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di Giovanni Traettino
Nell’affrontare il tema “Una chiesa missionaria”, è necessario chiarire alcuni termini. La missione infatti dipende dalla visione. Se la visione è sbilanciata, lo è anche la missione; solo da una visione equilibrata nascerà una missione sana.
I termini essenziali della questione sono tre: la missione, la chiesa e il mondo. La missione è definita dal concetto che abbiamo di “chiesa” e di “mondo”. Per comprendere che cos’è la missione, dobbiamo quindi chiederci che cosa sono la chiesa e il mondo. È importante chiarirci le idee, perché una teologia sbagliata produce un atteggiamento sbagliato.
Dalla natura della chiesa dipende la definizione di chi è cristiano e chi non lo è: in rapporto alla definizione della chiesa, decidiamo chi è il nostro alleato e chi è invece l’oggetto della missione, chi deve essere evangelizzato. Questa è una problematica che si porrà sempre di più. La secolarizzazione del nostro paese sta producendo infatti un grande beneficio: una sempre maggiore distinzione tra chi crede e chi non crede. I credenti sono costretti a prendere posizione, a darsi una definizione più chiara della propria spiritualità e a distinguersi dal mondo. Credo che la maggiore apertura che oggi c’è all’interno del mondo evangelico sia il risultato di questa secolarizzazione, che ci spinge a relativizzare le differenze tra di noi.
La nostra concezione della chiesa definisce il confine della comunione tra i cristiani. Chi sono quelli che possiamo chiamare fratelli? Da chi ci dissociamo e su quale base? È possibile avere un rapporto con fratelli di origine diversa, pur tenendo chiare le verità che ci contraddistinguono? Con chi possiamo pregare e con chi fidanzarci? Chiaramente, è molto più semplice mettere le cose in bianco e nero e limitarci a chi la pensa come noi: come dice il proverbio, “Mogli e buoi dei paesi tuoi”!
Settarismo
È in base alla definizione della chiesa che definiamo anche cos’è una setta. Quando si parla di “setta” non ha importanza il numero – se si tratta di dieci o di diecimila persone – ma la mentalità. Nell’ambiente cattolico si definiscono “sette” tutti i gruppi non cattolici; ma una concezione più equilibrata di setta distingue tra quelli che hanno uno spirito settario ma che sono cristiani, e i gruppi che non sono fondati sulla fede storica cristiana, cioè sul credo niceno.
Voglio proporre dunque questa definizione: la chiesa è l’insieme di tutti quelli che riconoscono Gesù come Signore. Chiunque è nato di nuovo ed è discepolo di Gesù fa parte della chiesa universale. Questa definizione è biblica (cfr. 1° Corinzi 1:2), ma è anche molto larga rispetto alle definizioni denominazionali. È importante per la nostra salute spirituale vedere la “grande chiesa”, la chiesa universale, e di vedere noi stessi in un rapporto dialettico e di stimolo profetico nei confronti di tutti gli altri cristiani.
Agostino disse: “Nelle cose essenziali unità, nelle cose secondarie libertà, in tutte le cose carità”. Purtroppo, la storia del cristianesimo è la storia del tradimento di questo principio. Quando si arriva al concreto, cominciamo a litigare e a dividerci. E, tragicamente, sono i cristiani più vicini nello spirito che nel corso della storia hanno sempre combattuto maggiormente l’uno contro l’altro. Dobbiamo invece avere la franchezza e la libertà di riconoscere come nostri fratelli tutti coloro che si sono ravveduti e hanno fede in Gesù, senza riguardo al contesto in cui sono inseriti.
Questo discorso dell’unità è infatti strategico ai fini dell’evangelizzazione. L’atteggiamento di chi pensa, anche inconsapevolmente, “Noi siamo la chiesa, e tutto il resto è di seconda, terza o quarta categoria”, è dannoso alla missione della chiesa. Credo che tutti noi abbiamo incontrato persone che ci dicono: “Ma se non siete d’accordo tra di voi, che cosa venite a proporci?”
Anche la nostra mentalità di evangelici italiani – che è stata essenzialmente “Evangelizziamo i cattolici” – deve essere ridefinita. Oggi il problema maggiore è piuttosto evangelizzare quelli che non hanno chiesa, che sono secolarizzati, che non hanno alcuna conoscenza di Cristo. E su questo terreno ci troviamo spalla a spalla con quei credenti che ci sono nella chiesa cattolica.
