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di Ernesto D. Bretscher
Mio padre aveva un modo molto particolare per fare capire a noi suoi figli, quando eravamo bambini, ciò che non era corretto.
Non aveva bisogno di alzare la voce, bastava che ci guardasse con la fronte corrugata … e noi subito capivamo!
I bambini hanno bisogno di qualcuno che indichi loro “il bene”, “il giusto”, e faccia loro capire anche cosa sia “male”, “cattivo” e “disonesto”. Questo dà alla loro vita orientamento e sicurezza e insegna loro a farsi una scala di valori.
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, è comparsa una nuova ideologia dell’educazione dei figli, la cosiddetta “educazione antiautoritaria”. I genitori dovevano lasciare ai propri figli fare ciò che volevano, limitandosi a dare loro un buon esempio. Se il figlio disubbidiva, diceva le bugie e rispondeva male, non bisognava rimproverarlo “per non creargli dei traumi”.
Ma la generazione cresciuta con questo sistema, diventata adulta, si è dimostrata debole, fragile, confusa e insicura. Molti di quei ragazzi si diedero alla droga, altri se ne andarono di casa come vagabondi. Nacque l’era degli hippies, del sesso libero, del rifiuto delle leggi, del ’68.
Assimilare i valori
A casa mia, quando papà e mamma si assentavano, diventavamo un po’ tutti come i topolini che escono dalle loro tane quando la casa è deserta: facevamo un baccano pazzesco. Ma al loro ritorno, come li sentivamo aprire l’uscio di casa, ridiventavamo tutti degli angioletti. E quel chiasso che avevano sentito prima di entrare in casa? Chissà come mai, noi non ne sapevamo niente! Forse era dalla vicina! Qualche volta toccava a una delle mie sorelle fare il “palo” dal balcone, pronta a informare tutti dell’arrivo di papà.
Il suo controllo costante ci faceva rigare tutti diritti e la sua assenza significava: libertà, un po’ di “respiro” e quindi via a fare i discoletti! Ma, se qualcuno finiva per fare un guaio, si sentiva subito richiamare dai fratelli: “Uuuh, adesso lo senti a papà!” Papà, il guardiano delle anime nostre! Come sapevamo bene tutti ciò che, secondo lui, era giusto e ciò che non lo era!
Molto presto scoprimmo la via per eccellenza per sfuggire alla sua “ira a venire”: dopo aver combinato qualche guaio, se volevamo farla franca, dovevamo precederlo. Prima che si rendesse conto delle nostre bravate, ci conveniva confessarle e dimostrare i frutti del pentimento. Già, chissà perché e come mai, ma riuscivamo in questo modo quasi sempre a farla franca. Era un uomo molto severo, ma anche misericordioso. Avevamo imparato che cercare di nascondere le nostre malefatte era peggio, anche perché lui scopriva sempre tutto, e allora erano guai sul serio!
Gli anni sono passati, siamo diventati adulti e i rapporti con nostro padre sono cambiati. Ma i valori derivati dalla sua etica e dalla sua giustizia sono rimasti fortemente radicati dentro di noi. Abbiamo tutti un’etica molto vicina alla sua, se non proprio identica. Ma nessuno di noi si sforza più di comportarsi come lui, dato che, “crescendo alla sua presenza”, abbiamo assimilato i suoi valori e la sua etica, che ormai fanno parte del nostro modo di essere. Ciò che un tempo facevamo per timore della fronte corrugata di papà ha ceduto il posto ai comportamenti consapevoli e maturi di persone che, ormai adulte, capiscono da sole quello che va fatto. E nei riguardi di nostro padre è rimasto un debito di profonda gratitudine e riverenza.
Il ruolo della Legge
Questi miei ricordi d’infanzia mi parlano molto del rapporto di Dio con gli uomini. Quando Egli decise di farsi un popolo, dopo i primi tempi della “infanzia” gli diede una legge, riassunta nei Dieci Comandamenti. Affidò poi a Mosè, a Giosuè, ai giudici d’Israele e, più tardi, ai re e ai profeti, il compito di insegnarla e di farla rispettare.
Anche nel Nuovo Testamento, Gesù afferma: “Finché non siano passati il cielo e la terra, neppure uno iota [ i ] o un apice [ ‘ ] della legge passerà senza che tutto sia adempiuto” (Matteo 5:18). Quando il giovane ricco chiede cosa deve fare per ereditare la vita eterna, Gesù gli risponde: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti” (Matteo 19:17), ricordandogli appunto i Dieci Comandamenti. Quando poi invia i suoi discepoli a fare di tutte le nazioni suoi discepoli, dice loro: “… insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate” (Matteo 28:20).
