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di Jack Deere
Ero pastore di una chiesa che avevo contribuito a fondare anni prima. C’erano altri due pastori e quattro anziani. Avevamo iniziato a pregare per i malati durante le nostre riunioni ed eravamo passati ad un tipo di adorazione più moderno.
Alcuni nella chiesa erano contentissimi di questo cambiamento, altri un po’ apprensivi. Nessuno era veramente contrario a pregare per i malati o all’adorazione più moderna, ma si preoccupavano che potessimo orientarci verso una radicale esperienza “carismatica”. In breve tempo, furono segnate le linee di battaglia e prese le parti. Anche i pastori e gli anziani erano divisi: metà voleva inseguire i doni dello Spirito Santo, l’altra metà voleva tirare il freno. Entrambe le parti sapevano citare la Bibbia per sostenere la propria posizione. Ma nessuna citazione portò qualcuno a cambiare posizione: rinforzavano semplicemente i pregiudizi da ciascuna parte. Il conflitto continuò in crescendo, finché iniziammo a giudicare le motivazioni degli altri, poi ad attaccare il carattere l’uno dell’altro. Sembrava così facile chiamare bugiardo qualcuno dall’altra parte. Stava diventando un pasticcio.
Un giorno, noi responsabili eravamo seduti a tavolino per discutere del nostro conflitto. Finalmente comprendemmo che eravamo diretti verso una spaccatura nella chiesa. Nessuno di noi aveva mai studiato come dividere una chiesa, ma sembrava che sapessimo istintivamente cosa fare. Veramente non volevamo spaccare la chiesa. Alcuni di noi erano intimi amici: avevamo vent’anni di storia vissuta insieme. Io ero stato presente quando erano nati i loro figli, e loro alla nascita dei miei. Erano i miei migliori amici. Avevo programmato di servire con loro in quella chiesa fino al ritorno del Signore.
Nel profondo del cuore, ci sentivamo tutti così. Non eravamo solo persone che andavano in chiesa insieme, ma amici che avevano fondato una chiesa insieme, con una stessa visione. E ora questa situazione ci stava dilaniando.
Guardandoci in faccia, riconoscemmo che andavamo incontro a una divisione e ci chiedemmo cosa fare per evitarlo. Infine qualcuno disse: “Preghiamo!” “Come, siamo arrivati a questo? – pensai – Siamo veramente conciati così male?” Fino a quel punto avevo discusso, intimidito, manipolato, citato la Bibbia e fatto di tutto, tranne chiedere seriamente a Dio un’opinione sul nostro conflitto. Non l’avevo fatto perché ero sicuro di aver ragione.
Oggi, a tanti anni di distanza da quel conflitto, comprendo di averne provocato io gran parte con il mio comportamento arrogante e presuntuoso. Ma all’epoca non vedevo il mio peccato: vedevo solo gli errori di tutti gli altri. L’idea di pregare mi sembrava buona, perché così Dio avrebbe potuto far vedere agli altri quanto avevano torto! Ero molto ingenuo allora: non sapevo quanto fosse pericoloso pregare, né a cosa avrebbe portato quella riunione di preghiera.
Preghiera pericolosa
Dopo un po’ di discussione, decidemmo che i tre pastori dovevano andare via per un giorno per pregare; poi ci avrebbero raggiunti gli anziani per passare un altro giorno insieme in preghiera. Ricorderò quella riunione di preghiera per il resto della mia vita.
La prima mattina eravamo seduti vicino a un ruscello, sotto un albero, in una bellissima fattoria. Dopo aver pregato per circa un’ora, uno dei pastori supplicò: “O Dio, fa’ che non si aggravi questo conflitto fino a cancellare la nostra chiesa dalla cartina”. Nel preciso istante in cui disse quella preghiera, scattò una voce nella mia mente: Cosa ci sarebbe di tanto male?
Che brutta domanda! Sapevo che veniva da Dio, e mi offendeva. Mi sembrava maleducata. Poi mi resi conto che un Essere onnisciente non fa domande per ottenere risposte: quando chiese ad Adamo nel giardino “Dove sei?”, non stava chiedendo indicazioni. La domanda era dunque per me. Cosa ci sarebbe di tanto male se la nostra chiesa fosse scomparsa? Non vedevo l’ora che gli altri due pastori smettessero di pregare per chiederglielo.
