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di Wim de Leeuw van Weenen
Ogni persona possiede qualche cosa. Anche un bambino piccolo possiede certe cose che considera sua proprietà personale, difendendola con vigore! Perfino la gente più povera ti fa vedere con fierezza qualche misero oggetto di sua proprietà.
La nostra società occidentale possiede enorme abbondanza di cose che dovrebbero rendere la vita piacevole (e carissima!). II diritto alla proprietà personale, di beni o denaro, viene dato per scontato e ritenuto quasi sacro e inviolabile.
Ma è giusto questo modo di pensare? Che ne dice la Bibbia?
La proprietà di Dio
Senza mezzi termini la Bibbia afferma: “All’Eterno appartiene la terra e tutto ciò ch’è in essa, il mondo e i suoi abitanti” (Salmo 24:1).
“Ecco, all’Eterno, il tuo Dio, appartengono i cieli, i cieli dei cieli, la terra e tutto quanto esso contiene” (Salmo 10:14). Tutto quanto è sulla terra o in essa appartiene al nostro Dio; sia che si tratti di terreni, di campi, di minerali, di foreste, del mondo animale o vegetale, sia che si tratti degli uomini o della materia che l’uomo trasforma, tutto è proprietà di Dio. “E lui che ci ha fatti e noi siamo Suoi” (Salmo 100:3). Essere cristiani o no non c’entra. Dio ha un diritto sulla nostra vita in conseguenza della Sua opera creatrice. E se ha un diritto sulla nostra vita, ha anche un diritto assoluto su quanto ci “appartiene”.
Adamo fu incaricato da Dio di lavorare e di custodire la terra (v. Gen. 1:26-28 e 2:15-19). La sua funzione poteva essere quella del “custode” del mondo materiale in rappresentanza del Creatore e Proprietario. Come un “gestore” lavora nell’interesse del proprietario, così l’operato di Adamo non era nell’interesse suo proprio ma in quello di Dio. Che enorme responsabilità! Naturalmente Adamo, insieme a sua moglie, aveva il diritto di vivere abbondantemente del frutto della proprietà da loro “gestita”.
Il peccato, però, non solo portò alla separazione da Dio, ma aprì anche la via all’egoismo, all’illimitato orgoglio, ad un’esistenza a scapito ,della terra e dei suoi abitanti, ad una corsa al proprio arricchimento a costo di impoverire l’altro: “La sanguisuga ha due figliuoli, che dicono ‘Dammi! Dammi!’” (Prov. 30:15).
Ciò malgrado, noi e tutto quanto “possediamo” siamo proprietà esclusiva di Dio, avendo ancora il compito di lavorare e custodire la terra per conto del Proprietario. Purtroppo, nei nostri giorni, non si tiene quasi più conto ditale fatto.
Israele: un ordine sociale
Se affermiamo di riconoscere Dio quale legittimo proprietario, diciamo delle belle parole, ma esse richiedono naturalmente un’applicazione pratica. Come realizzarla nella nostra vita? Israele ha forse ricevuto delle direttive in questo campo?
Nel Vecchio Patto, i beni materiali erano segno di benedizione divina. Vi erano precise leggi per l’acquisto, il prestito, i salari, le eredità, ecc. Ma queste leggi erano totalmente diverse da quelle degli altri popoli.
La più grande differenza si trovava nelle leggi che regolavano la proprietà delle terre, le quali venivano considerate come proprietà di Dio concessa “in prestito” al popolo (Lev. 25:23-34). Nel prendere possesso di Canaan, le terre furono equamente distribuite tra le tribù e le famiglie. Se, in seguito, qualcuno si trovava in obbligo di vendere le proprie terre, il parente più prossimo doveva ricomprarle o riscattarle per lui. Se non c’era nessuno in grado di riscattarle, in qualunque momento l’ex-proprietario poteva ricomprarle se aveva i mezzi per farlo. Ma, in ogni caso, nell’anno del giubileo (ogni 50 anni), tutte le terre tornavano in possesso del proprietario iniziale, per il semplice fatto che appartenevano a Dio (Lev. 25:25-28).
