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di Massimo Loda
Nel dare il mio contributo su un tema così controverso, ho preferito porre l’enfasi sulle radici spirituali della sottomissione. Poiché solo una radice sana può fare da supporto a un albero sano, la cosa più importante è fare chiarezza sull’aspetto nascosto della sottomissione: quello del cuore. Il vigore dell’albero è l’espressione visibile di ciò che si compie profondamente sotto terra. La sua capacità di tenuta al mutare delle stagioni, alla violenza degli agenti atmosferici e agli smottamenti del terreno dipende strettamente dalla salute, dall’estensione e dalla profondità delle radici.
La storia del cammino di Israele è un esempio per noi (1° Corinzi 10:6) e fu scritta per nostro avvertimento (v.10). Non è dunque semplicemente la storia epica di un popolo, ma un insegnamento ancora attuale per noi. La Chiesa è infatti la continuità di Israele, il popolo di re e sacerdoti che Dio si è acquistato (1° Pietro 2:9-10, Esodo 19:5-6). Noi siamo figli di Abramo e della promessa che Dio gli aveva fatta (Romani 9:7-8, Galati 3:7,29). Il popolo di Israele in marcia verso la Terra promessa è la chiesa (o assemblea) nel deserto (Atti 7:38), ma già concepita da Dio fin dalle età più antiche secondo il Suo progetto eterno (Efesini 3:9-11).
Tutto un modo di pensare, frutto di quattrocento anni di schiavitù in Egitto, dovette essere demolito per far posto a un’etica e uno stile di vita che avrebbero da allora in poi caratterizzato il popolo di Dio. In tutto il periodo che va dall’uscita dall’Egitto (che è figura del regno delle tenebre) fino all’entrata nella Terra promessa (il regno di Dio), il Signore dovette trattare tutte le attitudini sbagliate che il suo popolo aveva acquisito.
La nostra natura peccaminosa e la formazione culturale in una società centrata sull’uomo e non su Dio (Salmo 51:5) condizionano tutto il nostro modo di essere, e spesso succede che, per quanto credenti, continuiamo a vivere governati dal sistema filosofico di questo mondo. Non a caso la storia dell’Esodo è particolarmente costellata da episodi di ribellione a Dio e ai capi che Dio ha scelto per guidare il popolo.
Scontro di mentalità
Se è vero che quella storia è stata scritta per noi come avvertimento ed esempio, è evidente che la disciplina della sottomissione è un problema dell’umanità dalla creazione fino ad oggi. Lo scontro fra il regno delle tenebre e quello della luce, l’innalzamento della società alternativa, la Sion che si eleva su tutti gli altri monti come luogo di giustizia e di riposo per Dio (Salmo 132:8-14) e per gli uomini (Matteo 11:28), sono spesso ritardati dalla lentezza dei credenti nel prendere possesso della Terra promessa e della mentalità che vi è collegata (Giosuè 18:3).
Un Regno diviso al suo interno non può sussistere ma va in rovina (Matteo 12:25). La Chiesa, che è il luogo in cui l’espressione del Regno di Dio si fa visibile, è divisa al suo interno dall’atteggiamento indipendente e individualista che ci trasciniamo come frutto della nostra vecchia educazione, prima ancora che dalla frammentazione denominazionale che ne è solo la naturale conseguenza. Il modo più efficace di combattere il mondo è la dimostrazione di una vita basata su altri principi.
Mentre la società secolare si sta distruggendo, vittima del suo delirio di onnipotenza e di autosufficienza, la società di Dio è sfidata a rappresentare il suo Signore (2° Corinzi 5:20) essendone ambasciatrice.
La condizione umana degli ultimi tempi è caratterizzata dal fatto che gli uomini sono:
- amanti di se stessi
- superbi
- disobbedienti
- ingrati
- incapaci di autocontrollo(anche con la lingua – N.d.A.)
- traditori
- orgogliosi
- aventi una forma esteriore di religione, ma senza il potere della realtà (2° Timoteo 3:1-5).
Se questa è la descrizione della società del diavolo, come deve essere la società di Dio? Esattamente l’opposto! I credenti della chiesa degli ultimi tempi, quella che si sta preparando per le nozze con l’Agnello, sono invece persone:
- amanti degli altri più che di se stessi
- pronti ad essere abbassati
- obbedienti
- colmi di gratitudine
- capaci di controllarsi
- fedeli alle persone
- umili
- la cui apparenza parla della sostanza.
