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di Ernesto D. Bretscher
Nelle varie arterie che confluivano verso il grande incrocio, lunghe colonne di automobili erano ferme ai semafori in attesa del verde. Scattò il “via libera” per il vecchio tram arancione, che si avviò con un clangore nell’incrocio.
Alcune scintille, un crepitio secco e il grosso veicolo, carico di pendolari, si fermò proprio in mezzo all’incrocio, bloccando così tutto il traffico. Il conducente scese rapidamente dalla cabina, corse verso la parte posteriore ed afferrò un cavo collegato con il pantografo, cercando di rimetterlo in contatto con il cavo elettrico sospeso un paio di metri sopra di lui. Tirò un po’ a destra, un po’ a sinistra, mentre gli automobilisti spazientiti cominciavano a suonare i loro clacson.
Finalmente, con una scintilla, il mezzo fu ricollegato con la sua sorgente di forza motrice, la linea elettrica. Pochi secondi e il vecchio tram ripartiva sferragliando, liberando l’incrocio ormai intasato.
C’era voluto ben poco perché la potente macchina si fermasse, ma altrettanto poco per ripartire! Tutto dipendeva dal suo contatto con l’elettricità. Il tram, per quanto equipaggiato di potenti motori e guidato da un manovratore esperto, da solo non poteva più muoversi di un centimetro. La sua capacità proveniva interamente dalla linea elettrica. E non bastava saperlo; bisognava agire di conseguenza e assicurare che il pantografo rimanesse sempre in contatto con la linea!
Dominare il peccato
In Genesi 4:7, Dio avverte Caino che il peccato sta cercando di prendere il controllo su di lui e che egli deve dominarlo. La Bibbia cattolica (Ed. Paoline) così commenta quest’affermazione: “Profonda verità, da cui appare chiaro che il peccato originale, pur avendo privato l’uomo della vita divina … non gli ha tolto le facoltà essenziali, né per ciò che riguarda la vita esterna, né per quanto riguarda la vita interna”. Vuole con questo significare che l’uomo può da sé controllare e dominare sia la sua vita psichica che quella spirituale. E poiché, chi più, chi meno, siamo tutti – almeno sul piano culturale – figli del cattolicesimo romano, portiamo dentro di noi questa convinzione: che abbiamo in noi la capacità di dominare il male, il peccato e la carne … sopratutto ora che siamo credenti in Dio!
Alcuni sinceri cristiani, soprattutto nell’ambito pentecostale, si spingono fino a fare affermazioni come queste: “Poiché sono nato di nuovo e sono stato battezzato di Spirito Santo, il peccato non abita più in me”. Si basano su versetti come 1° Giovanni 3:9 che afferma: “Chiunque è nato da Dio non commette peccato”, oppure sul versetto 8: “Chi commette il peccato viene dal diavolo”. E pertanto, quando commettono qualcosa che sanno essere peccato, la colpa è sempre e solo del diavolo che li ha tentati e fatti cadere. Una convinzione di questo tipo tende a definire “peccato” solo azioni di evidente disubbidienza alle leggi della Scrittura.
Ma cosa dire delle attitudini e delle motivazioni sbagliate, delle debolezze del nostro temperamento quali collera, risentimento, ansietà, preoccupazioni, invidia, gelosia, autocommiserazione, mancanza di sensibilità verso gli altri, assenza di ammaestrabilità, e così di seguito?
Troppi cristiani hanno la presunzione di essere pieni di Spirito Santo e di essere perciò senza peccato, ma di fatto, nel comportamento quotidiano, sono peggiori di tanta gente che magari non si ritiene neanche credente!
La forza della carne
Il grande apostolo Paolo, che più volte affermava: “Siate miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo” (1° Corinzi 11:1, cfr. 4:16 e Filippesi 3:17), fa le seguenti affermazioni riguardo a se stesso:
“Io sono carnale, venduto schiavo al peccato. Io non approvo quello che faccio: infatti non faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio … Difatti, io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene; poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no” (Romani 7:14-18). E aggiunge espressioni come queste: “il peccato che abita in me” (v. 20); “quando voglio fare il bene, il male si trova in me” (v.21); “vedo un’altra legge nelle mie membra che mi rende prigioniero della legge del peccato” (v. 23); “con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato” (v. 25).