Appena terminato il tempo di preghiera, chiesi: “Cosa ci sarebbe di tanto male se la nostra chiesa dovesse scomparire?” Mi fissarono increduli. Come facevo ad essere così stupido e insensibile? “Farebbe soffrire molte persone”, rispose uno dei pastori.
“Sicuramente”, risposi. “Ma alla fine, troverebbero un’altra chiesa da frequentare, e la sofferenza passerebbe. Quello che sto chiedendo è: Cosa perderebbe il regno di Dio nella nostra città se la nostra chiesa non esistesse più?”
Ci pensammo tutti per un minuto. Cosa era importante nel regno di Dio? Cosa accadde nel Nuovo Testamento quando venne il regno di Dio?
Concordammo che l’evangelizzazione era un aspetto importante del Regno. La nostra chiesa contava dalle quattrocento alle cinquecento persone al culto domenicale; ma solo quattro di loro erano state portate al Signore tramite la nostra chiesa negli ultimi diciotto mesi. Se la nostra chiesa non fosse esistita, non sarebbe stata una grande perdita per l’evangelizzazione in città.
Poi ci chiedemmo quante persone fossero state guarite: la guarigione era importante nel Nuovo Testamento. Ma, anche se avevamo iniziato a pregare per i malati nella nostra chiesa, fino a quel punto non potevamo contare molte guarigioni. Questo ministero non avrebbe sofferto molto se la nostra chiesa non fosse più esistita.
Non trovammo nessuno che avesse smesso di prendere antidepressivi o di andare dallo psichiatra grazie al ministero della nostra chiesa, né qualche matrimonio che avevamo salvato. Dalle nostre consulenze pastorali conoscevamo persone nella chiesa che lottavano con la dipendenza da droga, alcool e sesso. Ma nessuno era stato definitivamente liberato da questi peccati.
Se la nostra chiesa fosse cessata di esistere, nessun missionario sarebbe stato obbligato a tornare dal campo di missione, né ci sarebbe una gran perdita nell’assistenza sociale ai poveri della nostra città. Senza l’esistenza della nostra chiesa, il Regno di Dio non avrebbe subito grandi perdite.
Guardai gli altri due pastori. “Sapete, non verrei neanche in questa chiesa se non mi pagassero”. Gli altri due pastori dissero: “A pensarci bene, neanche noi. Non piace neanche a noi”.
Più tardi quella sera, arrivarono gli anziani. “Il Signore vi ha parlato?”, domandarono. “Sì”, rispondemmo. “Cosa vi ha detto?” “Beh, ci ha fatto vedere che non verremmo in questa chiesa se non ci pagassero!” “Cosa? Cosa avete combinato voi tre?”, ci chiesero gli anziani. “Abbiamo pregato”.
Può essere pericoloso pregare: a volte il Signore può farti valutare più realisticamente l’efficacia del tuo ministero. Quel giorno mi resi conto che avevo costruito qualcosa che somigliava più ad un circolo sociale che non alla chiesa del Nuovo Testamento.
La chiesa del Nuovo Testamento
Ai tempi del Nuovo Testamento, andare in chiesa poteva costare i tuoi beni, la tua famiglia, persino la tua vita. In alcuni paesi del mondo è ancora così oggi. Perché andavano, allora? Perché rischiavano?
In primo luogo, andavano per sentire Gesù e per essere guariti da lui (Lc. 5:15, 6:18). Andavano per incontrare una Persona; io, invece, andavo per imparare la Bibbia, e più tardi, per insegnarla. Quale differenza!
Poi, andavano per adorare Dio insieme. C’è una dinamica spirituale che scatta quando il popolo di Dio si riunisce per esprimere l’amore verso Dio. Ai tempi del Nuovo Testamento la presenza di Dio era così evidente che i cristiani rischiavano la vita pur di non perdersi questa esperienza.
Terzo, si riunivano per equipaggiarsi per il lavoro del ministero. Paolo scrive: “È lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo di Cristo …” (Ef. 4:11-12).
Il Signore non mandava quei vari ministeri per fare tutto il lavoro: il loro compito era preparare il popolo di Dio per il servizio. Se poche persone svolgono il lavoro del ministero, il corpo di Cristo sarà anemico e incapace di adempiere il Grande Mandato. Questo modello per il ministero fu stabilito da Gesù stesso. Se qualcuno è mai stato in grado di fare tutto da solo, è stato Lui; ma invece ha ammaestrato dodici uomini, che a loro volta hanno preparato altri a fare il lavoro del ministero.
