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di Francis Macnutt
La cosa più importante che ho imparato negli ultimi anni a proposito della preghiera per la guarigione è questo: che solitamente le persone non sono completamente guarite dalla preghiera, ma ne ricevono beneficio.
Guardando ora quell’affermazione, sembra piuttosto ovvia. La maggior parte della nostra vita è regolata dallo stesso principio. E anche la guarigione attraverso la medicina è così: quando andiamo dal dottore, rimaniamo soddisfatti se notiamo un miglioramento e constatiamo che è iniziato il processo di guarigione. Se poi il medico ci dà la speranza che il nostro corpo recupererà pienamente la salute entro quindici giorni o un mese, siamo più che contenti.
Ma talvolta i discorsi e gli scritti sulla guarigione dànno l’impressione che sia una questione di “tutto o niente”: che ogni guarigione attraverso la preghiera debba essere completa ed istantanea. Esortazioni del tipo: “Afferra ora la tua guarigione!” pongono molti malati davanti a un dilemma. Da una parte vogliono dimostrare fede in Dio rispondendo “Sì!”, ma dall’altra vogliono riconoscere onestamente: “Ancora non mi reggo in piedi, per cui non sono sicuro”.
Le guarigioni dimostrabili che si verificano nelle grandi riunioni pubbliche sono, di loro natura, istantanee, o almeno si producono in un breve periodo di tempo (per esempio, un tumore talvolta scompare nell’arco di dieci minuti). I cristiani che frequentano tali riunioni sono portati a pensare in questi termini: “Sono stato guarito in quest’istante, oppure no?”
Anch’io, sebbene mi sia sempre sforzato di mantenere un equilibrio nel mio insegnamento e nel ministero, mi rendo conto ora di aver adottato qualcosa della stessa mentalità del “tutto o niente”, “bianco e nero”. Per esempio, spesso chiedevo alla fine di un culto di guarigione: “Quanti di voi sentite, in tutta sincerità, che il Signore vi ha guariti?” E poi, poiché volevo essere onesto e avere un’idea realistica di cosa stesse accadendo, chiedevo: “E quanti sentono che non è cambiato niente?” La maggior parte degli evangelisti non pone mai quest’ultimo quesito, per cui credevo di sbilanciarmi coraggiosamente in direzione del realismo.
Dopo certe riunioni, quasi l’80 per cento alzava la mano per indicare di avere sperimentato una guarigione; in altre occasioni solo il 20 per cento. Capivo che si trattava solo di impressioni soggettive, e che una simile alzata di mani non costituisce alcuna prova scientifica tale da impressionare gli scienziati o i medici. Ma per me era un aiuto a capire con quale livello di potenza Dio stava operando in un determinato gruppo; e, col tempo, ho imparato tantissime lezioni sui modi in cui Dio opera e sulle condizioni in una riunione di guarigione che sembrano contribuire a un risultato positivo.
Ma notavo sempre che un certo numero di persone alzava la mano in maniera incerta, come se fossero nel dubbio con quale categoria identificarsi.
Soltanto più tardi ho compreso che in realtà avrei dovuto porre anche una terza domanda: “Quanti di voi non si sentono completamente bene, ma avvertono un deciso miglioramento dopo la preghiera?” Da quando ho imparato a fare anche questa terza domanda, anziché due soltanto, ho trovato come regola generale (naturalmente molto approssimativo) che circa il 25 per cento delle persone indica di essere completamente guarita; il 50 per cento è migliorato; e nel 25 per cento dei casi, sembra che non sia successo niente.
Preghiere ripetute
Questo suggerisce che per molte persone – forse per la maggior parte –non basta una sola preghiera per la guarigione: hanno bisogno delle preghiere continuate di un’altra persona o di un gruppo.
Ciò rispecchia l’esempio – per noi davvero un grande incoraggiamento – di Gesù stesso, che dovette pregare due volte per un cieco (Mc. 8:22-26). La prima volta le condizioni del cieco migliorarono notevolmente: egli “cominciava a vedere”. Ma non era ancora completamente guarito: vedeva “gli uomini come alberi che camminano”. Così anche Gesù dovette imporgli le mani la seconda volta, e allora egli “vedeva ogni cosa chiaramente”.
Se dunque perfino Gesù ha dovuto pregare due volte per una persona, noi possiamo aspettarci certamente di doverlo fare anche tre volte o più per i malati cronici che ci vengono a chiedere aiuto. Intanto una cosa è diventata abbondantemente chiara: che la preghiera per la guarigione è spesso un processo che richiede tempo. La cosa più crudele che un ministro del Vangelo possa fare è dire a qualcuno la cui malattia è parzialmente migliorata tramite la preghiera: “Ora devi credere di essere guarito. Pregare un’altra volta vorrebbe dire mancare di fede in Dio”.
In numerose occasioni ho dovuto raccogliere i cocci, rassicurando malati che hanno avvertito un evidente cambiamento quando si è pregato per loro, ma i quali, continuando a sperimentare i sintomi della loro malattia, hanno cominciato a disperare perché sembrava loro di mancare di fede. In tantissimi casi il problema non sta nel malato, ma nei ministri della guarigione che mancano di saggezza, e che tuttavia parlano in toni talmente autorevoli che i timidi credono che essi parlino con l’autorità di Dio.