Parole forti ed oneste, che descrivono con grande realismo e obiettività la condizione del nostro essere, prigioniero della forza dell’io e del peccato. E questo anche se siamo persone che hanno vissuto l’esperienza della conversione e della fede in Dio. La vita dell’io è in chiara contrapposizione con la vita di Dio. Bisogna essere saggi e non illuderci di essere ciò che non siamo. Dobbiamo imparare ad essere realisti e onesti, se vogliamo avere qualche possibilità di crescere ad immagine e somiglianza del Padre nostro che è nei cieli, eliminando quanto in noi non riflette la Sua natura.
Contrasti interni
Dai versetti citati sopra emerge chiaro che in noi vi sono due elementi fondamentali:
- l’uomo interno, ossia lo spirito, esposto all’influenza della legge di Dio;
- l’uomo esterno, ossia l’anima, l’io, la carne, la psiche, venduto schiavo al peccato e quindi sottoposto alla legge del peccato.
Anche dopo aver conosciuto Cristo ed esserci arresi a Lui, “quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato da Spirito è Spirito” (Giovanni 3:6). Lo spirito diventa “pronto” ma la carne rimane debole (Matteo 26:41). Per cui Paolo arriva a dire: “Io so che in me, nella mia carne, non abita alcun bene”.
Il nostro spirito viene rigenerato, diventa sensibile alla Parola di Dio e allo Spirito Santo, mentre la nostra psiche (la carne), anche se aderisce alla volontà di Dio e risponde alla presenza dello Spirito Santo, continua ad essere interessata più alla soddisfazione dei propri desideri che non a quelli dello spirito.
Ci ritroviamo così ad essere divisi dentro. Chi prevarrà? È importante non sottovalutare la potenza della nostra anima, i suoi inganni e sotterfugi, il suo stato di corruzione. La Scrittura è piena di esempi di questa contrapposizione. Per esempio: “La lingua è un fuoco, è il mondo dell’iniquità … con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo (diciamo male de) gli uomini che sono fatti a somiglianza di Dio” (Giacomo 3:8-9). O ancora: “Da dove vengono le guerre e le contese tra di voi? Non derivano forse dalle passioni che vi agitano nelle vostre membra?” (Giacomo 4:1).
Se la nuova nascita o il battesimo nello Spirito Santo avessero eliminato il peccato dalla nostra vita, come mai Paolo scrive ai “santi e fedeli fratelli che sono in Colosse” (Colossesi 1:2): “Fate dunque morire ciò che in voi è terreno: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi, cupidigia, che è idolatria” (3:5)? Non sono forse queste le famigerate opere della carne (Galati 5:19-21), ancora ben presenti nella famiglia dei santi?
Pertanto Paolo afferma proprio il vero quando scrive: “Nella mia carne non abita alcun bene, poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene no”. Questo taglia la testa ad ogni teoria della bontà dell’uomo, della sua capacità o “facoltà essenziale” di fare quello che è bene e giusto. E la legge di Dio, già espressa nell’Antico Testamento e in seguito perfezionata da Gesù in Matteo 5-7, ci conferma che noi siamo incapaci di assolvere, anche in minima parte, le sue richieste. La legge è servita e serve tuttora solo a rivelarci il nostro peccato: “Io non avrei conosciuto il peccato se non per mezzo della legge” (Romani 7:7). Rimane vero che “ciò che brama la carne è morte … è inimicizia contro Dio, perché non è sottomesso alla legge di Dio e neppure può esserlo; e quelli che sono nella carne non possono piacere a Dio” (Romani 8:6-8).
Ma ora, Paolo fa una rivelazione straordinaria: “Camminate secondo lo Spirito e non adempirete i desideri della carne” (Galati 5:16). I potenti desideri della carne quali il successo, l’approvazione degli altri, il potere, la grandezza, la soddisfazione delle proprie passioni, il bisogno di vendetta, e inoltre l’ira, gli sfoghi, l’autocommiserazione, le lamentele, eccetera, perdono la loro forza nel momento in cui camminiamo per lo Spirito.
Cosa significa, dunque, “camminare per lo Spirito”?
Campo di battaglia
La Scrittura ci rivela che il nostro essere è formato da tre elementi:
- il corpo, sede dei nostri sensi;
- l’anima, sede della nostra volontà, delle nostre emozioni e della nostra intelligenza; e
- lo spirito, sede della coscienza, dell’intuizione e della capacità di avere contatto e comunione con il mondo spirituale e di “ascoltare” le voci che ne provengono (sia quella di Dio che quella di Satana).