Quarto, la gente andava in chiesa per essere fortificata in Cristo. Alla fine della sua discussione sui doni dello Spirito e sul loro utilizzo nella chiesa, Paolo scrisse: “Che dunque, fratelli? Quando vi riunite, avendo ciascuno di voi un salmo, o un insegnamento, o una rivelazione, o un parlare in altra lingua, o un’interpretazione, si faccia ogni cosa per l’edificazione” (1° Cor. 14:26).
Dunque tutti dovevano portare con sé in chiesa qualcosa che avrebbe edificato gli altri presenti. La lista di Paolo contiene solo cinque elementi. Ma sono sicuro che questa lista non è completa; piuttosto, dà alcuni esempi delle cose che possiamo portare in chiesa per edificare i fratelli. Il culto nel Nuovo Testamento non era mai uno spettacolo dato da una sola persona.
Chi venire in chiesa ai tempi del Nuovo Testamento preparava il proprio cuore per adorare, si aspettava di essere equipaggiato per il servizio, e chiedeva a Dio di dargli un dono da portare con sé per fortificare qualcun altro. La chiesa non era solo la dimora della presenza di Dio, ma anche un centro per imparare il linguaggio dello Spirito Santo. I credenti non solo adoravano Dio in chiesa, ma venivano equipaggiati per ascoltarlo; e dopo, erano in grado di edificare gli altri.
La domanda che Dio mi fece quel giorno ha cambiato per sempre la mia visione della chiesa. Decisi che, da allora in poi, sarei andato in chiesa nel modo suggerito da Paolo: avrei trovato un gruppo di persone che si riuniva per incontrare Gesù, per ascoltarLo ed essere guariti da lui, per adorarLo, per essere equipaggiati per il ministero, e per portare doni che ci avrebbero edificato reciprocamente.
Imparare il linguaggio dello Spirito Santo
C’era un solo ostacolo al fare parte di una chiesa come quella che ho appena descritto: non sapevo ascoltare la voce di Dio! L’unica cosa che sapevo fare, dall’elenco di 1° Corinzi 14:26, era portare un insegnamento. Ero stato formato per insegnare la Bibbia, ma non avevo la più pallida idea di come dare una rivelazione, una parola in lingue o un’interpretazione. Non capivo neanche come funzionavano gli altri doni soprannaturali: parole di saggezza, parole di sapienza, il dono della fede, le guarigioni, i miracoli, il dono di distinguere gli spiriti, ecc. (1° Cor. 12:8-10). Non capivo niente di sogni e visioni. Ma tutte queste cose erano importanti nella chiesa del Nuovo Testamento. Senza di loro, nessuna chiesa – per quanto bella la musica o bravo il predicatore – può pretendere di essere una chiesa del Nuovo Testamento.
La sola parte del linguaggio dello Spirito Santo che capivo era il testo scritto della Bibbia. E ora mi chiedevo quanto della mia comprensione fosse semplicemente un’interpretazione tradizionale tramandata attraverso gli anni da vari insegnanti, e quanto veniva veramente dallo Spirito Santo.
Apprestandomi ad imparare il linguaggio dello Spirito Santo, mi sentivo come un bambino che cerca di imparare il linguaggio dei suoi genitori. Tuttavia, avevo tre punti a mio favore. Primo, ero fortemente consapevole della mia povertà spirituale: ora credevo di non saper ascoltare bene la voce di Dio. Secondo, ero arrivato a credere che Dio parla ancora in tutti i modi in cui parlava nella Bibbia. E terzo, sapevo che avevo bisogno che Dio mi parlasse in modo più personale se volevo sperimentare una vita di chiesa come quella descritta nel Nuovo Testamento.
Imparare da piccoli
Scoprii che il processo di imparare il linguaggio dello Spirito Santo è simile a quello di imparare una lingua straniera.
Nel 1984, presi un anno di aspettativa dai miei doveri di professore al seminario e mi trasferii con la mia famiglia in un piccolo paese nella Foresta Nera, nel sud della Germania. Quando andammo là, sapevo leggere il tedesco accademico molto lentamente, ma non parlare il tedesco di tutti i giorni. Mi iscrissi a un corso di lezioni per imparare. Il mio obiettivo era di imparare a pensare in tedesco per essere in grado di leggere il tedesco letterario più velocemente.
