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di Geoffrey Allen
Tra le questioni con le quali il cristiano è chiamato a confrontarsi, sicuramente una delle più importanti è l’amministrazione del denaro.
Qualcuno, analizzando i testi dei quattro Vangeli, ha calcolato che, fra tutti i temi di cui parla Gesù, è a questo che ha dedicato maggiore attenzione. Citiamo pochi brani a titolo puramente esemplificativo:
- “Non fatevi tesori sulla terra … ma fatevi tesori in cielo … perchédov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore … Nessuno può servire due padroni; voi non potete servire Dio e Mammona …” (Matteo 6:19-24).
- “Quello che ha ricevuto il seme tra le spine è colui che ode la parola; poi gli impegni mondani el’inganno delle ricchezze soffocano la parola, che rimane infruttuosa” (Matteo 13:22).
- “Io vi dico in verità chedifficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli … è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio” (Matteo 19:23-24).
Estremismi opposti
Forse su nessun argomento i cristiani hanno adottato posizioni così divergenti come su questo dell’atteggiamento da assumere nei confronti delle cose materiali. Da una parte c’è una lunga e consolidata tradizione – concretizzata (per non dire … fossilizzata!) nel monachesimo con il suo “voto di povertà” – di un rifiuto radicale delle cose materiali, spesso associato a un concetto ascetico del mondo: che, cioè, solo lo spirito e il cielo sono buoni, mentre la materia e la terra sono cattive. Idea, quest’ultima, che deve molto di più alla filosofia greca che non alla Bibbia.
All’altro estremo troviamo la moderna aberrazione del cosiddetto “vangelo di prosperità”, secondo la quale ogni credente dovrebbe vivere nel benessere e addirittura nel lusso: chi non scoppia di salute e non nuota nell’oro è stato in qualche modo derubato dei propri diritti perché pecca di mancanza di fede.
L’equilibrio biblico
Entrambe queste deviazioni sono lontane dalla prospettiva biblica sulle cose materiali. Dio, quando ha creato il mondo, ha dichiarato tutto “molto buono” (Genesi 1:31); e ancora il Nuovo Testamento dichiara che “tutto quel che Dio ha creato è buono, e nulla è da respingere”, aggiungendo che “Dio ci fornisce abbondantemente di ogni cosa perché ne godiamo” (1° Timoteo 4:4, 6:17).
Dunque, le cose materiali non sono cattive di per sé. Il problema piuttosto è dentro di noi: nei nostri atteggiamenti verso le cose e nell’uso (o abuso) che ne facciamo. La conseguenza più evidente e più rovinosa della caduta dell’uomo non si manifesta nel mondo esterno, ma dentro di noi. Si è guastato il rapporto tra l’uomo e Dio, e di conseguenza si corrompe anche il suo rapporto con il mondo che Dio ha fatto: “Hanno adorato e servito la creatura invece del Creatore” (Romani 1:25). Ha detto un saggio: “Invece di amare le persone e usare le cose, siamo portati piuttosto ad amare le cose e usare le persone”.
Non è dunque il semplice possesso dei beni materiali che è un pericolo per il credente, ma l’amore per loro: ciò che la Bibbia chiama “cupidigia”. La parola greca, pleonexia (talvolta tradotta con “avidità”, “avarizia” o “amore del denaro”), deriva molto semplicemente da due parole: “avere” e “di più”. È la ricerca di avere più di quanto già abbiamo. Così la Bibbia ci esorta: “La vostra condotta non sia dominata dall’amore del denaro (pleonexia); siate contenti delle cose che avete” (Ebrei 13:5). Anche Gesù, con la parabola del “ricco stolto”, ci avverte contro questo vizio insensato.
Infatti, come osserva Paolo: “la cupidigia (pleonexia) … è idolatria” (Colossesi 3:5). Vuol dire ricercare l’appagamento del nostro vuoto interiore nelle cose anziché in Dio, attribuendo a loro il posto che spetta solo a Lui. Ma, come osservava già il Predicatore dell’Antico Testamento: “Gli occhi non si saziano mai di ricchezze” (Ecclesiaste 4:8). E Gesù ci avverte: “State attenti e guardatevi da ogni avarizia (pleonexia); perché non è dall’abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la sua vita” (Luca 12:15).