Siamo dunque ancora sotto la legge? La risposta è: “Sì e no”. In che senso “sì”? Nel senso che non è possibile predicare il Vangelo senza prima insegnare i comandamenti di Dio. Come farà la gente a rendersi conto di avere sbagliato e di peccare, se nessuno le mostra cosa è giusto e cosa sbagliato?
Le uniche volte in cui ho giudicato mio padre ingiusto è quando ci ha rimproverati o puniti per qualcosa che non ci aveva detto essere sbagliato. Se io non dico alla persona risentita che Dio considera l’odio al pari dell’omicidio, come potrà rendersi conto della gravità del suo peccato? “La legge dà la conoscenza del peccato” (Romani 3:20). La legge è necessaria perché ci insegna quali siano i valori di Dio.
È interessante l’esposizione di Gesù, il quale, nel predicare sulla legge mosaica, coglie e rivela lo spirito del Padre presente nella legge: “Voi avete udito che fu detto … ma io vi dico …”. Improvvisamente tutta la legge, finora vista e letta in bianco e nero, si illumina a colori. Dio ha una prospettiva dell’etica, della giustizia, dei diritti e dei doveri molto diversa da quelli a cui siamo abituati. E Gesù conclude la sua spiegazione con l’esortazione: “Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste” (Matteo 5:48). La legge di Dio mi rivela la morale di Dio stesso. Ecco perché sono ancora sotto l’influenza benefica della legge. D’altra parte, non prendiamo forse tutti noi la Scrittura come nostro codice morale di riferimento?
Eppure viene il momento in cui non siamo più “sotto il giogo della legge”. Quando ero bambino, ero sotto il “giogo” della legge stabilita da mio padre. E chi aveva il coraggio di contestargli la sua legge? Era lui il padre, l’autorità. Ci conveniva sottostare! Ma, una volta adulti, non avevamo più bisogno del suo giogo, eravamo ormai grandi abbastanza per comportarci saggiamente e quindi fare le nostre scelte senza più preoccuparci della sua fronte corrugata.
Gesù ci introduce in questa nuova fase. Con l’insegnamento di Matteo capitoli 5, 6 e 7, ci spiega i cuore della legge. “Voi avete udito che fu detto: «Non commettere adulterio»” (5:27). Sembra dirci: Da “bambini”, vi bastava sapere che avere rapporti sessuali con altri che il proprio coniuge legittimo costituisce il peccato dell’adulterio e che chi lo fa merita la morte. Ma ora che siete adulti, sappiate che già “chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (5:28). Ora Egli punta alla radice del problema: il peccato che è nel cuore.
Disciplina
Tornando a mio padre, che cosa ha fatto sì che le sue leggi diventassero parte della mia etica e del mio modo di essere? Da una parte, il fatto che mi amasse, che mi vivesse vicino, che mi esprimesse i suoi apprezzamenti e incoraggiamenti; dall’altra, la chiarezza della sua disciplina, dei suoi valori e del suo controllo. Forse a quel tempo non capivamo ancora che ogni qual volta ci sgridava o ci puniva era perché ci amava e ci proteggeva.
Da piccoli ci aveva dedicato tanto tempo per giocare con lui e ci piaceva essere abbracciati, portati in spalla, cullati, consolati. Ora che eravamo cresciutelli pensavamo fosse diventato “duro” e “cattivo” con noi. Ma era l’era della disciplina, dell’insegnamento, della formazione. Solo da adulti, finalmente maturi, abbiamo potuto capire quanto ci aveva amati. La legge di un padre senza amore provoca ribellione. La legge di un padre che ama, invece, è già grazia, perché il suo amore ci aiuta, ci provoca, ci stimola, ci costringe a fare ciò che è bene. Questo processo è chiamato: discepolato.
Con Dio, il processo è pressappoco lo stesso. Purtroppo, a causa del peccato, noi esseri umani abbiamo perso il rapporto originario con Lui, per cui non abbiamo più accesso in modo naturale e scontato al suo amore, alla sua presenza, alla sua forza. Ecco perché abbiamo bisogno della riconciliazione per mezzo di Gesù Cristo. E questa salvezza, redenzione e riconciliazione è la massima espressione della grazia: “Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Giovanni 3:17).
Ma, dopo il momento salvifico del “Chi crede in lui non è giudicato” (3:18), abbiamo ancora bisogno della grazia, di tanta grazia. Per mezzo della legge, mi è data la conoscenza del peccato, della mia povertà spirituale, della mia debolezza, dei miei difetti, dei miei vizi e delle mie tendenze caratteriali. Prendo atto che “in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene; poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no” (Romani 7:18). Ora riconosco ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. So come dovrei comportarmi; ma scopro pure che in me vi è una forza contraria che non mi permette di fare il bene. “Il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio. Ora, se io faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo compio, ma è il peccato che abita in me” (Romani 7:19-20). Per dirla con le parole di una psicologa, la dott.ssa Anna Salvo: “Si spezza ogni illusione di poter pensare la natura umana come sostanzialmente buona. Le persone non compiono il male quando vi sono costrette: sono una specie di angeli decaduti”.