I nostri figli avevano all’epoca tre, cinque e sette anni. Li mandammo a una scuola tedesca. Non avevano mai studiato tedesco – anzi, non avevano seguito neanche un corso formale d’inglese – mentre io avevo fatto molti studi linguistici, avevo imparato diverse lingue, e stavo studiando molto rigorosamente la lingua tedesca.
Alla fine dell’anno i bambini parlavano il tedesco così bene che sembravano tedeschi: non avevano quasi traccia di accento americano. Io invece, anche se parlavo sufficientemente per sostenere una conversazione, avevo un accento orribile. Qualsiasi tedesco con il quale conversavo mi riconosceva per un americano. Sapevo molto più grammatica e vocabolario tedesco dei miei figli, ma essi parlavano meglio di me.
Allo stesso modo, noi che per anni abbiamo creduto che Dio ci parla soltanto attraverso la Bibbia abbiamo le maggiori difficoltà a imparare il linguaggio dei sogni o delle intuizioni. Ci sembra innaturale che Dio possa parlare in altro modo che attraverso la Bibbia.
Imparare dagli errori
Semplicemente, non è possibile imparare una lingua senza commettere degli errori. Quando un gruppo di missionari parte per un paese straniero, per prima cosa si dedicano a uno studio rigoroso della lingua. Ma spesso non sono i missionari più accademicamente dotati che imparano meglio o più in fretta. Questi passano lunghe ore a studiare i libri di grammatica: vogliono impararla alla perfezione per non commettere errori nel parlare. Ma nel frattempo, i missionari meno portati per lo studio sono quelli che si offrono di andare a fare la spesa e altre commissioni. Essi commettono i loro errori di grammatica davanti alla gente del posto, e di solito ricevono una correzione istantanea!
Vale la stessa cosa nell’imparare il linguaggio dello Spirito Santo. Solo chi è pronto a provare e a sbagliare diventerà esperto nel capire quali impressioni vengono da Dio e quali sorgono semplicemente dalla propria anima. Ecco perché i miei figli impararono a parlare il tedesco meglio di me: io mi dedicavo allo studio, ma loro davano più tempo all’esercizio pratico.
Uno dei miei amici più profeticamente dotati, Rick Joyner, presiede una “Scuola dello Spirito” che si riunisce ogni venerdì sera a Charlotte nella Carolina del Nord. C’è gente che fa regolarmente 150 km di auto per venire a questi incontri, perché stanno imparando a udire la voce di Dio in maniere nuove e più efficaci. Rick mi ha detto che il sistema di imparare dagli errori ha dato loro dei momenti divertenti, oltre ad alcuni insuccessi umilianti. Poi aggiunse questa osservazione interessante: “Stiamo imparando non meno dai fallimenti quanto dai successi”.
Qualcuno obietterà: “Va bene imparare dagli errori finché si tratta di una lingua; ma è cosa ben più grave dire che Dio ti ha rivelato qualcosa”. Sono pienamente d’accordo. È una cosa estremamente seria dire a qualcuno: “Dio mi ha detto …” Ma tutti i cristiani fanno proprio questo! Ogni volta che citiamo la Bibbia e l’interpretiamo o l’applichiamo per qualcun altro, diciamo che Dio ha detto qualche cosa. E la nostra interpretazione o applicazione può non essere affatto ciò che Dio ha detto: può essere soltanto la nostra interpretazione o la nostra applicazione. O, anche se abbiamo ragione, il tempo può essere sbagliato. Possiamo avere fretta di parlare quando Dio preferirebbe che ascoltiamo. Non importa quale sia la nostra posizione dottrinale, c’è sempre la tentazione di usare la nostra fede per controllare o dirigere la vita degli altri; di ascoltare Dio per gli altri anziché per noi stessi.
Il fattore dell’imbarazzo
“La follia è legata al cuore del bambino” (Prov. 22:15). Tutti i genitori conoscono fin troppo bene la verità di questo famoso versetto. Ma la “follia” del bambino può essere un vantaggio nell’imparare una lingua. I bambini sono sempre pronti a rischiare: proveranno qualsiasi cosa, perché non hanno paura di sbagliare o di sfigurare. I miei figli commisero molti errori grammaticali, ma non ne erano imbarazzati: erano molto più disinvolti di me! Io avevo così tanta paura di fare una figuraccia che evitavo perfino di conversare in tedesco … proprio la cosa di cui avevo bisogno per imparare!