Le implicazioni sono grosse, ma dobbiamo portare avanti queste riflessioni per definire la nostra spiritualità e il nostro modo di essere presenti nella chiesa, prima, e poi nel mondo.
Tre concezioni
Storicamente, ci sono stati essenzialmente tre modi diversi di concepire la chiesa: la concezione monastica, la concezione che sottolinea soprattutto l’aspetto sociale, e quella della chiesa come strumento di riconciliazione.
Quando parlo di una concezione monastica, intendo dire una chiesa che concepisce il mondo come malvagio, irrimediabilmente lontano da Dio, e che prende le distanze dalla chiesa “tiepida”, considerata apostata e traditrice, e quindi si chiude in se stessa, entrando nel “monastero”. Purtroppo gli insegnamenti biblici sul ritorno di Cristo, le persecuzioni, eccetera, rinforzano una posizione sbagliata in partenza. Una conseguenza di questa mentalità è che è tempo perso impegnarsi a cambiare la realtà intorno a noi: l’impegno sul lavoro, l’impegno sociale e politico sono visti come uno spreco di energie. L’unico impegno valido è quello di evangelizzare le persone e portarle dentro il “monastero”.
Questa mentalità di ghetto è presente in molti gruppi evangelici: “Tutto ciò che non è come noi sta andando alla perdizione”. A lungo andare, l’isolamento del “ghetto” porta anche a sviluppare un linguaggio particolare che rende difficile la comunicazione con il mondo esterno.
All’altro estremo, c’è chi vede la chiesa come un’agenzia di liberazione sociale. Essa diventa uno strumento di lotta politica: combatte per l’ecologia, per la liberazione delle donne, per la giustizia sociale e i diritti umani, riducendo la sua missione a questi aspetti temporali.
Riconciliazione
Tra queste due posizioni estreme, credo che c’è una posizione bilanciata che siamo chiamati ad adottare, in cui comprendiamo il Vangelo come impegno per la riconciliazione tra Cristo e l’uomo. La proclamazione del Vangelo, la conversione personale e il discepolato sono tenuti in equilibrio con la preoccupazione per la condizione umana e sociale dell’uomo.
Questa definizione della chiesa come “strumento di riconciliazione” dell’uomo con Dio si può illustrare in termini di corpo. Un corpo è fatto di materia e di spirito, di intelligenza e di emozioni: è complesso e articolato, con una serie di funzioni, e interagisce sia con il mondo naturale che con quello spirituale.
In questa concezione, Dio non è visto solo come uno che vuole salvare il mondo portando tutti a Cristo, ma anche come il Creatore e Giudice degli uomini che si preoccupa della giustizia e della riconciliazione di tutta la società umana. Non si preoccupa solo a strappare gli uomini al mondo che va in rovina, ma anche di “bonifica”. Infatti la chiesa è chiamata ad essere non solo luce ma anche sale. La presenza della chiesa non è solo un’operazione di salvataggio, ma di ricupero di tutta la realtà a tutti i livelli. L’uomo, oltre al mandato di salvare, ha anche il mandato di curare, coltivare e governare la terra.
Il Re della terra
È Dio che ha stabilito i magistrati come Suoi ministri (Romani 13:1-5) per preservare nella società quel minimo di ordine e di giustizia che le consente di sopravvivere. Dio dunque si interessa alla società, e di conseguenza anche la chiesa se ne deve interessare. La missione allora è arricchita da questa preoccupazione divina, che non riguarda solo lo spirito, ma l’uomo intero: ha a che fare con la salvezza spirituale, ma anche con un regno di pace che Dio vuole stabilire nel mondo. Il che non significa però che questo regno sarà completo e totale.
Ci aiuta qui l’esempio di Gesù. Egli si presenta come il Figlio dell’uomo, ma anche come il Servo sofferente di Isaia. Al suo tempo la gente aspettava la salvezza in termini di regno, ma Gesù si è presentato come uno che serve, e nella Sua persona unisce l’aspetto di bonifica e di governo con quello della salvezza individuale. Egli è il modello della nostra missione: infatti Egli dice: “Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo” (Giovanni 17:18). E vediamo come Gesù annuncia la salvezza dell’anima, ma si preoccupa anche dei bisogni materiali e fisici della gente, delle guarigioni e dei miracoli a favore della gente.
