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di Ernesto D. Bretscher
Noi siamo chiamati ad essere “sale della terra” e “luce del mondo”, a vivere a un livello superiore a quelli che ci circondano, esprimendo la vita e la natura di Dio in tutta la sua forza e la sua potenza.
Da soli, però, non ci riusciremo mai: pur esercitando tutta la nostra forza di volontà, potremo al massimo migliorare i comportamenti esteriori per avere una parvenza dell’amore, ma non la realtà interiore. Dobbiamo imparare dunque a ricevere da Dio. È Lui la sorgente della vita, dell’amore, della pace, della dolcezza; se non impariamo a ricevere da Lui, non potremo mai tradurre in realtà quanto la Scrittura ci insegna, soprattutto per quel che riguarda l’area dei rapporti umani.
“Ma – chiederà qualcuno – come si fa per ricevere da Dio la capacità di vivere gli insegnamenti della Bibbia?” Il segreto è nel nostro rapporto con Lui: stare alla Sua presenza, dedicandoGli tempo, esprimendo la resa totale della nostra vita, contemplando e ricevendo quello che Egli è. Mentre Lo adoriamo e Gli apriamo il nostro cuore riceviamo dentro di noi la Sua vita e la Sua natura, che si manifesteranno lungo tutto l’arco della nostra giornata.
L’espressione più pratica di questa vita è nelle nostre relazioni sociali. In Atti 2:44-47 ci è descritta la qualità dei rapporti tra i fratelli nella chiesa primitiva: qualità veramente eccezionale! “Coloro che credevano stavano insieme ed avevano ogni cosa in comune”, fino al punto di “vendere í poderi e i beni e distribuirli … secondo il bisogno di ciascuno”. E “rompendo il pane di casa in casa, prendevano il cibo insieme con gioia e semplicità di cuore”. Era un modo di vivere altruista: ognuno si preoccupava delle difficoltà, dei pesi, dei bisogni degli altri.
Ma questa qualità dei rapporti dipendeva dal rapporto con Dio. Infatti “di una sola mente andavano ogni giorno al tempio”, esponendosi all’azione dello Spirito Santo. Di conseguenza, la loro vita esprimeva una qualità ben diversa da quella degli altri, anche dei più religiosi: essi “godevano il favore di tutto il popolo”, con la conseguenza che “il Signore aggiungeva alla chiesa ogni giorno coloro che erano salvati”. Si poteva vedere che facevano sul serio!
È scritto ancora che “coloro che avevano creduto erano di un sol cuore e di una sola anima” (Atti 4:32-33). Avevano capito l’essenza del messaggio di Gesù: stare uniti, volersi bene, essere sensibili ai bisogni gli uni degli altri. Non erano più attaccati ai beni materiali, ma ai cuori dei fratelli, per cui tutto poteva essere comune tra loro. La conseguenza: “gli Apostoli con grande potenza rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù; e grande grazia era sopra tutti loro”. Dio poteva benedirli con la Sua presenza e la Sua grazia: perché? Perché avevano smesso di vivere per sé e vivevano gli uni per gli altri.
Questo esempio della chiesa primitiva ci insegna ciò che Dio si aspetta da noi, lo scopo per cui siamo stati creati e salvati in Cristo Gesù.
Dottrina o pratica?
In 1° Giovanni 4:7-8, leggiamo un’affermazione molto forte: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”.
Ciò che conta non è conoscere tanti versetti biblici o avere una buona comprensione della dottrina cristiana, e neanche comportarsi in maniera più o meno accettabile e dedicarsi a tante attività della chiesa. La salvezza inizia un processo nella nostra vita, ci libera dalla schiavitù del peccato e ci mette in condizioni di poter amare, servire e piacere a Dio. Ma, una volta salvati, dobbiamo morire a noi stessi ogni giorno per amare Dio e i nostri fratelli.
Tanta gente che vive da anni in una chiesa evangelica e che pure prega, legge la Bibbia, frequenta tutti gli incontri settimanali e magari testimonia della propria fede in Cristo, non riesce ad amare. Ma la Parola è chiara: “chi non ama non ha conosciuto Dio”!