La paura dell’insuccesso e dell’imbarazzo, che è sintomo di insicurezza o, nel peggiore dei casi, di orgoglio, è uno dei più grandi ostacoli che impediscono di imparare il linguaggio dello Spirito Santo. Non si può imparare senza commettere errori. E purtroppo, gli errori ci fanno fare brutta figura; peggio ancora, ci fanno sentire sciocchi. Ma Dio ha scelto le cose folli e disprezzate del mondo per svergognare le sagge e le orgogliose (1° Cor. 1:26-29). Chiunque diventa esperto nell’ascoltare la voce di Dio ha pagato molte volte il prezzo di apparire e di sentirsi sciocco.
Un ambiente sicuro per i bruchi
Seduto sotto quell’albero nella fattoria, decisi di diventare come un bambino e di soffrire qualunque imbarazzo pur di imparare ad ascoltare lo Spirito Santo. Sono contento per che, all’epoca, non avevo idea dell’imbarazzo e delle umiliazioni che mi aspettavano! Trovai una quarantina di persone pronte a rischiare un po’ di umiliazione, e cominciammo a incontrarci il mercoledì sera. I nostri obiettivi erano quelli di adorare Dio, ascoltare Dio, essere equipaggiati per il ministero ed edificarci reciprocamente. Nessuno di noi era carismatico; la maggior parte erano stati anti-carismatici. Adoravamo Dio per trenta-quaranta minuti, cantando inni tradizionali e cori moderni. Poi uno di noi dava un breve insegnamento. Dopo, abbassavamo il capo e chiedevamo a Dio di parlarci.
Nel fare così, cercavamo di vivere 1° Corinzi 14:26. Speravamo che Dio ci avrebbe dato una rivelazione, una parola di conoscenza, una parola di sapienza, una lingua, un’interpretazione, una guarigione, un insegnamento, o qualsiasi altra cosa potesse edificare qualcuno tra i presenti. E così avvenne! Cominciarono ad arrivare delle autentiche rivelazioni. Dio guarì alcuni; altri furono salvati. I cristiani crescevano nella vicinanza a Dio. Dopo poche settimane i quaranta divennero cento, e la piccola riunione continuava a crescere.
In breve tempo si sparse la voce che c’era potenza nella nostra riunione del mercoledì, e alcuni venivano per indagare anziché per partecipare. Una sera, alcuni dei miei studenti di teologia vennero, in ritardo, e si sedettero in ultima fila. Avevano sentito che il loro professore era coinvolto in certe strane riunioni carismatiche, e volevano vedere con i loro occhi. Sembravo loro così normale e noioso in aula che avevano difficoltà a credere che partecipassi a culti stravaganti.
Tutto andò benissimo, fino a quando arrivò il momento in cui aspettavamo che Dio ci parlasse. Dopo qualche minuto di silenzio, chiesi al gruppo se qualcuno avesse la sensazione che Dio gli avesse parlato. La signora più “strana” dell’intero gruppo alzò la mano. “Oh, no!”, pensai. “Ti prego, Dio, chiunque altro, ma lei no!” Non voglio mancare di tatto nel chiamarla “strana”, ma ogni gruppo di persone, ogni chiesa, ha alcune persone che sono … be’, un po’ strane. Tutte le volte che c’è qualche novità sono i primi a provarla: tanto non hanno nulla da perdere. Nessuno li invita a pranzo. Sono appena tollerati dal resto di noi. (Forse è per questo che Dio ne ha tante misericordia e solitamente parla loro per primi … ) Comunque, non sentivo nessun sentimento di misericordia quando alzò la mano, solo terrore. Era impossibile ignorarla: era l’unica ad avere la mano alzata.
“Sì?”, le dissi.
“Ho avuto una visione”, fece lei. Una visione? Era proprio necessario usare quella parola? Cominciò a manifestarsi l’allarme sui volti dei miei studenti.
“Com’era l’immagine che hai visto?”, domandai.
“Be’, nella visione ho visto un bruco viola che si trascinava in una grondaia. Mangiò quattro sassolini, poi li vomitò. Cosa significa questa visione, Jack?”
