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di Giovanni Traettino
Ogni movimento ha bisogno di una visione chiara e di un senso definito della propria identità.
La visione dà lo stimolo iniziale e, se cattura i cuori, diventa faro che guida il cammino successivo. Questo principio è già evidente nella vita di Abramo, che “per fede dimorò nella terra promessa, come in paese straniero … perché aspettava la città che ha i fondamenti, il cui architetto e costruttore è Dio”. La stessa cosa è vera per noi, suoi figli per mezzo della fede.
La visione, nella misura in cui ne siamo conquistati, produce coinvolgimento e partecipazione nell’azione di Dio per la propria generazione, una teologia e una spiritualità che impastano e nel tempo definiscono l’identità del movimento.
Nella riflessione sulla nostra identità è utile cominciare a cogliere alcuni tratti ‘distintivi’ del nostro cammino, per crescere nella consapevolezza di ciò (‘la parte’) che siamo in rapporto a Dio e agli altri, alle nostre ‘radici’ (il passato: da dove veniamo?) e alla nostra ‘speranza’ (il futuro: dove andiamo?). Da un accresciuto senso della nostra identità deriverà maggiore sicurezza in rapporto a noi stessi e alla nostra chiamata, maggiore serenità e fiducia nei rapporti con il resto della chiesa e col mondo.
Cristiani prima …
Siamo, dunque, innanzitutto cristiani: “cristiani”, prima che “evangelici”. Camminando con noi in questi 20 anni ci si ricorderà come proprio all’inizio abbiamo preferito allora chiamare le nostre comunità semplicemente “Comunità cristiane”, piuttosto che “chiese cristiane evangeliche”. Perché? Perché avevamo l’esigenza di recuperare e riaffermare il patrimonio comune e la comune identità cristiana, e sottolineare la precedenza e la prevalenza del dato “cristiano”, rispetto a quello “evangelico”. Come dire: il nome di famiglia è “cristiano”, anche se naturalmente la spiritualità e la teologia rimangono evangeliche. È questo un elemento che ci ha accomunato alla riflessione di molti altri evangelici nel mondo: si pensi alle “Comunità cristiane” dell’Argentina, alle numerose “Christian Fellowships” degli Stati Uniti e del mondo di lingua inglese, alle “House churches” dell’Inghilterra, ad alcune delle “Comunità” sorte anche in Italia a partire dagli anni ’70.
… ed evangelici poi
Ma poi siamo sicuramente e serenamente evangelici. Facciamo cioè parte della grande famiglia che ha le sue radici nei movimenti di riforma interni alla Chiesa Cattolica prima, e segnatamente nell’Evangelismo del periodo immediatamente precedente la Riforma protestante, nella stessa Riforma poi, la feconda famiglia che con le sue varie articolazioni (Luterana, Riformata, Anglicana), nella Riforma radicale, nel puritanesimo e nel pietismo, per arrivare ai movimenti di “risveglio” degli ultimi due secoli, al movimento di santità di fine Ottocento e al movimento pentecostale cresciuto e sviluppatosi con le sue varie anime (wesleyana, battista, Latter Rain, Divine Healing, carismatica, non denominazionale) nel corso di tutto il Novecento.
Per meglio comprendere la nostra identità occorre dunque fare un cammino a ritroso alla ricerca delle nostre radici e dei nostri padri. Proprio non siamo un fungo nato all’improvviso, senza riferimenti col passato o rapporto con i contemporanei. Siamo figli della Chiesa occidentale, nella quale a più riprese lo Spirito Santo è venuto a vivificare elementi già presenti al suo interno, con sorprendenti e interessanti collegamenti, per la via di Wesley, perfino con la spiritualità ortodossa (i padri orientali) e col misticismo cattolico, e parte di un grande movimento internazionale di risveglio e di rinnovamento che viene da lontano.
Evangelici!
Il movimento evangelico in particolare, nella sua accezione di evangelical (francese Evangelique, tedesco Evangelisch, termine che per ragioni storiche e teologiche continuo a preferire all’evangelicale di origine anglosassone), ha preso forma e consapevolezza nel secolo scorso come esigenza e richiesta di fedeltà all’ortodossia cristiana, cioè a quel corpo di dottrine sulle quali c’è stato il consenso maggioritario della Chiesa attraverso i secoli. La spiritualità evangelica(l) è presente e vissuta non solo nelle chiese indipendenti o comunque nate dal ‘risveglio’, ma anche all’interno di chiese storiche come l’anglicana e le riformate. Nel mondo di lingua inglese (U.K., Irlanda, U.S.A., Australia) ci sono perfino Catholic Evangelicals.