Due ragazzi che vogliono sposarsi devono conoscersi, ascoltarsi e fare delle esperienze insieme per conoscere i pensieri e il carattere l’uno dell’altra. Così è anche con Dio. Se vogliamo conoscerLo, dobbiamo passare del tempo con Lui parlandoGli, ascoltandoLo, stando alla sua presenza. Solo allora potremo realizzare quest’affermazione: “chi ama … conosce Dio” (v.7).
L’esempio di Gesù
Molti potrebbero obiettare: “Ma io voglio bene alla gente!” Ma di che amore stiamo parlando?
Noi esseri umani, creati a immagine e somiglianza di Dio, abbiamo tutti una capacità affettiva: amiamo i nostri figli, i parenti, gli amici e anche le persone che ci dimostrano stima e affetto. Ma non è questo l’amore inteso da Dio. Ognuno, in Europa come in Africa, in India o in America, è capace in qualche modo di amare: l’amore fa parte dell’essere umano. Ma Dio parla di qualcosa di superiore! “In questo si è manifestato l’amore di Dio verso di noi: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, affinché noi vivessimo per mezzo di lui” (vv.9-10).
L’amore di Dio è un amore che va verso chi non lo merita, chi non ama, chi non lo contraccambia. Infatti “in questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che lui ha amato noi …”, e con un amore pronto non solo a dire: “Ti voglio bene e m’interesso a te”, ma anche a pagare il prezzo del rapporto, il prezzo della riconciliazione. Dio non si è limitato a dirci: “Vi voglio bene, però vi trovate nel peccato e non posso fare nulla per voi”, ma, mandando Gesù, si è fatto carico Egli stesso del nostro peccato – causa dell’interruzione del rapporto – pagandolo in prima persona: “… e ha mandato il suo Figlio per essere l’espiazione per i nostri peccati” (v.10). E’ una lezione molto importante per tutti noi: imparare a farci carico degli errori e dei peccati degli altri, a fare in modo che i loro peccati non siano causa di separazione tra noi.
Amare non è semplice. Richiede sacrificio e disponibilità a dare noi stessi per gli altri. Infatti Giovanni dice ancora: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli” (1° Gv. 3:16). Quando Gesù ha dato la sua vita per noi, l’ha data per gente che Lo aveva offeso, che Lo aveva disprezzato, cui non importava niente di Lui, che addirittura gli sputarono addosso, lo flagellarono, lo crocifissero. Non si è sacrificato solo per coloro che gli dimostravano fedeltà, ma per tutti gli uomini, affinché potessero trovare la strada della riconciliazione.
Gesù ha dato la vita per ricostruire i rapporti interrotti, ha sofferto perché fosse possibile ripristinare l’amicizia e la comunione con noi. Ed è di questo tipo di amore che Dio ci parla: un amore che fa il possibile e l’impossibile, che si dona agli altri, che è pronto a morire per costruire o ricostruire i rapporti. L’amore che noi riceviamo da Dio è perfetto. L’uomo ama solo chi merita di essere amato o lo contraccambia. Questo è un amore egoistico! Ecco perché, se non impariamo ad avere un rapporto continuo con Dio e a dipendere da Lui, non potremo vivere il giusto tipo di amore. Solo Lui può trasmetterci un amore perfetto, affinché “quale Egli è, tali siamo noi in questo mondo” (1° Gv. 4:16).
Perfezione
Il modo in cui Dio vive i rapporti deve essere anche nostro: nelle situazioni nelle quali veniamo a trovarci, dobbiamo essere in grado di reagire come farebbe Lui. Qui sorgono grosse difficoltà: le Sue parole ci mettono in crisi, sembrano irrealizzabili.
Per esempio: “Fu detto: «Occhio per occhio, dente per dente». Ma io vi dico: Non resistere al malvagio … Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per coloro che vi maltrattano … affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli … Se amate coloro che vi amano, che premio ne avrete? E se salutate soltanto ai vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto? Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro” (Mt. 5:38-48).
In nessun altro campo il Signore ci chiede di essere perfetti; ma per ciò che riguarda l’amore, non si accontenta di niente di meno della stessa Sua perfezione! Ma, se ce lo chiede, ci mette anche in condizioni di farlo, perché non ci chiede di fare l’impossibile. Se dunque ci dice di essere perfetti nell’amore in questo mondo, significa che è realizzabile; anzi, è questo l’unico modo per provare che siamo figli di Dio! (1° Gv. 3:10).