Così, mentre nella prima concezione abbiamo l’immagine della chiesa di qua, il mondo di là e la missione come un ponte tra i due, in questa concezione abbiamo un cerchio che rappresenta il mondo, con dentro la chiesa che, da dove si trova, lancia dei ponti e tocca il mondo in vari modi: sul posto di lavoro, con opere sociali, in politica … C’è poi tra la chiesa e il mondo un’area sfumata, grigia, quasi di sovrapposizione. Al centro della chiesa c’è una posizione forte e chiara, ma intorno c’è un cristianesimo degradato.
Gettare dei ponti
Questo modo di pensare libera la chiesa da una comprensione di sé settaria, di ghetto. Noi che siamo una minoranza dobbiamo stare attenti nel nostro paese a non finire in un angolo della nostra città e, per reazione, chiuderci sempre di più nel linguaggio, nelle relazioni e nell’impegno. Dobbiamo invece rischiare. Infatti il modello che ci propone Gesù è di uno che sposa la forma umana con tutte le sue fragilità, identificandosi con una cultura, un ambiente e una condizione sociale particolare. Chiaramente questo vuol dire rendersi vulnerabili e comporta il rischio di essere feriti. Ma è ciò che ha fatto Gesù: “Pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini …” (Filippesi 2:6-7).
Ed è quest’immagine del servo quella che meglio ci aiuta ad interpretare il nostro ruolo nella missione verso il mondo. Gesù dice: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire” (Marco 10:45), e ancora: “Io sono in mezzo a voi come colui che serve” (Luca 22:27). Anche noi dunque, in quanto chiesa, Corpo di Cristo, dobbiamo sposare la condizione umana e diventare dei servi dell’umanità. Il nostro ministero non è fatto solo di parole ma anche di opere. L’evangelizzazione non si esaurisce nella proclamazione orale – anche se questa è certamente prioritario, perché lo spirito è la parte più importante dell’uomo – ma deve poi estendersi alle opere per toccare anche l’anima e il corpo. Siamo “missionari” non solo nello “spazio religioso” della nostra vita, ma anche sul posto di lavoro, nella scuola, in casa, in ogni cosa che facciamo.
Noi a Caserta, nel corso degli anni, abbiamo cercato di avere questa sensibilità con vari tentativi di presenza nel sociale: per esempio, avviando uno spaccio comunitario, una scuola materna ed elementare, un’impresa di impianti elettrici. I fratelli di Roccella Jonica hanno fondato una casa di accoglienza per bambini bisognosi. Questi sono dei canali attraverso i quali esprimiamo l’amore di Dio, testimonianze che danno spessore alla proclamazione del Vangelo. Se un mio fratello è disoccupato, non posso limitarmi a dire: “Stai tranquillo, santificati e un giorno saremo insieme con Gesù”. Il mandato di Dio tocca anche la vita quotidiana di mio fratello.
Dobbiamo riflettere di più e usare la nostra creatività per essere presenti nella società e toccare i bisogni psicologici e fisici dell’uomo. Per esempio, un consultorio per problemi psicologici, matrimoniali e famigliari, dove si tocchino problemi importanti quali il divorzio e l’aborto, può essere un modo molto valido di portare il Vangelo alla nostra società. Anche il mondo degli immigrati, sempre più presente soprattutto nella nostra regione, è una sfida che non possiamo permetterci di ignorare.
Queste cose ci consentiranno, se non di convertire, almeno di conquistare la stima della gente in mezzo alla quale viviamo. Così fu nella chiesa primitiva: “… lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che erano sulla via della salvezza” (Atti 2:42-47).
Dobbiamo eliminare la mentalità secondo cui, quando abbiamo organizzato una o due “campagne di evangelizzazione” durante l’arco dell’anno, abbiamo fatto il nostro dovere. La chiesa è chiamata ad essere una chiesa missionaria, presente nella società come luce e come sale, con l’obiettivo di dare un sapore diverso e migliore a tutta quanta la minestra.