È importante capire che posizioni separatiste ed opposizionaliste, più propriamente fondamentaliste, come quelle finora maggioritarie tra i nostri fratelli pentecostali ed evangelici italiani, non sono condivise dai “padri” illustri del moderno movimento evangelico (valgano per tutti John Stott e Billy Graham), né probabilmente dalla maggioranza degli evangelici nel mondo. Sarà per esempio una ‘sorpresa‘ per tanti scoprire che personalità, movimenti e chiese sia evangelical che pentecostali dialogano anche ufficialmente col Vaticano già da molti anni (per una documentazione cfr. Enchiridion Oecumenicum, EDB, Bologna, 1994).
Occorre purtroppo prendere dolorosamente atto del fatto che, anche se per ragioni storiche, culturali e psicologiche comprensibilissime, l’evangelismo italiano è stato fin qui spesso vittima, senz’altro inconsapevole, di alcune reazioni tipiche delle minoranze perseguitate e discriminate, con lo sviluppo di una mentalità dai riflessi difensivi e aggressivi. La storia insegna che il ‘ghetto’, superate le condizioni storiche, politiche e culturali che lo determinavano, può ancora rimanere come ‘luogo della mente’.
È a mio avviso tempo di uscire dal nostro ‘ghetto’, e attrezzarci per affrontare le sfide che sono davanti a noi. Diventare nel dialogo fattore profetico di stimolo, di benedizione e di cambiamento, sia in rapporto alle chiese storiche (È proprio persa la causa dell’Evangelismo e del ‘risveglio’?), che in rapporto alla Chiesa cattolica (È proprio persa la causa della Riforma?) e alla società che ci circonda.
E grazie a Dio ci sono segni, di diversa qualità ma ugualmente importanti, anche se non privi di contraddizioni, che la situazione è in movimento (il rinnovamento delle chiese della Valle del Sele, il gruppo di ‘intellettuali’ intorno all’IFED di Padova, la nuova Alleanza Evangelica, il processo unitario ormai avviato tra vari movimenti e chiese pentecostali, il neonato dialogo valdese/pentecostale, l’azione e la spiritualità del nostro movimento).
Senza dubbio è non solo possibile, ma profondamente equilibrante e creativo, essere teologicamente ortodossi e vivere la propria spiritualità in modo coerente, ma aperto ed inclusivo (di una inclusività chiaramente e senza compromessi cristocentrica ed evangelica), ricordando che ci sono ‘realtà’ che abbiamo la responsabilità di ‘governare’, altre che abbiamo la responsabilità di influenzare. È questo, credo, lo spirito dei documenti di Losanna e Manila, è questa la sensibilità crescente a livello internazionale nelle grandi e storiche denominazioni pentecostali e carismatiche. Era questo lo spirito di Cristo.
Certo, essere aperti comporta dei rischi. Ma è il rischio della vita, anche di quella spirituale. E vale la pena di assumerseli. Siamo figli dei profeti e dei movimenti di riforma, di risveglio e di restaurazione, al cui cuore c’era e continua ad esserci la profezia: l’accoglienza del futuro nel regno che viene.
Certo, c’è un prezzo da pagare per aver un’identità sicura, ma aperta. Perfino quello del sospetto, dell’accusa di eresia e della marginalità tra i propri fratelli. Ma è questa la vocazione del seme. In questo modo Dio può riformare e rinnovare la Chiesa. Come eredi della riforma e del risveglio, sappiamo che essere minoranza può significare ‘avere torto’ per il tempo che il Signore permetterà.
