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di Giovanni Traettino
Gesù aveva un sogno – “Io edificherò la mia chiesa” – ed una strategia per realizzarlo: uomini in cui piantare lo stesso sogno ed accendere lo stesso fuoco di zelo consumante che era in Lui.
I tre anni del suo ministero terreno girano intorno a questo obiettivo strategico: la selezione, la formazione e l’invio della prima “squadra apostolica”, i Dodici. Sarà questa “squadra apostolica” che alla Pentecoste darà inizio alla Chiesa (Atti 2:14), l’opera apostolica precede e fonda la chiesa. Intorno ad essi e su di essi, la chiesa prende vita e forma. Essi sono veramente il fondamento sul quale la chiesa viene costruita (Ef. 2:20, 1° Cor. 12:28).
La stessa strategia viene confermata quando si passa dai “dodici” agli apostoli dati dopo l’Ascensione, a cominciare da Paolo. Il modello viene confermato per tutte le generazioni successive.
Un mandato e un fondamento
La chiave per “fare l’opera di Dio” è stata in ogni tempo “ricevere e credere in colui che Egli ha mandato” (Gv. 6:28-29). “Mandato” è in greco apésteilen, dalla stessa radice di “apostolo”: cioè, Gesù stesso, gli “apostoli” e i profeti della costruzione e della restaurazione nell’Antico Testamento, e quelli che – a cominciare dai Dodici, da Paolo e dagli altri operanti nel Nuovo Testamento – Egli ha continuato a “mandare” fino ai nostri giorni (Lc. 11:49; 1° Cor. 12:28; Ef. 2:20, 4:11). La ragione per cui vivono ed esistono gli apostoli (i “mandati”) è realizzare il mandato. Le chiese vengono solidamente stabilite solo sul fondamento degli apostoli.
La squadra apostolica
Intorno ad essi emergono e si raggruppano grappoli di altri ministeri. Innanzitutto i profeti, poi i dottori, e ancora i pastori, gli evangelisti, gli operatori di miracoli, i doni di guarigione, le assistenze, i doni di governo, le diversità delle lingue (Lc. 11:49, Atti 13:1, Ef. 4:11, 1° Cor. 12:28). È un dato ormai acquisito della ricerca storica, che emerge chiaro anche dalla lettura degli Atti e delle Epistole, l’esistenza di “squadre” residenti e/o itineranti, composti in particolare di apostoli, profeti e dottori, che operano e si muovono con la logica del gruppo per piantare nuove chiese e per confermare e sorvegliare quelle esistenti.
Non si tratta di squadre ad “organico” necessariamente fisso, come risulta ben chiaro dall’esame di quella di Paolo, ma in rapporto alle esigenze dei “campo” e alla valutazione dell’apostolo, vengono impiegati di volta in volta gli uni o gli altri ministeri. Una struttura dunque insieme forte e flessibile, chiaramente concepita per penetrare nel modo più rapido in nuovi territori e finalizzata a piantare solidamente nuove chiese.
L’episcopato monarchico, testimoniato nel secondo secolo d.C. (Ireneo, Ignazio di Antiochia, ecc.) risponderà piuttosto all’esigenza di consolidamento, difesa ed espansione di chiese già costituite (si consideri già il ruolo di Giacomo nella Chiesa di Gerusalemme).
Due mentalità che idealmente dovrebbero coesistere (si veda l’apostolo Paolo) ma che tendono quasi inevitabilmente a polarizzarsi in rapporto alla fase che attraversa la chiesa (diffusione e piantagione, costruzione e consolidamento). II rischio per l’apostolo è ovviamente quello di ridursi a fare il pastore/dottore.
In questo quadro diventa importante cogliere la distinzione neotestamentaria tra l’opera e le chiese. La chiesa di Antiochia sembra essere la prima a concepire lucidamente, sviluppare e coltivare questo concetto (Atti 13:1-2).
Le chiese sono l’espressione della vita dei Regno a livello locale. L’opera è l’espansione (attraverso la squadra) di quella vita in altre località, che si traduce in diffusione della Parola, avvio, costruzione e sorveglianza di nuove chiese, restaurazione della Parola.
Modello e funzionamento
Ogni generazione della Chiesa corre il rischio, anche per quel che riguarda le strutture, di leggere la Scrittura con gli occhiali della cultura del proprio tempo, oltre che con quelli della tradizione ricevuta. Si finisce così con l’essere di volta in volta egualitari o verticisti, anarchici o rigidamente organizzati, in rapporto al clima culturale, politico e spirituale del tempo e della società in cui si vive. In altre parole, tendiamo a riprodurre nella chiesa la struttura della società o della cultura di cui siamo figli.
La Scrittura ha però un modello di struttura da proporci. Ed è importante che noi lo cogliamo in tutta la sua portata. La chiave essenziale, a mio avviso, è di “cogliere” questo modello attraverso la lettura unitaria di Antico e di Nuovo Testamento. Si può in questo modo distinguere tra principi e valori permanenti e aspetti e pratiche transitori. Si scopre allora che, come nei modelli fondamentali della Trinità e della famiglia, possono coesistere perfettamente concetti apparentemente contrapposti: leader e squadra, autorità e collaborazione, uguaglianza e diversità, pluralità e direzione, collegialità e presidenza, consiglio e decisione finale. Su questo terreno diventano decisivi la personalità e il taglio dei leader, il carattere e carisma dei ministri, la diversità di funzione e di “statura” dei ministeri.
In ogni caso la Scrittura, per quel che riguarda la squadra apostolica, propone rapporti chiaramente strutturati, una pluralità coordinata e governata dall’apostolo:
- In primo luogo gli apostoli (saggezza)
- In secondo luogo i profeti (rivelazione)
- In terzo luogo i dottori (conoscenza) e pastori (cura e insegnamento);
e ancora:
- Evangelisti
- Amministratori e diaconi
- Ministri che si aggiungono (Atti 16:1-5) ed altri non facilmente classificabili, ad es. Priscilla e Aquila (Atti 18:18).
Si veda Proverbi 24:3-4, Efesini 4:11, 1° Corinzi 12:28.
Gli anziani, i ministri e le chiese locali sono chiaramente sottomessi al governo dell’autorità apostolica.