E tanto più forte diventa lo scontro con il mondo, tanto più dobbiamo insistere perché questi atteggiamenti, che sono l’espressione del carattere di Gesù del quale siamo stati chiamati ad essere l’immagine (Romani 8:29), siano la caratteristica della chiesa, il popolo speciale, proprio di Cristo (Tito 2:14).
Perciò è responsabilità di noi che siamo pastori:
- insegnarequeste cose, esortare e riprendere con ogni autorità (Tito 2:15);
- affermare con forzaqueste cose (Tito 2:8) affinché quelli che hanno creduto abbiano cura di applicarvisi.
D’altronde una mentalità non si costruisce con un sermone, ma con quella insistenza che l’espressione “inculcare” (Proverbi 22:6) esprime perfettamente. In questo contesto si inserisce tutto il discorso dell’autorità e della sottomissione, così spesso sottolineato nel nostro movimento. La comprensione dell’appartenenza ad un regno diverso da ogni altro ci costringe a prendere in considerazione il modo in cui questo regno esprime la sua forma di governo, nel rapporto fra autorità centrale, autorità delegata e il popolo.
Amore
Amare Dio e amare il prossimo sono il riassunto della legge e dei profeti (Matteo 22:40).
Amare Dio significa amare la sua persona, ma anche onorare e stimare le cose che Lui fa e decide. Amare il prossimo significa rapportarmi in modo corretto con tutti quelli che Dio ha messo intorno a me, sotto e sopra di me nelle varie funzioni del corpo. Amare non è una sensazione o un sentimento, ma è la decisione di comportarmi in un certo modo. Se uno dice di amare Dio che non vede e non ama il fratello che vede, si inganna (1° Giovanni 4:20). Infatti “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato …”. L’amore è azione. L’amore per Dio è amare le sue decisioni. “È Lui che ha dato Tizio come apostolo, Caio come profeta … “, ecc. (Efesini 4:11). Ha deciso Lui.
Se io non amo le persone nel ministero, prima ancora della loro funzione e del loro dono, difficilmente beneficerò del loro ministero, il quale altro non è se non un modo che Dio usa per servirmi. Anche l’amore per Dio diventa irreale se sganciato dalla riconoscenza, dalla gratitudine e dalla stima dell’opera dei ministri che sono stati istituiti da Dio per portarmi verso la pienezza di Cristo, verso una maturità sempre più alta.
Questo atteggiamento è indipendente dalle sensazioni personali, perché abbiamo imparato che il nostro cuore è ingannevole. Come sappiamo di essere salvati sia quando lo sentiamo, sia quando non lo avvertiamo, allo stesso modo comprendiamo di essere amati da Dio attraverso i ministeri anche quando i nostri sentimenti non ci conducono a quella convinzione.
Fiducia
Anche per la comprensione del funzionamento dei ministeri dobbiamo ritornare all’esempio di Israele nel deserto. Il popolo non aveva a disposizione tutti i particolari della marcia perché il Signore dava la strategia a Mosè che talvolta sembrava prendere delle decisioni sbagliate. “Di’ ai figli di Israele che tornino indietro” (Esodo 14:2). Ma non si trattava di una passeggiata! Era così insensibile Mosè ai bisogni del popolo di Dio? Non pensava ai vecchi, ai bambini, alle donne gravide?
Miriam e Aronne ricevevano anch’essi parole profetiche da Dio (Numeri 12:2) e le rimostranze contro Mosè a causa della donna etiope che lui aveva sposato potevano essere ben motivate. Ma Dio aveva dato Mosè come loro apostolo e quindi toccava a Dio disciplinare il suo operaio. Miriam e Aronne si erano mossi al di fuori del livello di autorità dato loro, e Dio li punì.
E ancora, Dathan, Abiram e Kore a cosa obiettavano? Al fatto che Mosè fosse superiore a loro. “Basta! Tutta la comunità, tutti, dal primo all’ultimo, sono santi [leggi: siamo tutti uguali!], e il Signore è in mezzo a loro; perché dunque vi mettete al di sopra dell’assemblea del Signore?” (Numeri 16:3).