L’uomo è carnale quando ciò che guida i suoi passi sono prevalentemente la sua intelligenza, le sue emozioni, i suoi desideri, le sue passioni, i suoi vizi; in altre parole, la sua anima. È invece spirituale quando è il suo spirito, rigenerato dalla Parola di Dio (vedi Efesini 5:26 e Tito 3:5) e rinnovato dallo Spirito Santo, a prendere il governo sull’anima e sul corpo determinando le scelte, le azioni e i pensieri.
Siamo un campo di battaglia tra i desideri della carne e quelli dello spirito che sono chiaramente opposti tra loro: “Infatti il bene che voglio, non lo faccio …” È un braccio di ferro tra anima e spirito: prevale chi è più forte. L’anima, si sa, è molto forte, influenzata com’è dalle sue passioni e infiammata dalla geenna (Giacomo 3:6), dalla cultura e dai peccati della società in cui vive.
Il ruolo della Legge
Ma allo spirito chi dà forza? Dalla Parola di Dio emerge chiaro che “la nostra capacità viene da Dio” (2° Corinzi 3:6). Sul piano concreto, ha un ruolo fondamentale la Parola di Dio che viene paragonata ad una bella doccia, un bagno per il nostro spirito (Efesini 5:26). Come abbiamo bisogno di farci regolarmente la doccia o il bagno per liberarci da sudore, polvere, sudiciume, così abbiamo continuamente bisogno dell’azione purificatrice della Parola di Dio per purificarci “da ogni contaminazione di carne e di spirito” (2° Corinzi 7:1).
La Parola di Dio ci conforta, rinnova i nostri pensieri, ci ammaestra, ci consiglia, ci educa: “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2° Timoteo 3:16-17).
Abbiamo bisogno di conoscere la legge di Dio per conoscere Dio, il Suo cuore e la Sua volontà e per conoscerci meglio, per scoprire le nostre debolezze, i nostri peccati, le nostre fragilità. “Se ricevi le mie parole e fai tesoro dei miei comandamenti … allora intenderai il timore dell’Eterno, e troverai la conoscenza di Dio … Allora intenderai la giustizia, l’equità, la rettitudine e tutte le vie del bene. Quando la sapienza entrerà nel tuo cuore e la conoscenza sarà gradevole all’anima tua, la riflessione veglierà su di te e l’intendimento ti proteggerà, per liberarti dalla via malvagia, dalla gente che parla di cose perverse …” (Proverbi 2:1,5,9-12).
E poiché per esercitare la sua influenza il nostro spirito ha bisogno della collaborazione dell’anima, della sua disponibilità a rinunziare alla propria vita per sottomettersi alla vita dello spirito, l’azione della Parola di Dio diventa insostituibile. È lei che convince l’anima ad aderire, a sposare la sapienza di Dio. Ed è questa disponibilità, questa volontà – “il bene che voglio” – che ci porta al passo successivo, quello di cercare la capacità di mettere in pratica gli insegnamenti di Dio, presso Dio stesso.
Riassumendo, è dunque la legge di Dio a convincerci:
- del nostro peccato;
- della nostra incapacità di metterla in pratica con le nostre sole forze;
- del nostro bisogno di Dio, della Sua capacità, della Sua forza, del Suo intervento.
La forza di Dio
Il grosso e vecchio tram arancione si era fermato in mezzo all’incrocio perché il pantografo era uscito fuori dalla linea elettrica aerea, privando così i suoi motori dall’indispensabile energia.
Senza tale energia, il tram è incapace di fare un solo metro sui suoi binari. E senza l’energia di Dio, noi siamo incapaci di fare un solo passo sulla Sua via, anche se siamo guidati da conduttori spirituali unti, esperti, saggi ed abili. Ognuno è chiamato a fare il suo proprio cammino con il Signore e deve dipendere personalmente dalla “energia divina”.
Non c’è pertanto alcun sostituto alla ricerca della presenza di Dio. Il tram non ha alternative: per riprendere la sua strada, deve tornare in comunione con la sorgente della sua forza. “Avvicinatevi a Dio, ed Egli si avvicinerà a voi. Pulite le vostre mani, o peccatori; e purificate i vostri cuori, o doppi di animo! Siate afflitti, fate cordoglio e piangete! Sia il vostro riso convertito in lutto e la vostra allegria in tristezza. Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi innalzerà” (Giacomo 4:8-10).
Prima fase:
- riconoscere e confessare i nostri peccati e le nostre debolezze, a mano a mano che il Signore ce li rivela, con la ferma decisione di rinunciarvi, di abbandonare le pratiche scorrette e di cambiare. “Chi copre le sue trasgressioni non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia” (Proverbi 28:13).