Che cosa significa? Il mio primo pensiero fu: Significa che tu sei una po’ matta, cara signora! Il secondo fu: Significa che Dio mi odia! Oggi devo aver fatto qualcosa di proprio brutto perché questo mi accada. Gli studenti di teologia si scambiavano delle occhiate, sorridendo della “visione”. Per un momento ero tentato di pensare che il bruco fosse il seminario e gli studenti i sassolini: mi auguravo che fossero sputati fuori, o almeno fuori dalla riunione.
Poi notai una strana divisione nella stanza. Da una parte gli studenti, con l’espressione del viso e con gli atteggiamenti, mi supplicavano di dire al gruppo che questo non era una visione autentica. Quasi li udivo dire: “Non lasciare che questa gente sia ingannata!” D’altra parte, il resto del gruppo sembrava piena di tensione. Non erano minimamente ingannati: nessuno di loro pensava che la “visione” venisse da Dio. Ma aspettavano per vedere come sarebbe stata punita quella donna per aver detto una cosa così strana.
Guardai gli studenti; guardai la gente; poi guardai la signora. “Sai, il Signore non mi sta dando un’interpretazione di ciò che hai visto. Aspettiamo qualche momento per vedere se qualcuno ne riceve l’interpretazione, poi torneremo alla tua visione”, dissi. Gli studenti sembravano esasperati. Il loro volto diceva: “Il nostro prof è proprio impazzito: sta trattando quella roba come se fosse una vera visione”. In realtà, non lo pensavo: stavo soltanto trattando la donna come un vero essere umano. Ma la cosa interessante è che il resto della gente si rilassò. Per tutta la stanza cominciarono ad alzare le mani per “provare” le impressioni e le visioni: ora sapevano che non sarebbero stati puniti se avessero sbagliato. È molto più facile imparare il linguaggio dello Spirito Santo in un ambiente sicuro e affettuoso.
Stare là dove si parla la lingua
Ho già detto che ho studiato tedesco per diversi anni in America, leggendo libri di grammatica e memorizzando vocaboli, e più tardi leggendo libri in tedesco. Poi andai in Germania a vivere in un paesino dove la maggior parte della gente parlava solo tedesco. In pochi mesi avevo imparato più tedesco che in tutti gli anni di studio precedenti. Il miglior modo per imparare il tedesco è stare dove la gente parla tedesco.
Allo stesso modo, frequentare gente che parla e capisce il linguaggio dello Spirito Santo è un aiuto inestimabile nell’imparare a interpretare visioni, sogni, impressioni, e anche la Bibbia. Esattamente come alcune persone sono più abili di altre nell’imparare le lingue umane, così alcune sono più dotate per imparare ad ascoltare la voce di Dio nelle sue varie forme. Per esempio, Giuseppe e Daniele erano abili nell’interpretazione dei sogni; l’apostolo Paolo ebbe un dono straordinario per interpretare la Bibbia e per comprendere le rivelazioni esterne alla Bibbia. Anche la chiesa di Antiochia era un luogo in cui il linguaggio dello Spirito Santo veniva parlato e compreso (Atti 13:2). Coloro che si trovano in simili ambienti di solito progrediscono più rapidamente nell’imparare il linguaggio dello Spirito Santo di quelli che vivono là dove il Suo linguaggio non viene parlato, o in un solo dialetto.
Il fattore del tempo
Nessuno impara una lingua istantaneamente: si imparano nel tempo, attraverso un’esercitazione continua. La stessa cosa vale del linguaggio dello Spirito Santo. Quelli che diventano esperti nell’udire la voce di Dio sono coloro che si sono allenati costantemente ad ascoltare perché Egli parli (cfr. Ebr. 5:14). Se manteniamo un cuore aperto alla Sua correzione, se sviluppiamo l’abitudine di chiedere spesso la Sua opinione su ogni tipo di questione, e poi ascoltiamo le Sue risposte, allora col tempo diventeremo esperti nell’udire la Sua voce. Sii paziente. Concediti del tempo.
Se desideri veramente imparare il linguaggio dello Spirito Santo, il tuo desiderio è un segno che la misericordia di Dio si è posata su di te. È stato Lui a mettere quel desiderio nel tuo cuore, e la Sua misericordia rimarrà con te attraverso tutte le tribolazioni dell’imparare il linguaggio dello Spirito. C.S. Lewis osservò una volta che, se solo abbiamo il desiderio di camminare, Dio si rallegra anche quando inciampiamo. Se ciò è vero, allora forse se solo abbiamo il desiderio di ascoltare, Egli è contento anche quando sbagliamo.