Come non riconoscere tanti discorsi che si fanno ancora oggi nelle chiese? “Chi ti credi di essere? Lo Spirito Santo parla anche a me e non solo a te. Tutti siamo santi e sacerdoti allo stesso modo. Hai superato tutti i limiti! Ti stai inorgogliendo!!”
Ricordiamo: queste cose furono scritte per noi, per essere un esempio a noi. Ci sono modi molto pratici per amare Dio. Se vogliamo essere l’espressione del suo Regno, dobbiamo, prima ancora di teorizzarlo, viverne lo stile.
Onore
“Rendete a ciascuno quel che gli è dovuto: … l’onore a chi l’onore” (Romani 13:7). “Gli anziani che tengono bene la presidenza, siano reputati degni di doppio onore” (1° Timoteo 5:17).
Cosa significa onorare?
È un principio biblico esaltato fin dal Decalogo. È il primo comandamento con promessa di benedizione, il cui valore si estende dai genitori naturali a quelli spirituali perché l’onore è un atteggiamento di donazione, di gratitudine, per ciò che riconosci essere stato fatto per te. Come il tuo genitore naturale ti ha fatto nascere nella carne, il tuo genitore spirituale ti ha condotto alla rinascita e ti ha fatto crescere attraverso il governo della Chiesa, gli insegnamenti e i rapporti che nella buona e nella cattiva sorte nella chiesa si vivono. Se l’onore è “solo” spirituale, allora si arriva ad annullare il comandamento di Dio (Matteo 15:4-7).
Io onoro facendo sentire importante chi è mio conduttore, condividendo ciò che ho con chi mi ammaestra (Galati 6:6, 1° Corinzi 9:11-12). Non importa poi se la persona che decido di onorare non vuole avvalersi di questo diritto; quello che conta è che il mio cuore sia colmo di gratitudine per ciò che sta facendo. L’onore e la sottomissione sono atteggiamenti che nascono dalla comprensione dei princìpi del Regno e dalla decisione del mio cuore di lasciarmi guidare da essi, senza la resistenza che l’orgoglio spirituale crea.
Abbassamento
C’è una misura di fede e di capacità assegnataci da Dio per svolgere nella Chiesa la sua opera. La nostra capacità viene da Dio (2° Corinzi 3:6), e siccome Dio ama la Chiesa e la fa costruire da Gesù stesso (Matteo 16:18), le fornirà gli strumenti giusti per la crescita. Riposo nel fatto che chi è sopra di me ha più capacità di quanta ne abbia io. Non sarà un problema quando mi sentirò abbassato se già nel mio cuore riconoscerò di essere obiettivamente più in basso: “Umiliatevi davanti al Signore, ed egli vi innalzerà” (Giacomo 4:10), perché “Dio resiste ai superbi ma fa grazia agli umili”.
Quanti atteggiamenti carnali ritroviamo a volte in chiesa! Le reazioni ai problemi parlano della posizione del cuore. Se non sono capace di sottomettere le mie preferenze personali e le mie opinioni di come dovrebbero svolgersi le cose, riconoscendo che io per primo posso sbagliarmi, non vivrò mai in pace perché prima o poi sarò costretto a confrontarmi con cose diverse da quelle che io penso o mi aspetto. Così capitò a Naaman (2° Re cap. 5). La sua idea di Dio lo fece reagire molto fortemente di fronte ad Eliseo; ma alla fine, sebbene con un profondo senso di umiliazione, decise di obbedire e fu guarito.
Preghiamo perché la bellezza della libertà di coscienza non diventi mai scusa per l’indipendenza. Possiamo avere anche in materia spirituale opinioni diverse, ma ciò che è importante è la ricerca costante delle cose che contribuiscono alla pace e all’edificazione reciproca (Romani 14:19). Se chi è chiamato a guidare sta creandomi problemi, pregherò ancora più intensamente perché l’amore non sospetta il male, non cerca le proprie cose, non si irrita, sopporta ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa (1° Corinzi 13:5,7) e alla fine è anche capace di coprire non solo uno, ma una moltitudine di peccati (1° Pietro 4:8).