- Confessare la nostra incapacità e debolezza ma proclamare pure la nostra fede in Colui “che opera in voi il volere e l’operare, secondo la sua bontà” (Filippesi 2:13).
- Ringraziare il Signore per la Sua fedeltà, il Suo sostegno e il Suo aiuto. “Siate sempre allegri; non cessate mai di pregare; in ogni cosa rendete grazie, perché questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito” (1° Tessalonicesi 5:16-19).
Seconda fase:
Cercare Dio e dimorare nella Sua presenza. Molti credenti non solo non sanno dimorare nella presenza di Dio, ma non sanno neanche cosa significhi. La loro vita di preghiera – spesso carente quando non assente – gira intorno ai loro bisogni, a quelli dei loro familiari o dei fratelli della comunità. Tutta la dimensione dell’adorazione, della contemplazione del Signore, della lode è, se non sconosciuta, praticamente trascurata.
Ma la Scrittura dice di Dio: “Sei il Santo che siede circondato dalle lodi d’Israele” (Salmo 22:3). La lode racconta che cosa è Dio per noi. Concentra la nostra attenzione sulla Sua natura, sulla Sua bellezza, sulla Sua sensibilità. Rinnova la nostra fiducia nella Sua capacità.
L’adorazione invece ci porta a prostrarci davanti al Padre, a riconoscere e confessare che la nostra capacità viene da Lui e finalmente ad arrenderci totalmente a Lui, rinnovandogli ogni giorno la nostra totale consacrazione.
Gli effetti sul nostro spirito sono straordinari. “E noi tutti, contemplando a viso scoperto, come in uno specchio, la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine di Lui, di gloria in gloria, secondo che opera il Signore, che è Spirito” (2° Corinzi 3:18 Riv.). “Poiché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figlio e crede in Lui, abbia vita eterna” (Giovanni 6:40).
La gloria di Dio, la vita eterna, sono sinonimi della vita, della natura, della bellezza di Dio, che ci vengono comunicati solo se prendiamo tempo per contemplare il Signore. “Come il Padre vivente mi ha mandato e io vivo a motivo del Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli a motivo di me” (Giovanni 6:57).
Alla presenza di Dio
Sappiamo tutti quanto tempo Gesù dedicasse a stare nella presenza del Padre. Tempo fa ero piuttosto scoraggiato perché, per quanto mi sforzassi di guidare la comunità di cui sono pastore ad avere una relazione con il Signore, sembrava che i fratelli non ne capissero l’importanza. La loro vita spirituale rimaneva mediocre quando non del tutto assente. Pregavo per loro e gridavo a Dio, spesso piangendo, ma non succedeva nulla.
Un giorno in cui ero particolarmente depresso per questa situazione, avvertii il Signore suggerire al mio spirito: “Portali nella mia presenza!” Capii cosa il Signore intendeva. Così raccolsi un gruppo di fratelli con i quali andammo in montagna per pregare. Abbiamo trascorso diverse ore nella presenza di Dio, lodando, adorando, contemplando, umiliandoci davanti a Lui. Ed Egli è sceso in mezzo a noi per incontrarci in maniera molto forte. I fratelli se ne sono tornati entusiasti.
Un mese dopo, ripetemmo l’esperienza. Il risultato fu lo stesso. Abbiamo allora iniziato a fare dei ritiri bimestrali di preghiera di due-tre giorni in una casetta solitaria. Abbiamo cercato il Signore pregando, digiunando, adorando, lodando, ascoltando la Sua voce, pregando di nuovo. Niente studi, solo qualche condivisione, e preghiera. Ed il Signore ci ha puntualmente incontrati.
Abbiamo allora iniziato ritiri di preghiera per le sorelle. Stessi risultati. E la vita dei fratelli, della comunità, ha cominciato a cambiare radicalmente, le persone hanno cominciato ad amare la presenza di Dio. Gli incontri di preghiera, i ritiri di preghiera e la vita individuale di preghiera hanno subìto un incremento straordinario, e di riflesso i fratelli hanno cominciato a sperimentare il Signore nel quotidiano.
“Io li condurrò sul mio monte santo e li riempirò di gioia nella mia casa d’orazione; i loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa sarà chiamata una casa di orazione per tutti i popoli” (Isaia 56:7).
Veramente, la nostra capacità viene da Dio!