Gesù dice di non resistere al malvagio; ma la nostra tendenza naturale è quella opposta: di far valere le nostre ragioni. Egli invece vuole insegnarci a rispondere come il Padre, che fa piovere sui buoni e i cattivi e fa alzare il sole sui giusti e gli ingiusti. Il suo atteggiamento è uguale verso tutti gli uomini: Egli è pronto a tendere la mano a tutti, e così dobbiamo essere noi.
Certo, Gesù non sta dicendo che dobbiamo lasciarci calpestare, ma ci chiede di avere uno spirito pacifico, dolce e disponibile. Se ci fanno delle pressioni per ottenere qualcosa da noi, dobbiamo cercare di soddisfare la richiesta. Dio vuole che la gente si senta amata da noi, che siamo sempre pronti ad accoglierla con sensibilità e attenzione. Se una persona ci tratta ingiustamente, non arroghiamoci il diritto di sentirci offesi, piuttosto pensiamo che sia una buona occasione per offrire amore.
Ancora, Gesù dice: “Amate i vostri nemici”. Non dice: “Sopportate i vostri nemici”, ma: “Amateli”! Questo vuol dire essere disposti a qualsiasi iniziativa pur di recuperare il rapporto con loro. Non reagite al male facendo il male. Parlano male di voi? Parlate bene di loro: questo è l’amore dei Padre che vive in noi. Infatti è scritto che siamo stati “creati in Cristo Gesù per le buone opere che Dio ha precedentemente preparato perché le compiamo” (Ef. 2:10). Siamo stati creati per esprimere la natura di Dio, e come figli del Padre, dobbiamo mostrare sensibilità, attenzione e rispetto verso tutti. “Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste”!
Vita superiore
In Matteo 5:16, Gesù ci dice: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli”. Se il nostro amore è allo stesso livello degli altri, non siamo niente di speciale e la luce di Dio non può essere vista in noi. Per essere visti, dobbiamo avere una qualità di vita molto superiore a quella che la gente del mondo conosce. Solo così il Padre sarà glorificato dagli uomini quando vedono l’amore dei figli di Dio.
Perché tutto questo possa realizzarsi, è importante capire una cosa. Molti pensano che l’amore sia soprattutto un sentimento: “sento di amarti, provo affetto per te”. Non lasciamoci illudere: i sentimenti possono esserne un canale, ma l’amore è innanzitutto un’attitudine. Per amare come Dio ama, è necessaria una totale rinunzia a se stessi per assumere quelle attitudini descritte da Gesù nel Sermone sul Monte.
“Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli” (Mt. 5:3). Chi sono i poveri in spirito? Sono coloro che sanno che in loro non abita alcun bene, che non sono migliori delle altre, anche dopo venti o cinquant’anni di cristianesimo, per cui non assumono mai attitudini presuntuose: “Fatti in là, perché io sono più santo di te”! Coscienti della loro debolezza, dipendono continuamente dal Padre: sanno che se amano, è perché il Padre ama in loro, se sono giusti è perché Egli lo è in loro: il bene non viene da loro, ma dal Signore. Non saranno mai orgogliosi, non si metteranno mai su un piedistallo, perché sanno che tutto quello che sono, lo devono a Lui.
“Beati coloro che fanno cordoglio, perché saranno consolati”. Chi fa cordoglio partecipa ai dolori e alle sofferenze del prossimo, si identifica con i suoi problemi, non rimane distante né tratta con superficialità le lacrime degli altri, perché toccano profondamente il suo cuore.
“Beati i mansueti, perché essi erediteranno la terra”. I mansueti sono capaci di subire i torti e le ingiustizie senza risentimento o di rancore; di ascoltare gli altri e comprendere i loro comportamenti, sopportando il male.
“Beati coloro che sono affamati ed assetati di giustizia, perché essi saranno saziati”. Che cos’è la giustizia? Consiste in rapporti giusti, vissuti nella maniera giusta: perciò, se siamo affamati di questa virtù, saremo pronti a non fare discriminazioni, a trattare tutti allo stesso modo corretto e onesto, siano essi simpatici o antipatici.