Perciò, in un altro brano, Paolo nomina questo peccato sullo stesso piano con vizi che siamo soliti considerare ben più gravi: “Come si addice ai santi, né fornicazione, né impurità, né avarizia (pleonexia), sia neppure nominata tra di voi; né oscenità, né parole sciocche o volgari …” (Efesini 5:3-4).
Amministratori
È dunque di grande importanza che custodiamo il nostro cuore con la massima attenzione per assicurare che non sia trascinato dietro all’amore del denaro; tentazione non necessariamente legato al possesso di grandi beni! È possibile avere molto senza esserne legati, ed è altrettanto possibile essere schiavi dell’avarizia pur possedendo poco (in questo caso il peccato si definisce invidia …). “L’amore del denaro [non il denaro stesso, notate bene] è radice di ogni specie di mali; e alcuni che vi si sono dati, si sono sviati dalla fede e si sono procurati molti dolori”, ci avverte la Scrittura (1° Timoteo 6:10).
Infatti, i beni materiali di cui disponiamo, in fin dei conti, non appartengono a noi: “Al Signore appartiene la terra e tutto quel che è in essa” (Salmo 24:1). Anzi, neanche la nostra stessa persona ci appartiene per poterne fare quello che vogliamo: “Non appartenete a voi stessi, perché siete stati comprati a caro prezzo” (1° Corinzi 6:19-20). Perciò molto spesso la Bibbia descrive la nostra relazione con i beni materiali come quella di un’amministrazione.
L’amministratore condominiale è una figura nota alla maggior parte di noi. Non è il proprietario del palazzo, non è libero di farne tutto quello che gli pare e piace: se lo fa, non resterà a lungo nel suo incarico! Egli agisce per conto e per delega dei proprietari e può fare solo quegli interventi che essi autorizzano. Poi, alla fine dell’anno, è chiamato a rendere conto della sua amministrazione, giustificando ogni spesa. Ecco la nostra reale posizione nei confronti del denaro e di ogni altro mezzo materiale di cui disponiamo (la casa, i mobili, la macchina …).
Ho letto una volta la testimonianza di un cristiano molto benestante il quale, dopo la conversione, si sentì spinto a dare non solo la decima delle sue entrate, ma a dare via delle grosse somme per aiutare i poveri e per finanziare l’opera del regno di Dio. Con meraviglia si accorse che il suo cuore era rimasto talmente slegato dall’amore del denaro che, mentre firmava assegni per decine di milioni, si sentiva esattamente come un cassiere della banca che sborsa dei milioni ai clienti.
Quell’uomo aveva capito il significato di essere un “amministratore”: non si trattava dei suoi soldi, per cui darli via non gli faceva impressione! Ecco un uomo la cui vita è libera dalla cupidigia.
E, paradossalmente, quando abbiamo un atteggiamento di questo genere, Dio può fidarsi della nostra integrità abbastanza da farci prosperare materialmente, colmandoci di ogni bene, senza che questi ci corrompano o ci distolgano dal “cercare prima il regno di Dio”.
Amore per il prossimo
C’è però un altro principio importante per la nostra relazione con le cose materiali. Non basta che il nostro cuore sia libero dall’amore del denaro; bisogna considerare anche le implicazioni pratiche dell’amore che il Signore ci chiede di avere verso il prossimo. Se io ho più che sufficiente per le mie necessità e il mio prossimo – o, a maggior ragione, mio fratello in Cristo – si trova nel bisogno, l’amore mi spingerà ad aiutarlo, prima di pensare a realizzare i miei sogni o appagare i miei desideri:
“Se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l’amore di Dio essere in lui? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità … Se uno dice: `Io amo Dio’, ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto” (1° Giovanni 3:17-18, 4:20).
Ora, rispetto ai secoli passati, è cambiata oggi la distribuzione delle ricchezze. Ai tempi del Nuovo Testamento, e fino a circa duecento anni fa, c’erano grandi dislivelli nella condizione economica delle persone, differenze che si riflettevano anche all’interno della chiesa, tratta com’è da ogni condizione e ceto sociale. Ma ricchi e poveri si trovavano più o meno allo stesso modo in ogni luogo e in ogni paese.