Altrimenti sono costretto ad affermare che nello scegliere quel tale ministro Dio ha commesso un errore, oppure sono in un ovile che non è il mio. L’apostolo Paolo ci stimola ad avere di noi e della nostra posizione in chiesa un concetto sobrio, non uscendo dalla misura che Dio ha dato, ad alcuni in modo maggiore, ad altri in modo minore (Romani 12:3).
Se entro in questa comprensione, non vivo più con sforzo l’essere ubbidiente perché mi pongo automaticamente nella condizione di chi ha sempre da ricevere qualche cosa.
“Se qualcuno pensa di conoscere qualcosa, non sa ancora come si deve conoscere” (1° Corinzi 8:2). Come si dovrebbe sapere? Qual è la strada per una conoscenza spirituale che non gonfi, ma che edifichi? Il riconoscere che, indipendentemente da quello che fin qui ho ricevuto, devo ancora imparare molto.
Gratitudine
Avrò allora il cuore naturalmente portato ad esprimere gratitudine a chi mi insegna con la vita, con le parole e con gli esempi. La gratitudine è la capacità interiore di esprimere esteriormente un grazie. La possibilità di poter appartenere alla chiesa che è il corpo di Cristo, mi obbliga a essere riconoscente a Dio in primo luogo, ma anche a chi la governa (Colossesi 3:15). Mi sento onorato della possibilità che i fratelli mi dànno di appartenere a questa chiesa nella quale riconosco un settore del regno di Dio e comprendo che non sono io ad onorarla con la mia presenza, ma mi sento onorato dal fatto di essere accolto in questa espressione del corpo di Cristo. Perciò, ricevendo un regno che non può essere scosso, sono riconoscente (Ebrei 12:28). L’implicazione è che sarò in una posizione di umiltà davanti a chi parla, risponderò con la mia fedeltà a chi impegna la sua vita per farmi crescere.
La disciplina della sottomissione è totalmente una questione di cuore. L’aspettativa che chi sta di fronte a me abbia materiale per costruirmi mi metterà nella condizione di avere il desiderio di stargli insieme, approfittando di tutti i momenti quali riunioni, pranzi, giochi e viaggi per passare tempo insieme.
Fedeltà
Il cuore del discepolo è per definizione ammaestrabile: è quello che mette in disparte i suoi concetti e sa ascoltare silenziosamente. “Ascoltare” è differente dal semplice “udire”. L’ascolto implica la comprensione delle sensazioni, dei sentimenti, delle intuizioni e dei desideri del cuore. Non si tratta di ricevere dei suoni da decifrare, ma di prendere in considerazione rispettosamente e operare fedelmente. Perciò, è indispensabile avere sempre il cuore ben disposto.
Come si dovrebbe sapere? Di nuovo, non è la quantità di nozioni bibliche che ci rende intelligenti della sapienza che viene dall’alto, né la comprensione teorica di tutti i principi spirituali: ma è dall’amore che vedranno applicato nei nostri rapporti che conosceranno che siamo discepoli di Gesù.
L’amore non ha uno standard unico. Amo mio padre in modo diverso da mio fratello, con tutte le implicazioni che la sua personalità, la sua posizione e la sua esperienza di vita determinano. Con mio fratello posso permettermi espressioni che nel rapporto con mio padre sono disdicevoli. Mio padre naturale, pur pensando di fare del bene, ha commesso tanti errori, ma rimane colui che mi ha dato la vita e con essa la possibilità di conoscere e servire il Signore. Gli sono perciò grato e lo tratto con la stima ed il rispetto che sono richiesti da Dio, sia quando è un padre eccellente, sia quando, secondo il mio criterio, mi delude. Gli sono fedele nel sostenerlo e nell’aiutarlo, ne parlo e lo confronto con affetto filiale, mi occupo delle sue eventuali necessità, lo metto al centro della tavola quando la famiglia si riunisce, e mi preoccupo che sia onorato dal resto dei miei familiari.
Questa è la cultura del regno di Dio, là dove il comandamento diventa vita. E i principi enunciati all’epoca di Mosè sono tuttora validi, perché il regno di Dio è eterno. Siccome poi il naturale prepara lo spirituale, questi principi governano anche il rapporto con i padri nella fede che ci formano e ci fanno crescere nel Signore.