Anche altre leggi impedivano all’israelita di disporre liberamente dei suoi possessi. Se un cittadino impoverito era costretto a vendersi come schiavo, doveva essere liberato nell’anno di remissione (il settimo anno, vv. 35-38) e fornito liberamente di doni (Deut. 15:12-18). Comunque, non si doveva arrivare fino a tal punto. Infatti se qualcuno si trovava nel bisogno, coloro che gli stavano vicino erano in obbligo di sostenerlo e di prestargli il denaro necessario per il suo mantenimento (vv. 35-38). Tuttavia, nell’anno del giubileo, tutti i debiti venivano cancellati, anche se il prestito era stato fatto solo poco tempo prima. Per di più, il cibo non doveva essere venduto con guadagno né il prestito concesso con interesse. Capite ora perché il Signore Gesù ebbe anche Lui qualcosa da dire dei prestiti: “Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un imprestito, non voltar le spalle”. (Matt. 5:42)
Tutte queste precise regole (Deuteronomio 15 e Levitico 25) erano basate su un principio di giustizia sociale, affinché non vi fossero poveri in Israele, e derivano dal fatto che nessuno aveva libertà di disporre dei suoi beni secondo la propria volontà. Ognuno li aveva ricevuti quale benedizione dalle mani di Dio (in fin dei conti, erano proprietà Sua), ma col dovere di provvedere ai bisogni altrui. Ciò si riflette anche in altre prescrizioni come quelle della decima per i poveri (Deut. 14:28-29 e 26:-1:2) e di lasciare sui campi parte della raccolta per i poveri e gli stranieri (Lev. 19:9-10).
Le decime in Israele
Parlando della decima per i poveri, arriviamo sul delicato terreno delle decime. Cosa sono dunque le decime?
L’espressione “decima” viene dal comandamento di mettere da parte il 10 per cento (la decima parte) di tutte le rendite, di tutte le entrate, delle raccolte e dei greggi. E molto? Certamente no, perché la decima è solo una parte di quanto gli Israeliti offrivano. Secondo Deuteronomio 12:6, dovevano portare nel santuario: gli olocausti ed i sacrifici, le decime, le offerte volontarie, i primogeniti delle mandrie e dei greggi (i primogeniti degli uomini dovevano essere riscattati!)
Se poi ci soffermiamo sulle decime, notiamo che si parla di diverse decime:
1) La “decima ordinaria”, data ai Leviti per il loro mantenimento (Num. 18:21-24);
2) La “decima di festa” con la quale intere famiglie andavano al tempio per festeggiare e rallegrarsi alla presenza di Dio, invitando pure i Leviti (Deut. 14:22-27);
3) La “decima dei poveri” che, alla fine di ogni triennio, doveva essere messa da parte per i poveri, per lo straniero, l’orfano, la vedova e i Leviti perché potessero gioire nella presenza dell’Eterno (Deut. 14:28-29).
Si tratta forse sempre della stessa decima? È molto improbabile, visto i diversi scopi ai quali venivano destinate. L’Israelita, dunque, solo per le decime, metteva da parte più del 20 per cento dei suoi introiti.
Le offerte volontarie, poi, erano fatte per diversi scopi: per esempio, per il tabernacolo (Es. 35:4-29) e per il tempio (1 Cron. 29:1-9). Per il tabernacolo le offerte superavano perfino il bisogno e il popolo dovette essere fermato perché non ne portasse ancora! (Es. 36:4-7).
Siamo comunque chiari: le decime non erano assolutamente una cosa volontaria. Chi non le portava derubava Dio (Mal. 3:8-10). Le decime erano il minimo che l’Israelita offriva ed era una specie di tributo pagato all’Eterno quale riconoscimento dei Suo diritto di proprietà su ogni cosa.
L’ordine di Melchisedec
Noi non viviamo più sotto la legge ma sotto la grazia. Non siamo più legati alle prescrizioni date ad Israele per mezzo di Mosè. Cristo è il compimento della legge.
Tutto ciò è vero; ma… questo significa forse che oggi possiamo fare a meno di offrire le decime? La lettera agli Ebrei dichiara esplicitamente che, in Cristo, è venuto qualcosa di meglio, anzi la perfezione: un patto migliore, offerte migliori, il tabernacolo più perfezionato, il perfetto Sommo Sacerdote, ecc. E questo Cristo è “Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedec”. (Leggi attentamente i capitoli 5-7 dell’epistola agli Ebrei).
Poco si conosce di Melchisedec. Egli era il sacerdote e re che offrì pane e vino ad Abramo. Queste stesse cose Cristo le offrì a noi, Egli che pure è Sacerdote e Re. Ed Abramo, a sua volta, offrì a Melchisedec “la decima di ogni cosa” (Gen. 14:20). In Ebrei 7:9-10 viene spiegato che in tal modo anche Levi (ancora nei lombi di Abramo) era sottoposto al diritto di decima di un altro appartenente ad un ordine superiore: quello di Melchisedec.