Oggi, invece, non è più così. Certo, all’interno di ogni nazione ci sono ancora disuguaglianze anche grosse. Ma il divario più grande oggi è tra le nazioni ricche – fra le quali anche la nostra – e quelle povere (il cosiddetto “Terzo Mondo”). Tutti quanti noi in Occidente godiamo di un tenore di vita che i tre quarti della popolazione mondiale non si sogna neanche. Un’automobile? Un televisore? Andare in vacanza? Roba da ricconi! I veri problemi, per la maggior parte della gente, sono: avere abbastanza da mangiare; poter mandare i figli a scuola; rifornirsi di acqua potabile …
E questo vale anche per gran parte dei nostri fratelli in Cristo, i quali, si sa, sono sempre più numerosi proprio nel Terzo Mondo, mentre l’Occidente si “scristianizza” sempre di più (non ha forse detto il nostro Fondatore qualcosa sul tema che “il regno di Dio appartiene ai poveri” e che “è difficile per i ricchi entrarvi”?). Questi nostri fratelli fanno dei grossi sacrifici per potersi permettere il lusso di una Bibbia, e ci sono dei pastori che, magari, hanno la cura di venti o trenta chiese e si sognano il lusso di una … bicicletta per visitarle senza dover camminare per ore a piedi.
Principio di uguaglianza
L’apostolo Paolo, mentre organizzava una raccolta di fondi nelle chiese più benestanti del suo tempo a favore di quelle colpite dalla carestia (in un altro paese, si badi bene), ebbe a scrivere queste parole:
“Non si tratta di mettere voi nel bisogno per dare sollievo ad altri, ma di seguire un principio di uguaglianza; nelle attuali circostanze, la vostra abbondanza serve a supplire al loro bisogno, perché la loro abbondanza supplisca altresì al vostro bisogno, affinché ci sia uguaglianza …” (2° Corinzi 8:13-14).
C’è dunque questa “uguaglianza” tra le chiese dei nostri giorni? Direi proprio di no …! Eppure potremmo fare tanto per aiutarle materialmente, e in cambio essere grandemente arricchiti spiritualmente dalla loro “abbondanza”. Già paese come la Corea, il Brasile e la Nigeria cominciano a mandare i loro missionari in Europa!
Oltre a ciò, la Bibbia è piena di esortazioni ad avere compassione per i poveri: “Chi opprime il povero offende Colui che l’ha fatto; ma chi ha pietà del bisognoso, Lo onora”. “L’uomo dallo sguardo benevolo sarà benedetto, perché dà il suo pane al povero”. “Chi chiude l’orecchio al grido del povero, griderà anch’egli, e non gli sarà risposto” (non potrebbe essere forse questo il motivo per cui tante nostre preghiere rimangono senza risposta? – Proverbi 14:31, 22:9, 21:13). Anche Gesù ci esorta: “Vendete i vostri beni, e dateli in elemosina; fatevi delle borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nel cielo …” (Luca 12:33).
Ed è utile tener presente che, per le distorsioni dell’economia mondiale, il potere d’acquisto dei nostri soldi è enormemente più grande nei paesi poveri che non qui da noi. Così, per esempio, secondo l’organizzazione umanitaria evangelica “S.O.S. Terzo Mondo”, bastano 40.000 lire al mese – meno del costo giornaliero del giornale o di un caffè al bar – per trasformare la vita e le prospettive di un bambino nel Terzo Mondo, consentendo ai genitori di soddisfare le sue necessità vitali, mandarlo a scuola o fargli imparare un mestiere. O, per citare un altro esempio, con 600.000 lire si può costruire un edificio per una chiesa nelle Filippine: meno di quanto la maggior parte delle nostre comunità spende per l’affitto mensile!
Di fronte a queste realtà, la nostra reazione spontanea potrebbe essere quella di dire: “Allora, dovremmo rinunciare a tutto tranne alle più basilari necessità della vita – macchina, telefono, elettrodomestici, mobili – finché tutti i miei fratelli non abbiano almeno un pezzo di pane e una Bibbia!”