“Beati i misericordiosi, perché essi otterranno misericordia”. I misericordiosi sono comprensivi verso gli errori degli altri; sanno capire e aspettare, dando il tempo e l’opportunità di cambiare; sono pronti a perdonare di cuore; non serbano rancore ma restano sempre disponibili.
“Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio”. La purezza di cuore esclude la doppiezza, la falsità, la cattiveria e l’ipocrisia.
“Beati coloro che si adoperano per la pace, perché essi saranno chiamati figli di Dio”. Questo significa essere sempre pronti a cercare la riconciliazione, a fare in modo che i fratelli non siano feriti, e quando lo sono, a darsi da fare perché le ferite siano fasciate e guarite; ascoltando e riconciliando gli animi offesi.
Ecco coloro che manifestano il regno dei cieli!
Riconciliazione
Certo, non è facile, a volte le situazioni sono ostiche e complesse, ma la Parola di Dio ci raccomanda: “Non ci scoraggiamo di fare il bene; perché, se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo. Così dunque, secondo l’opportunità che ne abbiamo, facciamo del bene a tutti …” (Gal. 6:9-10 NRiv). Se seminiamo correttezza, fedeltà, onestà, coerenza e sensibilità, prima o poi raccoglieremo i frutti di queste attitudini: le persone cominceranno a stimarci, apprezzarci ad amarci e ci faremo tanti amici.
Un aspetto dei “fare del bene a tutti” è quello di stare attenti a non ferire i nostri fratelli. Possiamo ferire non solo con le parole, ma anche con gli atteggiamenti sbagliati. A volte permettiamo che le amarezze, i risentimenti e le offese ci impediscano di essere disponibili verso i fratelli. Ma la Scrittura dice che, al contrario, dobbiamo rispondere al male facendo il bene. Quindi, se il tuo fratello ti ha offeso e tu vedi che ha bisogno di un aiuto, vai da lui e ripaga con il bene la sua azione cattiva: così conquisterai il suo cuore.
Nei rapporti con gli altri, dobbiamo imparare a metterci in discussione. Quando siamo rimproverati o accusati, la nostra tendenza naturale è quella di giustificarci e liquidare il discorso dicendo che sono critiche infondate. Piuttosto, dovremmo considerare se in ciò che dicono non ci sia un fondo di verità, se non dobbiamo forse chiedere perdono. Non è detto che a sbagliare siano sempre gli altri!
Quando qualcuno si arrabbia e si sfoga con noi, quanto è bello dire: “Fratello, ti ascolto e ci rifletterò sopra; se ho sbagliato contro di te, fin da ora ti chiedo perdono”. Oppure: “Sì, hai ragione, ho sbagliato, ti chiedo perdono”, o ancora: “Mi dispiace che ti ho causato un problema e per il futuro cercherò di essere più sensibile; perdonami!”
Questo costruisce i rapporti molto più in fretta che giustificarsi sempre. Noi tutti – padri di famiglia, pastori, chiunque siamo – dobbiamo imparare ad assumerci le nostre responsabilità e a chiedere perdono. D’altro canto, dobbiamo anche aiutare i nostri fratelli quando sbagliano, trattando la questione privatamente con sensibilità, delicatezza e gentilezza, e una volta chiarita la faccenda, non riparlarne, né tantomeno andare in giro a raccontarla agli altri! I rapporti sono spesso difficili, ma dobbiamo rimanere fedeli all’impegno del patto di Cristo che ci lega insieme.
Perseveranza
In 2° Tessalonicesi 3:13, Paolo insiste: “Non vi stancate di fare il bene”. E se insiste, è perché qualche volta, conquistare i cuori dei fratelli richiede tempo e pazienza, talvolta anni! Ci sono persone che sul piano naturale sono molto difficili da amare e da accettare; ma, se noi non siamo capaci di amare queste persone, chi le amerà? Ricordiamo dunque che il Signore fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa alzare il sole sui giusti e sugli ingiusti, e che Egli ci chiede di amare tutti allo stesso modo e di essere disponibili in qualsiasi situazione.
