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di Giovanni Traettino
Come cristiano e come pastore, sento molto forte il peso di capire la condizione della chiesa e la situazione del paese nel quale viviamo, e di cercare delle soluzioni.
Io non voglio passare il resto della vita a curare una chiesa di cinquanta, cento o duecento membri: voglio spenderla nel modo migliore per il Regno di Dio. E se questo vuol dire mettermi in discussione dieci o cento volte, sono pronto a farlo. Non mi interessa difendere una posizione di leadership come pastore o come apostolo; quello che mi interessa è servire Dio, anche passando attraverso crisi talvolta profonde e dolorose, come è naturale quando dalle varie iniziative non arrivano i risultati sperati.
Dobbiamo però sempre tener presenti i due lati della questione: da una parte la sovranità di Dio, dall’altra la nostra responsabilità. Gesù ci ha invitato a pregare perché venga il Suo regno in terra come in cielo, e ciò vuol dire che abbiamo la tensione di far entrare il regno di Dio nella nostra realtà personale, familiare e comunitaria e nel mondo intorno a noi.
Pessimismo o realismo?
Certo, ho la fede di fondo che Dio è sovrano e che porterà a compimento il Suo regno nella storia: è certo che il regno di Dio verrà! Il nostro problema è come inserirci in questo processo. Siamo in travaglio per la realizzazione del piano di Dio in Italia; e, mentre ci dà grande gioia sentire che il “bambino” altrove è già nato, sembra che da noi stenti a nascere e a volte ci stanchiamo di aspettare. Come è scritto in Proverbi 13:12, “L’attesa differita fa languire il cuore, ma il desiderio adempiuto è un albero di vita”.
Ad ascoltare certi predicatori sembra tutto facile, ma quando tentiamo di realizzare nelle nostre chiese locali le cose udite, non è sempre così facile. Siamo portati a dire con Ezechiele 37:11: “Le nostre ossa sono secche, la nostra speranza è svanita e noi siamo perduti”. Non voglio con questo essere pessimista, ma realista, perché conosco il danno che può fare il grande entusiasmo quando si confronta con la realtà e con l’esperienza difficile.
Tuttavia il profeta continua: “Perciò profetizza e di’ loro: Così dice il Signore, l’Eterno: Ecco, io aprirò i vostri sepolcri, vi farò uscire dalle vostre tombe, o popolo mio … metterò in voi il mio Spirito e voi vivrete” (vv.12-14). Nella “valle delle ossa secche” c’è qualcosa che Dio deve fare, ma anche qualcosa che tocca a noi fare: dobbiamo profetizzare, nonostante le circostanze non ci diano speranza. Infatti la parola profetica è creativa.
Abbiamo bisogno della stessa fede di Abramo, il quale, di fronte alla moglie sterile e la promessa ancora inadempiuta, “… sperando contro speranza, credette, per diventare padre di molte nazioni (Romani 4:18). È di uomini e chiese con questo tipo di fede e speranza che Dio farà i Suoi strumenti. Non è questione di sapienza, di metodi, di risorse e di energie umane; è lo Spirito di Dio che deve operare, perché sia chiaro che la gloria è tutta Sua.
Spostiamo dunque la nostra attenzione da noi e dai nostri metodi e la concentriamo su Dio, sapendo che è Lui “l’autore e compitore della nostra fede”, è Lui che “opera in noi il volere e l’operare secondo la sua benevolenza” (Ebrei 12:2, Filippesi 2:13 Riv), mettendoci a disposizione perché Egli ci faccia strumenti della Sua grazia. Egli ci chiede di rimanere fedeli nelle circostanze avverse.
Costanza
Non solo, ma Paolo ci esorta addirittura ad essere “allegri nella speranza” (Romani 12:12), a non perdere la pace e la gioia. Per me almeno, dopo aver provato questo, quello e quell’altro senza ottenere il successo, è reale la tentazione di perdere la pace e diventare triste e frustrato. E se il diavolo riesce a derubarci della pace e della gioia siamo finiti, non siamo più utili per il Regno.
