sono immersa nel silenzio di Dio”.5 È nella solitudine che sperimentiamo il “silenzio di Dio” e riceviamo così il silenzio interiore che il nostro cuore desidera.
La notte oscura dell’anima
Prendere sul serio la disciplina della solitudine significherà che a qualche punto del nostro cammino – forse più volte – entreremo in ciò che S. Giovanni della Croce ha descritto con l’espressione vivida “la notte oscura dell’anima”. Questa “notte oscura” alla quale siamo chiamati non è qualcosa di cattivo o di distruttivo; al contrario, è un’esperienza da accogliere come un malato accetta l’intervento chirurgico che gli promette salute e benessere. L’oscurità serve non per punirci o affliggerci, ma per liberarci. S. Giovanni della Croce abbracciava questa notte oscura come un appuntamento divino, un’occasione privilegiata per avvicinarsi al cuore di Dio. Egli la definisce “pura grazia”, esclamando:
O notte che guidasti!
O notte amabile più dell’aurora!
O notte che hai unito
l’Amato con l’amata,
l’amata nell’Amato trasformata! 6
Che cosa comporta, allora, l’ingresso in questa “notte oscura dell’anima”? Può essere un senso di aridità, di depressione, di smarrimento: veniamo spogliati della dipendenza eccessiva dalla vita emotiva. La “notte oscura” è uno dei modi in cui Dio ci fa tacere, ci porta nel silenzio per poter operare una trasformazione interiore nell’anima.
Quando Dio, nel suo amore, ci porta in questa “notte oscura”, siamo spesso tentati a incolpare tutto e tutti per la nostra aridità interiore e cercare di liberarcene. “Il predicatore è così noioso – diciamo – i canti sono così fiacchi”. Possiamo essere tentati di cercare un’altra chiesa o una nuova esperienza per riavere i “brividi spirituali”. Ciò sarebbe un grave errore. Riconosci la tua “notte oscura” per quello che è! Sii riconoscente perché Dio, nel suo amore, ti sta traendo via da ogni distrazione per poter vedere Lui. Piuttosto che fremere e lottare, sta’ in silenzio e aspetta.
Non sto parlando di quell’insensibilità alle cose spirituali che deriva dal peccato o dalla disubbidienza. Parlo di chi cerca Dio con insistenza e non ospita volutamente peccati nel proprio cuore.
“Chi di voi teme il Signore
e ascolta la voce del suo servo?
Sebbene cammini nelle tenebre,
privo di luce,
confidi nel nome del Signore
e si appoggi al suo Dio!” (Is. 50:10)
Questo brano implica che è perfettamente possibile temere Dio, ubbidirGli, confidare in Lui e appoggiarsi a Lui, e ciò nonostante “camminare nelle tenebre, privo di luce”! Un tale credente vive nell’ubbidienza, ma è entrato in una “notte oscura dell’anima”.
- Giovanni della Croce indica che durante quest’esperienza, la grazia divina ci protegge dai vizi e ci fa progredire straordinariamente nelle cose del regno di Dio:
Se durante queste tenebre l’anima vi rifletterà, riuscirà a capire molto bene quanto poco l’appetito e le potenze si perdono in cose inutili e dannose, e quanto essa sia sicura da vanagloria, superbia e presunzione vana e falsa gioia, e da molte altre cose. Se ne conclude perciò che, camminando allo scuro, l’anima non solo non si perde anzi ne trae grande profitto poiché vi acquista le virtù.7
Passi verso la solitudine
Possiamo parlare piamente della “solitudine del cuore”, ma se ciò non si traduce in esperienza concreta, mancheremo il bersaglio. Non basta dire: “Mi sono impossessato della solitudine e del silenzio interiore, basta così”.
Quali passi possono aiutarci a realizzare la solitudine? La prima cosa è di approfittare delle “piccole solitudini” di cui la nostra giornata è piena: la solitudine della mattina presto, nel letto, prima che gli altri della famiglia si sveglino; il momento di solitudine mentre si prende un caffè prima di iniziare la giornata di lavoro; quella dell’ingorgo stradale durante l’ora di punta. Possiamo trovare momenti di riposo e di ristoro quando scorgiamo dietro l’angolo un fiore o un albero. Invece di pregare ad alta voce prima del pasto, considerate la possibilità di invitare tutti a un momento di silenzio. Trovate un significato nuovo nel percorso dalla metropolitana fino a casa; uscite prima di andare a letto per gustare il silenzio della notte.