La legge è dunque “il nostro pedagogo (greco paidagogos, da cui il termine “pedagogia”) per condurci a Cristo” (Galati 3:24, versione Riveduta), semplicemente perché ci fa comprendere il nostro bisogno di Lui. La legge è la “pedagogia di Dio” che ci rivela:
- l’etica e la giustizia di Dio;
- i contenuti del peccato e della giustizia;
- la nostra condizione di peccato, di debolezza e di povertà spirituale;
- il nostro bisogno di essere istruiti, educati e disciplinati da un padre;
- il bisogno dell’intervento paterno di Dio per renderci capaci di vivere a sua immagine e somiglianza.
Trasformati dalla grazia
Tutto quello che la legge dice è buono e spirituale, e crea le condizioni perché io possa cambiare. Ma la legge, da sola, non può cambiarmi. “Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti; infatti siamo opera sua …” (Efesini 2:8).
Opera sua! Solo Lui può fare di noi degni figli di Dio. Chi pone la sua fede in Gesù Cristo riceve da Lui una nuova natura, capace di vivere in comunione con Lui e di cibarsi di Lui, del Suo affetto, della Sua natura, della Sua guida. Dico: “capace”. Non è detto che lo faccia; ma può farlo.
Gesù dice: “Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se (nota: SE!) uno mangia di questo pane vivrà in eterno … “, e precisa che questo pane è la Sua carne e che la bevanda vivificante il Suo sangue che darà per la vita del mondo. Nella carne e nel sangue sono la vita, il carattere, la natura, il DNA di una persona. “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui. Come il Padre vivente mi ha mandato e io vivo a motivo del Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli a motivo di me” (Giovanni 6:51,56-57). In altre parole: come io vivo il Padre (esprimo la vita del Padre) perché mi cibo ogni giorno di Lui, così voi “mi vivrete” (esprimerete il mio carattere) se vi ciberete ogni giorno di me.
Ecco il concetto della grazia: “Non viene da noi … è il dono di Dio”. È Dio che ci rende capaci di vivere secondo i Suoi insegnamenti se viviamo un rapporto personale e quotidiano con Lui, cibandoci delle Sue parole, del Suo esempio, della Sua disciplina oltre che della Sua cura, del Suo affetto e del Suo incoraggiamento. Ci mette nelle stesse condizioni di quei bambini fortunati che hanno genitori che si dedicano a loro e che non devono sforzarsi per crescere e diventare persone equilibrate: è il loro rapporto quotidiano con i genitori, persone mature e coerenti, a farli crescere. Così è con noi: tutto ruota intorno al nostro dimorare in e con Dio.
La legge è l’insegnamento di un Padre verso i suoi figli per far conoscere loro il bene, il giusto, il vero. È l’espressione della santità, dell’etica e del carattere di Dio. Il timore di Dio ci rende attenti ai suoi insegnamenti per non trasgredirli, come noi da bambini temevamo la fronte corrugata di nostro padre perché significava la sua disapprovazione. La grazia di Dio, invece, ci mette a disposizione il Suo amore, la Sua forza, la Sua presenza, la Sua capacità per aiutarci a mettere in pratica i Suoi insegnamenti e quindi vivere secondo la Sua volontà. Questa è la ragione perché Dio ci esorta a vivere costantemente alla Sua presenza.
La Chiesa è la famiglia in cui Dio, da Padre, si muove, incoraggia, riprende, corregge, insegna, sgrida, consola e perdona. È solo in questo ambito che possiamo crescere e diventare adulti. E, una volta adulti, non avremo più bisogno della legge, in quanto conosceremo per esperienza vissuta quale sia la buona e perfetta volontà di Dio. “La mia grazia ti basta …”. Ormai avremo imparato a vivere giorno dopo giorno della grazia del Padre, anche per le situazioni più difficili.
Da una parte dunque la legge, espressione della volontà di Dio, e dall’altra la forza e la capacità divine messe a nostra disposizione per mezzo della grazia, sono una realtà straordinaria per quanti vivono la propria vita e la propria vocazione, in mezzo a qualsiasi difficoltà, in comunione con il Padre.
“Ogni Scrittura [anche la Legge, dunque] è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2° Timoteo 3:16-17).
Ma è la grazia a far sì che ci siano donate “le sue preziose e grandissime promesse, perché per mezzo di esse voi diventaste partecipi della natura divina dopo essere sfuggiti alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza. Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l’autocontrollo; all’autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l’affetto fraterno; e all’affetto fraterno l’amore … Perciò, fratelli, impegnatevi sempre di più a render sicura la vostra vocazione ed elezione; perché, così facendo, non inciamperete mai” (2° Pietro 1:4-7,10).