Se invece possiamo reggere alle prove e nel deserto sviluppare atteggiamenti giusti, rimanendo flessibili e ammaestrabili, aperti al futuro, pronti a lasciarci mettere in discussione da Dio, a suo tempo Egli potrà usarci per la Sua gloria. “Siate allegri nella speranza, pazienti nell’afflizione, perseveranti nella preghiera”, conclude l’apostolo.
Alziamo dunque gli occhi quando siamo nel deserto e confidiamo nel Dio di Abramo, il Dio della speranza, e continuiamo a lavorare con pazienza e perseveranza. Forse saranno gli altri dopo di noi ad entrare nell’abbondanza a causa della nostra perseveranza. Al centro della vita di ogni uomo di Dio deve esserci questo nodo di resistenza contro ogni difficoltà: è questo che ci fa diventare uomini, movimenti e chiese forti. “Or il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nella fede, affinché abbondiate nella speranza per la potenza dello Spirito Santo” (Romani 15:13).
Dunque, dobbiamo coltivare la virtù della speranza. E la speranza si alimenta alla costanza, la quale è una virtù molto umile. Non è spettacolare come la fede, fatta di grandi manifestazioni. Ma Paolo scrive: “Allora [Dio] renderà a ciascuno secondo le sue opere: vita eterna a quelli che con la perseveranza nel fare il bene cercano gloria, onore e immortalità …” (Romani 2:6-7).
Imparare dagli altri
Nel corso di questi anni, ho desiderato portare in Italia alcuni contributi provenienti dall’estero, perché la mia comprensione è che il corpo di Cristo è uno e che il Signore si sta muovendo, in modi e in contesti diversi, su tutta la terra. Ho cercato di aiutare la riflessione, non solo mia e della nostra squadra di ministri ma di tutto il popolo evangelico italiano, sui punti più importanti che Dio sta sottolineando nella nostra generazione: punti da recuperare per diventare fruttuosi.
È quando la chiesa va in crisi e attraversa periodi di difficoltà che nascono i movimenti di riforma e di restaurazione: nascono dall’esigenza di scoprire il motivo per cui il popolo di Dio non porta il frutto che Dio intende. Allora ci vuole il coraggio di rompere con il passato, riproponendo al popolo di Dio temi quali l’alleanza, il discepolato, la diversità dei ministeri, i rapporti tra i credenti … Non si tratta di “nuove dottrine”, bensì di recupero, di riforma, di riportare il popolo di Dio a una condizione in cui possa portare frutto.
Per questo motivo ho invitato dei fratelli dall’estero a parlare nelle nostre conferenze, essenzialmente su due grandi linee. La prima è quella della chiesa: abbiamo potuto ascoltare uomini quali David Mansell, Bryn e Keri Jones, Terry Virgo, e quest’anno il Dr.. Kriengsak. L’altra linea è quella del sovrannaturale: uomini che nei loro paesi d’origine si sono mossi in maniera efficace in quest’area. In questa linea rientrano, seppure con sfumature diverse, i fratelli Annacondia, Rodovalho e Cabrera, che in una cultura neolatina e cattolica come la nostra hanno avuto “successo” secondo una certa linea.
Essi ci sfidano e provocano la nostra riflessione rispetto alle cose che lo Spirito di Dio sta facendo in diversi paesi del mondo. Ci stimolano a credere – ad avere la speranza – che le stesse cose siano possibili anche qui in Italia. Forse la nostra fede non è grandissima, ma ne abbiamo bisogno solo “quanto un granello di senape”! Sono uomini con pregi e difetti, con teologie più o meno buone, esattamente come noi. Ma Dio si serve di loro: c’è, come nella visione di Ezechiele delle ossa secche, “un gran rumore”. Ci sono opinioni, correnti, aggregazioni, divisioni: una gran confusione! Ma quello che conta è che c’è la vita; e dove c’è la vita c’è sempre un po’ di caos, come ben sanno tutte le famiglie numerose!