Tali ritagli di tempo vanno troppo spesso perduti, ma possono e devono essere recuperati. Sono momenti che servono come l’ago di una bussola per riorientare la nostra vita. Che altro? Si può trovare o creare un “luogo di riposo”, specificamente per il silenzio e la solitudine. Chi fa costruire una casa può includere nel progetto una stanzetta appartata dove chiunque potrà stare da solo e in silenzio. Chi già possiede la casa consideri la possibilità di riservare a questo scopo un angolo del garage o del terrazzo. Una famiglia che conosco ha una sedia speciale: chiunque vi si siede sta dicendo: “Non mi disturbate, voglio stare da solo”. Trovate dei luoghi solitari fuori casa: un angolo del parco, una chiesa che lascia le porte aperte, perfino un ripostiglio!
Osserva le tue parole per notare quanto spesso cerchi di spiegare e giustificare le tue azioni. Poi prova a fare delle buone azioni senza dire niente e nota il tuo timore che gli altro potrebbero fraintendere le tue motivazioni. Lascia a Dio giustificarti.
Disciplìnati perché le tue parole siano poche e cariche di significato: sii conosciuto come uno che, quando parla, ha qualcosa da dire. Usa un linguaggio semplice. Mantieni le promesse: “Meglio è per te non far voti, che farne e poi non adempierli” (Eccl. 5:5). Allora vivrai queste parole di Bonhoeffer: “Si tacciono molte cose inutili, e in poche parole si è capaci di dire ciò che è utile ed essenziale”.8
Prova l’esperimento di vivere una giornata intera senza parlare. Nota la sensazione di incapacità che questo produce e che indica un’eccessiva dipendenza dalla comunicazione verbale. Cerca altri modi di rapportarti agli altri che non dipendano dalle parole. Goditi questa giornata, gustala e … impara dall’esperienza.
Quattro volte all’anno, appartati per alcune ore (basta una serata) per riorientare gli obiettivi della tua vita. Che cosa vorresti aver compiuto da qui a un anno? dopo dieci anni? Stabilisci obiettivi realistici, ma sii pronto anche a sognare, a puntare in alto. Nel silenzio di quelle ore ascolta “il tuono del silenzio di Dio”. Tieni un diario dei pensieri che ti vengono.
Forse, mentre coltivi un silenzio di ascolto, ti verrà l’idea di imparare a tessere o a fare i vasi di creta. Ciò appare forse un obiettivo poco spirituale? Ma Dio è intensamente interessato a cose del genere …! O forse deciderai di imparare di più sui doni spirituali (cioè, sperimentarli di più): miracoli, guarigioni, parlare in lingue … Oppure, come una persona che conosco, investire del tempo per esplorare il dono dell’assistenza, imparando a essere un servo; o nei prossimi cinque anni conseguire una qualifica per assistere i bambini handicappati. Si tratta di scegliere la direzione della tua vita. Andrai sicuramente da qualche parte, perciò sarà meglio avere una meta stabilita in comunione con Dio.
I ritiri di studio sono potenziati quando sono uniti a un’immersione interiore nel silenzio di Dio. Come Gesù, abbiamo bisogno di allontanarci dalla gente per essere veramente presenti quando siamo in compagnia. Prenditi un ritiro una volta l’anno per il solo scopo della solitudine.
Il frutto della solitudine è un’accresciuta sensibilità e compassione per gli altri e una nuova libertà nello stare con loro. Thomas Merton ha osservato:
È nella solitudine profonda che trovo la dolcezza per amare veramente i miei fratelli. Più sono solo, più ho affetto per loro: un affetto puro, pieno di rispetto per la solitudine degli altri. La solitudine e il silenzio mi insegnano ad amare i miei fratelli per quello che sono, non per quello che dicono.9
Non senti forse la spinta, il desiderio di immergerti nel silenzio e nella solitudine di Dio? Non cerchi forse qualcosa di più di quello che hai vissuto finora, una comunione più profonda e più completa con la presenza divina? È la disciplina della solitudine che aprirà la porta. Sarai il benvenuto per entrare e “ascoltare le parole di Dio nel suo meraviglioso, terribile, dolce, amorevole silenzio che abbraccia tutto l’universo”.10
[1] D. Bonhoeffer, Vita comune, Queriniana, Brescia, pagg. 59-60.
2 L’Imitazione di Cristo, Ed. Paoline, pag. 51.
3 John Woolman, Journal (Secaucus, N.J., 1972), pag. 11.
4 Op. cit., pag. 62.
5 Catherine de Hueck Doherty, Poustinia: Christian Spirituality of the East for Western Man, Londra, 1977.
6 S. Giovanni della Croce, Opere, UTET, Torino, 1993, pag. 62.
7 Op. cit., pag. 458.
8 Op. cit., pag. 62.
9 Thomas Merton, The Sign of Jonas, Londra, 1976.
10 Doherty, op. cit.
Richard Foster è un noto scrittore cristiano statunitense proveniente dai Quaccheri. Questo estratto è stato adattato, per gentile concessione, dal suo libro Celebration of Discipline, © 1985 by Richard J. Foster.