In 3° Giovanni 11 leggiamo: “Non imitare il male, ma il bene. Chi fa il bene è da Dio, ma chi fa il male non ha visto Dio”. Un’affermazione semplice e chiara. Quante volte siamo tentati di ripagare il male con il male! Qualcuno vi tratta male? Non lo trattate allo stesso modo. È ingiusto verso di voi? Non ritiratevi da lui. Si offende nei vostri confronti? Non vi offendete. Vi insulta? Beneditelo. Rispondete sempre al male col bene. Gesù disse alla persona che lo schiaffeggiò davanti a Caiafa: “Se ho parlato male, mostra dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?” (Giov. 18:23).
“Ingiuriati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; vituperati, esortiamo” (l° Cor. 4:12). Chi ama sopporta, non si scoraggia e non si stanca. L’amore è disponibilità a fare il bene sempre, in qualsiasi circostanza e a qualsiasi costo.
In mezzo al mondo
Molti cristiani si separano fisicamente dal mondo, pensando così di consacrarsi al Signore. Ma questo è un grosso frainteso. SI, dobbiamo staccarci dalla cultura del mondo – dal suo modo di vivere, di pensare e di agire – ma non certo dalla gente! Al contrario, la Parola di Dio ci incoraggia a sviluppare rapporti di amicizia con la gente in tutte le occasioni: con i colleghi di lavoro, i vicini di casa, i parenti, i negozianti… E gli amici non si fanno parlando dei Signore dalla mattina alla sera, perché tanta gente è insensibile alle cose che Lo riguardano, ma piuttosto cercando gli interessi comuni e cogliendo le occasioni per amare, per servire, per stare vicino nel momento del bisogno.
Bisogna essere saggi riguardo alle cose del Signore: se vedete le persone interessate, rispondete alle loro domande, ma se no, non vi distanziate da loro, continuate a stare in loro compagnia. Sappiate sviluppare con i vostri amici un dialogo, così che, continuando il rapporto, possano rendersi conto che voi avete una qualità di vita diversa e cominciare ad aprirsi alla vostra esperienza. È importante dedicare loro del tempo… e non vi baleni in testa che questo è tempo perduto! Non vi disperate, ma perseverate, anche se vedete poco interesse nella vostra fede cristiana.
Io ho avuto un amico che non si interessava di Dio, eppure abbiamo sviluppato la nostra amicizia nell’arco di dieci anni, dopo di che il Signore gli ha aperto il cuore! La pazienza è importante in questo: noi dobbiamo mostrare amore e correttezza nei confronti degli amici, e il Signore farà il resto.
È importante non lasciarci bloccare da certe tradizioni evangeliche. Per esempio, alcuni pensano che i credenti non debbano entrare in una chiesa cattolica neanche per assistere a un matrimonio o un funerale. Questo ha offeso e scandalizzato tanti parenti e amici, i quali si sono ulteriormente chiusi al discorso del Vangelo. Se tu ami il Signore e non sei legato alle tradizioni di quella chiesa, cosa ti impedisce di entrare fra quelle quattro mura, anche se ci sono delle statue? Il fatto che ci passi davanti non ti rende certo idolatra! L’Apostolo Paolo non ha forse predicato sull’Acropoli di Atene in mezzo a tanti idoli? Ciò che importa è il nostro cuore, che non ci prostriamo davanti ad immagini per rendere loro il culto.
Non dobbiamo lasciarci condizionare dalle cose esteriori: non sono queste le cose che contaminano l’uomo. Né bisogna fare come i Farisei, che accusavano Gesù di trasgredire la legge perché guariva gli infermi di sabato. Se dunque un tuo parente o amico ti invita a un matrimonio, un battesimo, una cresima o un funerale, non commetti nessun peccato: vai per lui, per testimoniargli il tuo affetto. Se poi ti capita l’occasione, spiegagli pure perché noi ci comportiamo diversamente.
Ricordiamo che Gesù, più che con la gente per bene, stava con persone non proprio raccomandabili: prostitute, pubblicani, ladri, imbroglioni … Perché? Perché desiderava conquistare i cuori delle persone, era lì per loro. Potete ben capire come i Giudei religiosi fossero inorriditi da questo Suo atteggiamento, ma Egli disse: “Sono i malati che hanno bisogno del medico”. Siamo dunque sempre disponibili e aperti come lo era Gesù.