Spirito profetico
Non dobbiamo cercare allora di imitare ad ogni costo Kriengsak, Cabrera o Yonggi Cho; l’importante è che siamo “naturalmente spirituali”, rendendoci totalmente disponibili a Dio per essere Suoi canali, e Dio ci userà. Dobbiamo però lasciarci provocare, lasciare spazio alla fede dicendoci: “È possibile anche da noi! Dio può usare anche me per fare la Sua opera!”
Dobbiamo però liberarci dai “sogni di gigantismo”. Non siamo tutti capaci di formare una chiesa di 50.000 membri. Quello che il Signore ci chiede è di essere fedeli, di costruire ognuno la propria parte del muro. Noi non siamo, come spesso altri ci hanno chiamati, “il movimento di restaurazione”, ma “un movimento di restaurazione”. Non crediamo di avere tutto o di essere i migliori; cerchiamo solo di fare seriamente e onestamente la nostra parte.
Anche noi dobbiamo metterci in discussione per le volte in cui, per il timore di offendere gli altri, non lo abbiamo fatto. Un movimento cessa di essere profetico quando cessa di essere fedele alla chiamata che Dio gli ha rivolto. Se dunque Dio ti ha chiamato, va’ in fondo! Sii fedele! Se devi fare qualcosa che gli altri non capiscono, fallo! Con il massimo della grazia, dell’amore, della disponibilità, ma … fallo! Alla fine devi rendere conto a Dio della tua chiamata.
Infatti ogni movimento profetico di riforma e di restaurazione ha sempre avuto problemi. I francescani, gli anabattisti, i wesleyani … tutti hanno avuto problemi con l’establishment, con la chiesa costituita. Perciò anche noi dobbiamo essere pronti a pagare un prezzo per dare il nostro contributo alla chiesa, che però resta sempre più larga e più grande dei nostri movimenti.
Ritengo che alcuni dei contributi che abbiamo ricevuto siano molto importanti. Il più grande contributo di Carlos Annacondia alla chiesa in Argentina, secondo i fratelli di quel paese, è stato quello di dare ai credenti e ai predicatori evangelici il coraggio di lasciare i loro locali, scendere in piazza ed evangelizzare. E noi in Italia abbiamo bisogno di questo! So che alcuni non sono d’accordo con lo stile di Annacondia (d’altronde, non è neanche il mio stile); ma non è questione di stili! Ci interessa piuttosto il contenuto; e se tutti cominciamo ad andare fuori e ad annunciare il Vangelo, qualcosa succederà!
Insieme a questo, Carlos Annacondia ci ha stimolati a capire le implicazioni concrete della battaglia spirituale. Raramente in passato avevo pensato al combattimento spirituale sul terreno evangelistico, in termini dello scontro tra regno e regno e di un conflitto con un avversario che dobbiamo “espropriare”. Al di là delle metodologie, e anche se la dobbiamo masticare, digerire e inquadrare teologicamente, questa è una lezione importante per noi: che la chiesa deve andare a prendere possesso del territorio di Satana.
Detto questo, non sarà certo Annacondia che evangelizzerà l’Italia, ma dovremo essere noi italiani. O ci svegliamo e cominciamo a fare il lavoro, o l’Italia non sarà evangelizzata.
Il coraggio dei pionieri
Anche il contributo del fratello Cabrera è stato prezioso; in particolare, egli ha avuto il coraggio di aprire un fronte nazionale in Argentina. Per anni ha viaggiato in continuazione – in aereo, in treno, in macchina – per fondare contemporaneamente più chiese in città lontane l’una dall’altra. Chissà se Dio non susciterà anche in Italia qualcuno per intraprendere questo tipo di ministero?
Poi, ha avuto anche il coraggio di contestualizzare il messaggio del Vangelo in un paese di cultura cattolica; cosa che scandalizza alcuni ma che dovrebbe farci riflettere, perché ha aperto parecchie porte alla Parola di Dio. Alla base di questo c’è un profondo amore per il proprio popolo: infatti chi ama, chi intercede, si identifica con l’oggetto dell’intercessione.