Se l’ordine di Levi è ormai scomparso, quello superiore non ha avuto fine. Se Melchisedec aveva diritto alla decima e se Cristo è Sommo Sacerdote secondo quest’ordine, allora per noi vale la regola di offrire le decime, poiché quest’ordine è superiore (Ebrei 7:4-8) ed è eterno (7:3 e 24-25). Mosé fu il datore della legge, ma Abramo è il padre di tutti i credenti, di noi che viviamo sotto il Nuovo Patto. Ed egli offrì la decima!
Sotto la legge, c’erano chiare disposizioni riguardanti le decime. La legge è stata ora assorbita dalla grazia. Ma sarebbe un enorme errore pretendere che il livello della grazia sia inferiore a quello della legge. Il livello del Nuovo Patto basato sulla grazia è, al contrario, molto superiore. Alleluia! Se qualcuno non vuole essere “legalistico”, allora può dimostrarlo nel dare molto di più… come, in effetti, tanti credenti già fanno.
I Farisei offrivano persino le decime delle spezie aromatiche del loro giardino, trascurando però cose fondamentali. II Signore reagisce dicendo che devono fare l’uno (dare, le decime) senza però tralasciare l’altro (Matt. 23:23). Poi avverte ancora i Suoi discepoli dicendo loro: “Poiché io vi dico che se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei Farisei, voi non entrerete punto nel regno dei cieli” (Matt. 5:20).
In quel tempo la grazia di Dio veniva messa in stretto rapporto con il dare abbondantemente (2 Cor. capp. 8 e 9). Le chiese della Macedonia, nella loro profonda povertà, davano quanto più potevano, anzi abbondavano in generosità (2 Cor. 8:1-6). Con questo esempio viene chiesto ai credenti di Corinto di preparare i loro doni come atto di liberalità e non di avarizia (9:5c7), poiché Dio ama il donatore allegro e volonteroso. Certo, la disponibilità del cuore è molto importante. I doni non devono essere fatti né di mala voglia, né per forza; tuttavia, non per questo ci si può sottrarre dal farli!
Un’indicazione sul modo di dare si trova in 1 Corinzi 16:2: “Ogni primo giorno della settimana (la domenica) ciascuno di voi metta da parte a casa quel che potrà secondo la prosperità concessagli …” Ciò significa che i doni saranno fatti con regolarità ed in proporzione ai nostri beni. A quanto ammonteranno questi doni? Pensa all’esempio di quelli di Macedonia e alle regole dell’Antico Patto, oppure alla vedova nominata in Luca 21:3, la quale con due spiccioli aveva donato tutto quanto possedeva per vivere.
Allo stesso modo, vi erano tanti altri che servivano il Signore coi loro beni (Luca 8:3). E nella prima comunità cristiana non v’era neanche uno che dicesse sua alcuna delle cose che possedeva, ma tutto era comune tra loro (Atti 4:32). Chiunque possedeva dei- beni li vendeva, portando il ricavato agli apostoli (4:34).
Pur se un tale atteggiamento non potrà essere imposto, esso dà comunque una perfetta idea della misura di consacrazione di questi primi credenti. Ed è in stridente contrasto con quanti custodiscono gelosamente il loro portafogli con- la scusa di non essere “legalisti”.
A chi dare?
In base a quanto detto possiamo affermare che le decime dei nostri introiti sono il doveroso minimo di quanto offriamo al Signore. Questo 10% è il legale riconoscimento dei diritti di Dio sui nostri beni. In fondo si potrebbe dire: “Non sono io che do questo 10%, che già appartiene al Signore. I miei doni iniziano solamente al di sopra della decima”. (Anche se in realtà appartiene tutto quanto al Signore, come spesso cantiamo nei nostri inni …!).
Per la verità, la questione non è quanto io do al Signore (poiché tutto Gli appartiene), ma piuttosto quanto tengo per me di quel che è già Suo.
In stretto rapporto con questo è la domanda: “A chi devo dare le decime e gli altri doni?” Per trovare la risposta, consideriamo innanzitutto l’insegnamento “tipo” dell’Antico Patto. Le offerte fatte a Dio venivano portate nella Casa di Dio e date nelle mani dei sacrificatori. Le decime servivano da sostenimento a questi ed ai Leviti. II profeta Malachia avverte che chiunque trattiene la decima deruba Dio stesso, aggiungendo che essa deve essere portata nel tempio (Mal. 3:8-10).
Nel Nuovo Patto, la chiesa locale è la “casa di Dio”. È qui che il credente viene cibato e pasturato, e gli operai spirituali sono pronti per aiutare e curare. È questo il luogo dove le decime devono essere depositate, e saranno gli anziani locali a decidere come usare il denaro nel modo migliore, rendendo conto all’assemblea della loro amministrazione.