Credo però che una conclusione così radicale sarebbe troppo affrettata. Il problema è che viviamo in una società in cui ormai tante cose sono diventate praticamente delle necessità. Molti di noi non potrebbero recarsi al lavoro senza la macchina, né condurre la nostra vita – anche quella di chiesa – senza telefono. Anche i nostri convegni cristiani sono organizzati col presupposto che tutti, o quasi, ci arrivino in automobile. Siamo obbligati a un tenore di vita che sia comunque in qualche modo legato a quello della società in cui viviamo. Ridurre il nostro stile di vita a quello dei nostri fratelli del Terzo Mondo vorrebbe dire restare tagliati fuori dalla società in cui viviamo e con la quale siamo chiamati a comunicare, partecipandovi come “sale” e “luce”.
Stile di vita semplice
Nondimeno, ritengo che – come argomenta con forza Ronald J. Sider nel suo libro Cristiani ricchi in un mondo di fame 1 – finché c’è tanta gente che manca delle necessità della vita, dobbiamo lotta-re per adottare uno stile di vita più semplice, per poter fare qualcosa per aiutare: “Ai ricchi in questo mondo [che nei confronti della maggior parte degli esseri umani siamo tutti noi] ordina … di far del bene, d’arricchirsi di opere buone, di essere generosi nel donare, pronti a dare, così da mettersi da parte un tesoro ben fondato per l’avvenire …” (1° Timoteo 6:17-19).
Dobbiamo confrontarci, allora, con una questione molto spinosa: dove sta il confine tra la necessità e il lusso? Infatti anche questi – come “povertà” e “ricchezza” – sono concetti relativi. È difficilissimo trovare la “giusta media” tra l’egoismo sfrenato, da una parte, e il falso senso di condanna per qualsiasi spesa al di là dello stretto necessario, dall’altra. Dio non è un guastafeste! Alla fine, è una questione che ognuno deve risolvere con la propria coscienza davanti a Dio.
Credo che una buona indicazione può venire dal principio suggerito da un uomo di Dio: “Ogni cristiano dovrebbe avere un desiderio insoddisfatto”. Dovremmo, cioè, avere sempre qualche desiderio legittimo che sarebbe alla nostra portata (non parlo dello yacht, della Ferrari Testarossa o della vacanza alle Hawaii!), ma che decidiamo di non soddisfare per fare piuttosto del bene agli altri.
Cosa intendo, dunque, con “uno stile di vita più semplice”? Prendiamo qualche esempio pratico.
La macchina? Certamente alcuni di noi hanno la reale necessità dell’auto nuova, magari anche grossa (specialmente chi la usa per lavoro). Ma a molti altri sarà perfettamente sufficiente per le nostre esigenze di trasporto una più modesta, magari usata. Si tratta appunto di un mezzo di trasporto, non di un modo per esprimere la nostra personalità o per mettere in mostra la nostra importanza, come vorrebbero far credere i signori della pubblicità!
Il vestire? È proprio necessario essere vestiti sempre all’ultima moda? (E lasciamo da parte questioni di pudore, che pure in questo campo bisognerebbe considerare …!) Se abbiamo da metterci addosso abiti decenti, caldi o freschi a seconda della stagione, è proprio necessario andarne a comprare altri?
L’arredamento? È proprio indispensabile cambiarlo per questioni di gusto o semplicemente perché ci si è stancati del vecchio? E, se serve un pezzo, perché vergognarsi di dare un’occhiata a quello che offre il mercato dell’usato? Si trovano affari straordinari, mobili praticamente nuovi a prezzi stracciati … proprio perché viviamo in una “società usa e getta” caratterizzati da spese inutili e sprechi assurdi.
Il ristorante? Mangiare fuori, in Italia, è un’industria che muove un giro di migliaia di miliardi. Certo, fa piacere talvolta passare una serata diversa, magari in compagnia, liberarsi dalla necessità di cucinare, gustare qualcosa di diverso. Ma si tratta certamente di un lusso e non di una necessità … lusso che sarà bene “razionare” quando, per la cifra che si può facilmente spendere in una cena, un’intera famiglia nel “mondo della fame” potrebbe probabilmente mangiare per un anno intero, o, meglio ancora, procurarsi gli strumenti di lavoro per mangiare per tutta la vita!
E la lista potrebbe continuare: ognuno di noi può facilmente creare la propria.