Per una ortodossia evangelica
Che cos’è dunque questa “ortodossia” per la quale combattono gli evangelici? L’ottimo libro di Alister McGrath, Evangelicalism and the Future of Christianity, individua in sei punti essenziali il comune deposito sul quale c’è il consenso di tutti gli evangelici e per il quale hanno combattuto in quest’ultimo secolo. Queste sei ‘convinzioni’ fondamentali non sono solo ‘dottrinali’, nel senso di verità valide oggettivamente, ma anche ‘esistenziali’, nel senso che descrivono il modo nel quale il credente è coinvolto ‘nell’incontro redentivo ed esperienziale con il Cristo vivente’. Una teologia insieme e una spiritualità:
- La suprema autorità delle Scritture, come sorgente della conoscenza di Dio e guida per la vita cristiana. In alcuni documenti evangelici si può leggere indifferentemente: “l’unica autorità …” o “la suprema autorità …” Ma il consenso evangelico è per la Scrittura come suprema autorità. Cioè, possono esserci, e di fatto sempre ci sono, altre autorità. Ma devono tutte sottomettersi a quella suprema della Scrittura.
Nella comprensione evangelica c’è certo posto, spesso anche importante e vitale, per l’esercizio dell’autorità o, se si vuole, di un magistero dottrinale, morale e spirituale. (Si pensi a quello straordinario dei soli Lutero e Calvino). Ma è chiamato a sottomettersi senza esitazioni o ambiguità al giudizio e al discernimento normativi della Scrittura. In questo è cruciale la differenza con il Cattolicesimo romano, che anche dopo il Concilio Vaticano II continua ad avere in pratica la tendenza a mettere la chiesa al di sopra della Parola e la tradizione al livello della Scrittura.
Anche la tradizione deve sottomettersi al vaglio delle Scritture. Ma è ‘luogo comune’ da sfatare l’affermazione secondo la quale “gli evangelici non credono nella tradizione”. Anche noi abbiamo in pratica le nostre tradizioni! Ma le Scritture rimangono ‘il centro di legittimazione centrale della fede e della teologia cristiana’ (McGrath). Non c’è dunque problema con l’esistenza di una tradizione. Soprattutto quando ispirata ed autorevole come quella dei Padri e dei primi Concili della Chiesa. Soprattutto quando intesa come commento e riflessione sulle Scritture. Nella comprensione tuttavia che non tutti i commentari sono ugualmente illuminati, autorevoli o ispirati. Ma devono sempre reggere alla verifica delle Scritture.
Ci sono poi questioni ‘indifferenti’ (adiaphora) o ‘opinabili’ dal punto di vista della Scrittura. Non centrali, o decisive per la fede, la salvezza o la morale. Anche se importanti magari dal punto di vista teologico, come è il caso del dibattito tra Lutero e Zwingli sulla presenza reale di Cristo, o forse rilevanti per la cultura, i costumi o le abitudini di una tradizione ecclesiale o di un popolo (la questione della inculturazione).
Ma occorre onestamente riconoscere che la tradizione evangelica legittima una diversità di posizioni e di interpretazioni, purché non siano contro le Scritture. È certo ancora in piedi il dibattito tra il non ultra (ogni insegnamento e pratica cristiana deve essere insegnato o testimoniato positivamente dalle Scritture) e il non contra (senz’altro maggioritario nella Riforma). Ma c’è ormai una larga, tacita intesa al rispetto reciproco (vedi Alleanza evangelica mondiale, WEF) alla difesa della preziosa unità che già esiste nelle cose necessarie e all’adozione di criteri di libertà, di opportunità e di discernimento pastorale e di rispetto per le cose secondarie.
- La maestà di Gesù Cristo come Signore e Dio incarnato. Un’affermazione che potrebbe essere addirittura superflua se non fosse per la presenza di ‘cristiani’(?) che mettono in discussione verità bibliche fondamentali per il cristianesimo storico come quella di Gesù ‘vero Dio e vero uomo’, la sua nascita verginale, la sua risurrezione fisica. La posizione evangelica rimane radicalmente cristocentrica, fedelmente ancorata alla testimonianza neotestamentaria della sua divinità, alla centralità della croce per la salvezza dell’uomo e della creazione, alla giustificazione per grazia (propter Christum) mediante la fede, alla necessità dell’annuncio della salvezza. Insomma, Gesù Cristo unico Signore e Salvatore della nostra vita.