Doppio onore
Troppe volte succede che i responsabili della chiesa locale vengono “dimenticati” per quanto concerne il loro mantenimento. Questo, nonostante l’insegnamento molto esplicito della Bibbia: “Chi è mai che fa il soldato a sue proprie spese? Chi è che pianta una vigna e non ne mangia del frutto? O chi è che pasce un gregge e non si ciba del latte del gregge?” (1 Cor. 9:7). Se non fosse già chiaro il discorso, l’apostolo Paolo prosegue parlando del bue che trebbia al quale non si deve mettere la museruola, così che possa mangiare quanto ne vuole del grano. Questa, ovviamente, non è che un’immagine: Iddio si dà forse pensiero dei buoi? Secondo Paolo, questa (poco lusinghiera) immagine si riferisce agli operai responsabili delle comunità cristiane. Facendo un paragone con coloro che erano addetti ai rituali del Tempio, egli aggiunge: “Cosi ancora, il Signore ha ordinato che coloro i quali annunziano l’Evangelo vivano dell’’Evangelo” (1 Cor. 9:14).
Anche in un altro brano della Scrittura si parla dei “buoi”: “Gli anziani che tengono bene la presidenza, siano reputati degni di doppio onore, specialmente quelli che faticano nella predicazione e nell’insegnamento; poiché la Scrittura dice: Non mettere la museruola al bue che trebbia; e l’operaio è degno della sua mercede” (1 Tim. 5:17-18). Se anche non nuoce che gli anziani siano qualche volta un po’ più onorati e rispettati per il loro impegno (essi hanno troppe delusioni per impedire che diventino orgogliosi!), non è ciò che si intende in questo versetto. II “doppio onore” si riferisce ad una larga ricompensa finanziaria per il loro operato in seno alla chiesa. Ciò è chiaro se pensiamo al “bue” e all’operaio degno del suo salario!
Ma, cosa avviene in pratica oggi? Molti responsabili di chiese svolgono questo loro lavoro nel tempo “libero”. Il meglio delle loro forze viene dedicato ad una ditta durante la giornata, e solamente quel che rimane delle loro energie e del loro tempo può essere usato per il Signore.
Inoltre, spesse volte si dimentica che anche loro hanno una moglie e dei figli (poverini) che vengono trascurati. Invece di avere un “doppio onore” per una sola attività (spirituale), essi hanno un doppio lavoro per un solo salario! Vi sono molti problemi nascosti in questo campo. Sembrerebbe veramente che l’operaio cristiano non sia degno del suo salario.
Torniamo anche in questo ad essere “biblici”! Coloro che vi servono in un lavoro spirituale sono degni del loro salario. Non bisogna tenerli, quindi, su una base “minima”, perché ciò non sarebbe un “doppio onore”. Un lavoratore spirituale non può vivere di un “salario spirituale”! E il suo salario deve essere fornito dalle decime che (da ora in poi) la chiesa locale offre. Le decime di una quindicina di stipendi sono sufficienti per mantenere la famiglia di un operaio nel Regno di Dio.
Voi siete un popolo appartato
Il popolo di Dio è un popolo completamente diverso dagli altri; perciò è importante che si liberi dai legami con i beni materiali. Il Signore s’aspetta da ogni cristiano un atteggiamento tutto diverso su questo punto. Il cristiano è uno che ricerca in primo luogo il Regno di Dio, senza alcuna preoccupazione per le cose materiali.
Se offriamo a Dio quel che, Gli spetta, Egli aprirà le finestre del cielo per spandere su di noi una benedizione abbondante (Mal. 3:10). Tuttavia, non è questo il motivo perché Gli offriamo i nostri doni: sarebbe un motivo impuro e sbagliato.
Se inoltre prestiamo attenzione ai nostri fratelli e alle nostre sorelle in conformità alle leggi dell’Antico Patto (ombre della realtà!) e, secondo gli esempi neotestamentari, prendiamo cura dei loro bisogni, il Signore Gesù potrà iniziare un’opera restauratrice fondamentale nelle nostre chiese e nella nostra vita, venendoci incontro e rispondendo a tutti i nostri bisogni e a quelli della Sua Chiesa in modo molto pratico.
Wim de Leeuw ven Weenen, olandese, è stato capo redattore della rivista “Herstel”, dalla quale è tradotto quest’articolo per gentile concessione.
La presente traduzione è stata già pubblicata dalla rivista italiana “Potenza”.