Guarigioni incomplete
Guardando indietro nel tempo, ricordo alcuni malati di cancro per i quali abbiamo pregato. Alcuni di loro sono stati effettivamente guariti. Ricordo in particolare un uomo affetto da un cancro ai polmoni che scomparve completamente (come fu dimostrato dalle radiografie). Poi, un anno più tardi, ricomparve un tumore nell’intestino. Per me, la spiegazione più semplice sarebbe che la maggior parte del cancro era guarita, ma che erano rimaste alcune cellule cancerose che poi si erano moltiplicate in un’altra parte del corpo. Se avessimo avuto un po’ meno premura di proclamare la sua guarigione, avremmo continuato a pregare con lui in altre occasioni perché la potenza divina distruggesse anche gli ultimi residui del cancro, che invece si sono moltiplicati per attaccare un’altra parte del corpo.
Solo l’estate scorsa ho imparato qualcosa in questo campo. Stavamo pregando per una donna che aveva un grave problema nella schiena. Un medico che era presente esaminò le varie parti della schiena prima della preghiera. Poi pregammo, fino a quando non sembrasse che tutti i dolori fossero scomparsi e la signora potesse muoversi liberamente senza dolore. Per quel che mi riguardava, era guarita e la nostra preghiera era terminata. Ma il medico le toccò diverse zone della schiena per controllare cosa fosse accaduto, e in un punto poté ancora provocare una reazione. “È straordinario – disse – non ho mai visto un simile miglioramento in così breve tempo. È guarita al 95 per cento circa; ma ecco qui una zona che non è completamente a posto”. Così pregammo ancora, finché non fosse scomparso anche quel dolore. Il punto da notare è, ovviamente, che io – che non sono un esperto di medicina – non avevo compreso che ancora non era completamente guarita e che aveva ancora bisogno di preghiera.
Non è sorprendente, allora, che quando abbiamo a che fare con una malattia come il cancro, molto più difficile da scoprire rispetto a una colonna vertebrale distorta, è anche molto più impegnativo dichiararne la completa guarigione. A meno di ricevere da Dio una rivelazione precisa, sarebbe avventato dire a qualcuno di proclamare una guarigione totale soltanto perché ha provato un miglioramento tramite la nostra preghiera. Quello che ho imparato a fare in caso di malattie così gravi come un tumore maligno è dunque di chiedere alla gente di tornare perché io possa pregare ancora come precauzione e benedizione, anche quando sembra che il male sia completamente scomparso, finché i medici non abbiano verificato che sia effettivamente guarito.
Una testimonianza
La seguente lettera, scritta a un anno di distanza dalla preghiera, è tipica del tipo di miglioramento che spesso vediamo, senza che avvenga una guarigione completa:
Sono nata zoppa e strabica. Dopo che lei aveva pregato per me, i miei occhi si sono allineati meglio, la schiena si è raddrizzata, il piede sinistro è più vicino al giusto allineamento, la gamba sinistra ha raggiunto la stessa lunghezza dell’altra. Non zoppico più. Le mie gambe stanno migliorando gradualmente. Prima i talloni erano girati verso l’esterno e le ginocchia proiettate in avanti; ora invece è tutto quasi diritto. Se mi sdraio sulla schiena e cerco di far toccare le dita dei due piedi, ci mancano 10 cm circa: un grande miglioramento!
Quando preghiamo ripetutamente, non dobbiamo ricominciare ogni volta da capo come se non l’avessimo mai fatto prima: possiamo continuare la preghiera iniziata in precedenza, chiedendo che la vita e la potenza guaritrice di Gesù entrino in ogni cellula del corpo del malato. Oppure possiamo pregare in lingue, consentendo allo Spirito di pregare attraverso di noi per qualunque cosa sia bene in quel momento per quella persona. (“Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili …” – Rom. 8:26).
Quando le persone dicono di aver “perso la guarigione”, una possibile spiegazione è questa: che avevano creduto completa la guarigione, ma era rimasta invece qualcosa della malattia, che poi si è manifestata di nuovo.
Conclusioni pratiche
Per tutte queste ragioni, ho trovato che la mia capacità di aiutare i malati è stata grandemente accresciuta dal riconoscere che:
- C’è nella maggior parte delle guarigioni l’elemento del tempo. Anche in quelle che sembrano istantanee, c’è un periodo almeno di minuti durante il quale si verifica il cambiamento.
- C’è anche l’elemento di una potenza maggiore o minore, di un’autorità maggiore o minore in me, dal momento che io non sono Dio ma soltanto partecipe della Sua vita. Perciò la mia preghiera può allontanare la malattia e portare la pienezza della vita solo in parte. Sono un “guaritore ferito”.
- Di conseguenza, molte delle persone per le quali io prego non vengono completamente guarite, ma migliorano.
- Queste intuizioni comportano i seguenti cambiamenti nel mio ministero di guarigione:
- Devo smettere di pensare alle persone in termini assoluti come “guarite” o “non guarite” per mezzo della preghiera. Devo rallegrarmi se molte – o anche solo alcune – delle persone per le quali prego sperimentano qualcosa della potenza guaritrice di Dio e godono dopo di una salute migliore.
- Voglio crescere nell’unione con Gesù Cristo, così che la sua vita, la sua sapienza, la sua autorità e la sua potenza guaritrice possano operare maggiormente in me per guarire gli altri. Ma anche questo è un processo che richiede tempo. Senza riposarmi sugli allori, avrò pazienza, riconoscendo che la crescita è un processo organico.
- Imparerò ad avere pazienza con me stesso e con i malati, sapendo che spesso c’è bisogno ancora di tempo per compiere la guarigione.
- Scrivere queste cose, nero su bianco, le fa sembrare così semplici. Il fatto straordinario è che certe persone, pur esercitando un ministero potente di guarigione, ci mettano tanto per impararle. Può darsi che più è potente ed evidente il ministero, più diventa difficile vedere non solo il “sì” e il “no” – i guariti e i malati – ma anche il “più” e il “meno”: la malattia leggermente alleviata e il miglioramento a lungo termine.