- La signoria dello Spirito Santo, Colui che viene a stabilire il Regno di Dio nella nostra vita. All’interno del mondo evangelico coesistono un’ala che chiameremo ‘biblica’ centrata maggiormente sulla Parola, ed un’ala pentecostale e carismatica centrata maggiormente sulla persona e l’opera dello Spirito. Ambedue le teologie e le spiritualità sottolineano aspetti vitali ed essenziali della verità scritturale. Ma il rischio per i primi è quello di un approccio puramente cerebrale, preoccupato soprattutto di un assenso mentale alla verità rivelata. Con il preoccupante possibile esito di un ‘soggiogamento’ dello Spirito alle Scritture, riconoscendogli come unica funzione significativa la testimonianza alle Scritture interpretate dalla ragione umana (S.J. Land). Il rischio per i secondi è di vivere il cammino cristiano esclusivamente in termini di esperienza, di mettere lo Spirito al di sopra delle Scritture, enfatizzando a dismisura le ‘rivelazioni’ private e personali (il soggettivo) e relativizzando di fatto il ruolo normativo della Rivelazione scritta (l’oggettivo). Il Nuovo Testamento è la prova che Spirito, Parola e comunità (“è parso bene allo Spirito Santo e a noi”, Atti 15:28; vedi anche Atti 11:15-17) possono vivere in un equilibrio ortodosso, dinamico e vivificante tra di loro. È auspicabile che il futuro produca la stessa riconciliazione tra queste due anime così importanti dello stesso movimento.
- La necessità di una conversione personale. Non basta aver fatto catechismo da bambini, né aderire mentalmente alla ‘sana dottrina’: è necessaria un’esperienza personale di conversione, un’appropriazione personale della fede, una metanoia, una ‘crisi’ di conversione, una esperienza di “nuova nascita”. Ecco un altro tratto qualificante e distintivo della teologia e della spiritualità evangelica.
- La priorità dell’evangelizzazione, sia per i cristiani come individui che per la Chiesa nel suo insieme. Il movimento evangelico nel mondo ha legato il suo nome alle grandi campagne di evangelizzazione e alla mobilitazione di migliaia di credenti e comunità in mille forme di ‘annuncio’ del messaggio della salvezza. Una delle personalità chiave della spiritualità evangelica moderna è Billy Graham, promotore di congressi, documenti e movimenti – come quelli di Losanna e di Manila – che hanno segnato la storia evangelica del nostro secolo. Il tutto segnato da uno spirito di grande apertura verso tutti i cristiani. Alcuni anni fa organizzò ad esempio a New York una campagna di evangelizzazione cui parteciparono, invitati, anche i cattolici, con l’intervento e l’adesione ufficiale dello stesso cardinale arcivescovo della città. Ha sempre avuta la preoccupazione di annunciare senza compromessi l’Evangelo nella sua integrità, ma sempre senza preclusioni denominazionali, assicurandosi di raccomandare l’inserimento dei ‘nati di nuovo’ in comunità cristiane in cui si predicasse il vangelo della salvezza e i convertiti potessero essere discepolati.
- L’importanza della comunità cristiana per il nutrimento spirituale, per la comunione e per la crescita.
Il Corpo di Cristo in generale, e la comunità dei credenti a livello locale e translocale è al centro di interesse e attenzione crescenti sia nella riflessione teologica che nella spiritualità evangelica. Ed è senz’altro patrimonio evangelico la sottolineatura della necessità di una comunità di credenti raccolta intorno all’evangelo ascoltato, vissuto, predicato. Ma occorre riconoscere che la tradizione evangelica non è legata a nessuna ecclesiologia particolare. Si può aderire in modo pieno alla teologia e alla spiritualità evangelica essendo membri vuoi di denominazioni con una teologia della chiesa come “corpo misto” (Calvino) di credenti e non credenti (si pensi alle chiese riformate o alla chiesa Anglicana), sia di denominazioni con una teologia della chiesa come “comunità dei santi” da cui i peccatori sono esclusi (si pensi alle chiese con una ecclesiologia battista). Ci sono battisti evangelici e presbiteriani evangelici, ‘fratelli’ evangelici e luterani evangelici, pentecostali evangelici ed anglicani evangelici. Perché non anche cattolici evangelici?
Per una larga ed ‘inclusiva’ comunione evangelica
Dunque una comunità trans-denominazionale di veri credenti accomunati dall’adesione di cuore al comune ‘deposito’ dei principi fondamentali sopra indicati. Una ‘ecumene’ evangelica che con gioia si unisce intorno all’unico Signore e autore della sua salvezza e che con umiltà riconosce che lo Spirito è sovrano e libero di soffiare “dove Egli vuole”.
(La seconda parte di questa riflessione verrà pubblicata nel prossimo numero).