Noi siamo frutti dell’«albero» del cristianesimo occidentale, e sarebbe salutare per noi riconoscerlo. Siamo figli di Francesco d’Assisi, di S. Agostino e di tutti i grandi uomini di Dio che ci hanno preceduti. Se vogliamo veramente raggiungere la nostra nazione, dobbiamo metterci in discussione anche su questo terreno, che non è solo culturale, ma anche spirituale.
Quando io mi sono convertito, il cinquanta per cento dell’insegnamento che ho ricevuto non era “cristianesimo” ma “anticattolicesimo”, e ci sono voluti vent’anni per liberarmi dall’acredine e dall’odio contro il cattolicesimo. E questo è un grosso impedimento per gran parte del mondo evangelico italiano. Anche quando vengono meno la fede, la spiritualità, la fedeltà alle Scritture, la presenza di Gesù Cristo come Signore, non viene meno l’anticlericalismo. Rimane solo un’identità “protestante”, che non si capisce cosa sia se non che non è cattolica!
L’importante per me è che le persone nascano di nuovo e che abbiano Gesù come loro Signore. Allora ci sono dei cattolici che sono miei fratelli, e ci sono protestanti che non lo sono. Dobbiamo avere il coraggio di dire queste cose e di riflettere seriamente sulla nostra identità, anche se vuol dire essere criticati e accusati di essere “cripto-cattolici”.
Distruggere fortezze
Anche il fratello Kriengsak ci ha incoraggiati con la sua testimonianza che è possibile conquistare al Vangelo un paese pagano. L’Italia è un paese strano: metà cattolico e metà pagano! Perciò anche queste notizie ci sono di grande incoraggiamento.
Dobbiamo distruggere nella nostra mente le fortezze dell’incredulità. Il diavolo ci ha convinti che non potremo mai essere altro che una piccola minoranza. Ho spesso sentito dei pastori evangelici dire: “Ah, ma qui siamo nel paese dove c’è il Papa”. Ma ciò non vuol dire niente! Abbiamo bisogno di accogliere il seme della fede per credere che è possibile vedere una grande opera anche qui! Dobbiamo dare spazio alla fede. Non siamo destinati a rimanere piccoli, insignificanti e impotenti: è possibile vincere anche nel nostro paese!
E neanche dobbiamo dire: “I numeri non c’interessano”. A me interessano i numeri: mi interessano le migliaia e i milioni dei miei connazionali! Non sono uno di quelli che dicono: “Pochi ma buoni”: io li voglio molti e anche buoni! Infatti, anche nel nostro Paese qualcosa comincia a muoversi: a Napoli, a Palermo, cominciano a sorgere grandi chiese. Liberiamoci dunque dal passivismo, dalla rassegnazione, diamo spazio alla fede, e mettiamo a pregare a intercedere e a dare il nostro contributo.
Intercedere ed evangelizzare
In conclusione, ci sono due proposte che vorrei fare all’evangelismo italiano, e che credo coincidano con il cuore di Dio per questo momento nella storia del nostro Paese.
La prima è quella di promuovere un movimento profetico di preghiera e di intercessione. È necessario combattere e vincere nei luoghi celesti prima di scendere nel campo, perché è lì che si vincono le battaglie. Voglio dunque che sia suscitato un movimento di intercessione nelle chiese locali e una rete di “Intercessori per l’Italia” a livello nazionale.
La seconda cosa che voglio promuovere è una mentalità evangelistica, che sia però centrata sulla chiesa: un movimento per piantare e moltiplicare nuove chiese. Credo che ogni chiesa locale debba porsi l’obiettivo di piantare altre chiese. Se le nostre chiese ovunque si apriranno a questa prospettiva, credo che potremo grandemente accelerare l’evangelizzazione dell’Italia.
Ci sono diversi elementi che ci invitano a credere che Dio sta per iniziare una nuova fase nel nostro Paese. Io, e con me tutti i fratelli che sono con me, vogliamo essere su quella frontiera e investire la nostra vita per quell’obiettivo; e voglio invitare tutti quanti a dare il proprio contributo per questo, perché è su quella frontiera che sta il nostro Signore; è lì che Egli si sta muovendo, e se noi ci muoveremo con Lui, avremo la Sua copertura e la Sua benedizione.