Dare la vita
In Giovanni 15:13, Gesù ci dice: “Nessuno ha amore più grande di questo: dare la propria vita per i suoi amici”. Come Cristo ha dato la sua vita per noi, così pure noi dobbiamo dare la nostra per i fratelli. Amare significa servire, darci agli altri, stringerci al loro cuore, essere sensibili ai loro bisogni. Infatti nella chiesa primitiva, come abbiamo letto, nessuno era bisognoso perché nessuno diceva sue le cose che possedeva, ma le vedeva come strumenti per benedire gli altri e per edificare la chiesa. Così, tutto quello che siamo in termini di maturità, di esperienza, di qualifica, di mestiere, di abilità e tutto ciò che abbiamo in termini materiali, sia al servizio dell’amore.
Anche nella nostra chiesa, quando c’è qualche lavoro da fare, non aspettiamo che siano sempre i soliti a farlo. Cerchiamo di essere sempre in prima linea, pronti a stancarci per gli altri, a sudare e a dare il nostro tempo per loro. Così si sentiranno amate, di essere preziose per noi.
A volte è veramente difficile amare, ci viene voglia di dire “basta”. Nella chiesa di Corinto erano nati dei problemi molto seri, tanto che i credenti non riuscirono a risolverli tra loro e si rivolsero ai giudici. Anche oggi succedono fatti del genere: ci sono credenti che si comportano male, seguono denunce contro denunce e si finisce in tribunale. Ma l’Apostolo Paolo dice: “Il fratello chiama in giudizio il fratello, e ciò davanti agli infedeli. È certamente già un male che abbiate tra di voi delle cause … Perché non subite piuttosto un torto? Perché non vi lasciate piuttosto defraudare?” (1° Cor. 6:7).
Se i fratelli o gli amici vengono meno alla parola o si comportano in modo ingiusto, Gesù ha detto: “Se uno vuol farti causa per toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello” (Matt. 5:40). L’amore sa passare sopra ogni torto e perdonare ogni offesa. Cercate di non fare pesare agli altri i torti che vi hanno fatto, continuate a voler loro bene. Vi devono dei soldi? Pazienza, Dio non vi farà comunque mancare nulla. È scritto: “Siate tutti concordi, compassionevoli, pieni di amore fraterno, misericordiosi e umili; non rendete male per male, oltraggio per oltraggio, ma, al contrario, benedite …” (1° Pt. 3:8, NRiv). E ancora: “Comportatevi bene fra i Gentili affinché, là dove vi accusano di essere dei malfattori, a motivo delle buone opere che osservano in voi, possano glorificare Dio nel giorno della visitazione” (l° Pt. 2:12).
Le persone osservano, magari per anni, il vostro comportamento, ma verrà il giorno in cui, visitati da Dio, potranno glorificarLo. Il nostro amore, la donazione di noi stessi agli altri, è una testimonianza molto più efficace che le nostre parole. Oggi la gente non bada più tanto alle chiacchiere, ma ai fatti, per cui dobbiamo amare, come dice l’apostolo Giovanni, “non a parole, ma a fatti e in verità” (l° Gv. 3:18).
In conclusione, voglio incoraggiare a fare una sola cosa: amarvi! Mariti e mogli, genitori e figli, fratelli e sorelle, vogliatevi bene in Cristo Gesù, al di là dei vostri limiti, difetti, errori o immaturità! Anche se vi potete rimproverare tanti sbagli, vogliatevi bene lo stesso, perché l’amore è l’adempimento di tutto l’insegnamento di Gesù, di tutta la legge: “chi ama … ha adempiuto la legge”; “chi ama … conosce Dio” (Rom. 13:8, 1° Gv. 4:7). Chi ama è veramente figlio di Dio. Chi ama Lo vedrà, Gli piacerà, sarà uno strumento nelle Sue mani. Lasciatevi dunque benedire dall’amore che Dio sparge nei vostri cuori per lo Spirito Santo; cercate la Sua presenza, stando quanto più potete in comunione con Lui, in modo che Egli diffonda la Sua unzione su di voi dandovi così la capacità di amare il vostro prossimo come fa Lui. Siate perfetti nell’amore come è perfetto Dio!