Sforzandoci di adottare uno stile di vita più semplice, raggiungiamo contemporaneamente più scopi:
- Poniamo freno dentro di noi all’idolatria delle cose, al peccato della cupidigia (“avere sempre di più”). Discipliniamo il nostro stesso cuore e lo mettiamo alla prova per vedere se veramente è soddisfatto di Dio e teso verso i veri valori, quelli eterni.
- Diamo una testimonianza concreta di credere veramente al messaggio che predichiamo. Come possono credere i nostri vicini al nostro annuncio che questo mondo è solo un passaggio, che i veri valori sono quelli dello spirito, che solo Dio soddisfa i profondi desideri del cuore, se nello stesso tempo ci vedono impegnati nella stessa affannosa corsa all’accumulo delle cose materiali come tutti quanti gli altri?
- Liberiamo delle risorse per aiutare chi è veramente nel bisogno. In questo articolo ho sottolineato maggiormente i bisogni materiali, ma sono altrettanto reali quelli dello spirito: c’è anche fame di Bibbie, di mezzi per la predicazione del Vangelo, di aiuto alle chiese spiritualmente “ricche” ma materialmente “povere” per moltiplicare la propria presenza e testimonianza nelle loro nazioni. E quando si vedono i frutti della propria generosità, ci si prende gusto: anche in questo, come dice il proverbio, “l’appetito viene mangiando”!
- Diamo espressione concreta all’amore verso il prossimo, e in primo luogo i nostri fratelli in Cristo, che è parte integrante della vita cristiana. “Così dunque, finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti; ma specialmente ai fratelli in fede” (Galati 6:10).
Debiti
Infine, adottare uno stile di vita più semplice ci sarà di grande aiuto per poter mettere in pratica l’istruzione biblica: “Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri” (Romani 13:8).
Perché la Bibbia disapprova i debiti? Per un motivo molto semplice: il Signore vuole che siamo liberi. Liberi da ansie e preoccupazioni, certo, ma anche liberi di seguire Lui, liberi, se ci dovesse chiamare, a “lasciare tutto” per investire la nostra vita là dove lo Spirito ci dovesse portare.
Invece, chi ha debiti da saldare non è libero: “Chi prende in prestito è schiavo di chi presta”! (Proverbi 22:7). Non può piantare tutto per seguire la chiamata del Signore, non dispone liberamente dei propri guadagni per dare al povero o per finanziare l’opera di Dio. Li ha già impegnati.
Non solo, ma ha già messo un’ipoteca sul proprio futuro, del quale nessuno ha garanzie perché è nelle mani di Dio: “A voi che dite: «Oggi o domani andremo nella tale città, vi staremo un anno, trafficheremo e guadagneremo» … Non sapete quel che succederà domani! Che cos’è infatti la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi svanisce …” (Giacomo 4:13-14).
Se Dio è la fonte della nostra ricchezza ed Egli non ti ha dato i mezzi per disporre di quell’oggetto che desideri, non faresti forse bene a domandarti (salvo casi di emergenza) se è veramente il momento giusto per possederlo? “Siate contenti delle cose che avete”, dice la Bibbia! Dovrai in ogni caso pagarlo prima o poi: se riesci a pagare una rata di mezzo milione al mese, non sarebbe forse meglio mettere da parte la stessa cifra come risparmio, per poi pagare a contanti quando disporrai dei mezzi necessari (godendo, magari, di un cospicuo sconto invece di pagare tanti interessi)? Comunque guadagneresti molto in termini di serenità.
Chiaramente, questo discorso non vale per gli investimenti, come gli strumenti di lavoro che consentono di mettere in piedi un’attività remunerativa, o come la casa che normalmente non dovrebbe perdere di valore e che quindi, nel caso peggiore, potrebbe essere rivenduta per estinguere il debito.
Vale invece per tutti i beni “di consumo”, quelli cioè che perdono il proprio valore (l’auto, i mobili, gli elettrodomestici …); e ancora di più per i consumi puri e semplici, come un matrimonio. Molte coppie nelle comunità di cui faccio parte, invece di caricarsi di debiti per fare “bella figura” per un giorno, hanno preferito festeggiare la loro unione in maniera più semplice e genuina (sarebbe troppo ardito dire “più cristiano”?), con un semplice rinfresco, curato, il più delle volte, dagli stessi fratelli della chiesa