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di Jorge Himitian
Nei nostri movimenti di rinnovamento e di restaurazione Dio ha fatto luce sui temi del Regno di Dio e della Signoria di Cristo, e ne abbiamo sempre parlato molto. Ma spero che, anche se per noi questo non è un argomento nuovo, Dio ne rinnovi e rinfreschi la visione. Il Regno di Dio è sempre nuovo, e abbiamo sempre bisogno di rinnovarne la visione dentro di noi.
Io sono nato in Palestina da famiglia evangelica armena; frequentavo la scuola domenicale e i miei genitori mi portavano a tutti i culti. Quando avevo sette anni siamo emigrati in Argentina, e là è stata la stessa cosa: sono praticamente nato e cresciuto nei culti di chiesa. A quindici anni ho fatto l’esperienza personale della salvezza, insieme a molti altri giovani, in un risveglio che si è verificato nella chiesa armena e abbiamo cominciato a predicare in maniera infuocata sulle piazze, negli ospedali, nei ristoranti, sui treni e sugli autobus. Ho partecipato a molte campagne di evangelizzazione, sia da uditore che da predicatore, e ho ascoltato i più grandi predicatori del mondo. Poi per quattro anni ho studiato presso un seminario evangelico, e per due anni sono stato pastore di una nuova comunità che avevamo avviato.
Ma solo nel 1968, all’età di ventisei anni, quando già da due anni ero pastore e da poco ero stato battezzato nello Spirito Santo, Dio mi ha aperto gli occhi. Tristemente, fino a quel momento, non avevo mai sentito predicare sul Regno di Dio; né tantomeno lo avevo fatto io. Al seminario il Regno era stato menzionato come tema escatologico, senza che sapessimo bene a cosa si riferisse. Infatti in qualsiasi testo di teologia sistematica i capitoli principali sono dedicati a: Dio, la Bibbia, l’uomo, Cristo, la salvezza, lo Spirito Santo, la Chiesa, l’escatologia … ma non contengono nessun capitolo dedicato al Regno di Dio!
Rimasi sbalordito. Tutto quello che avevo predicato finora, tutto ciò che avevo ascoltato, mi apparve come sbagliato! Ho avuto l’impressione che per secoli il popolo evangelico non ha avuto chiarezza riguardo al regno di Dio. Ero già pastore, ma capii allora che la mia conversione era ancora incompleta.
Quell’esperienza trasformò la mia vita, cominciò a trasformare la mia chiesa e abbiamo iniziato a condividere la cosa anche con altri pastori. Fino a quel punto il nostro movimento di rinnovamento consisteva nel battesimo nello Spirito Santo, nella lode e l’adorazione e nei doni dello Spirito; ma da quell’anno – era il 1968 – il Regno di Dio è diventato centrale. Tutto è cambiato! Durante gli anni ’70 siamo stati fraintesi, criticati e perseguitati dal resto del popolo evangelico: per un periodo le nostre riunioni e i nostri libri sono stati messi al bando. Oggi, grazie a Dio, tutto questo è cambiato.
Il grande tema della Bibbia
Ma quello che avevamo compreso è che il Regno di Dio non è un tema, e nemmeno uno dei temi principali: è il tema della Bibbia. Senza comprendere il Regno di Dio, non comprendiamo né Dio né la Bibbia. E purtroppo la maggior parte del mondo evangelico si trova in queste condizioni.
Voglio mostrarvelo con la Bibbia alla mano. In Isaia 52:7 troviamo il “Protovangelo”, la prima chiara menzione della predicazione del Vangelo: “Quanto sono belli, sui monti, i piedi del messaggero di buone notizie, che annunzia la pace, che è araldo di notizie liete, che annunzia la salvezza, che dice a Sion: «Il tuo Dio regna!»”. C’è uno chi porta una buona notizia (Evangelo) annunciando la pace e la salvezza. Ma qual è il messaggio? “Il tuo Dio regna!” Ecco definito il Vangelo: è il messaggio che Dio regna!
Consideriamo poi il ministero di Cristo come è riportato nel vangelo di Matteo. Prima viene il Precursore: “Venne Giovanni il battista, che predicava nel deserto della Giudea, e diceva: «Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino»” (Matt. 3:1-2). Il messaggio di questo ultimo e più grande dei profeti, l’araldo di Cristo è il regno di Dio!
In Matteo 4:17 è la volta di Gesù, e il suo messaggio è esattamente lo stesso: “Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino”. Anche in Galilea predica lo stesso messaggio: “… andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe e predicando il vangelo del regno, guarendo ogni malattia e ogni infermità tra il popolo” (4:23). Qui tre verbi riassumono tutto il ministero di Cristo: insegnava, predicava e guariva. Ma che cosa predicava? Non solo “il vangelo” – questo sarebbe incompleto – ma il vangelo del regno!
Al capitolo 9, subito dopo il Sermone sul Monte, Gesù estende il proprio ministero ad altri territori: “Percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità” (Matt. 9:35). Ancora qui predica il vangelo del Regno.
In tutti i Vangeli …
Ma – obietterà qualcuno – il Vangelo di Matteo ha per tema Gesù come Re. Guardiamo allora quello di Marco.
“Gesù si recò in Galilea, predicando il vangelo di Dio e dicendo: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo»” (Mc. 1:14-15). Anche Marco dunque riporta che il messaggio è il regno di Dio e che Gesù invita gli uomini a ravvedersi. E così anche in Luca: “Anche alle altre città bisogna che io annunzi la buona notizia del regno di Dio; poiché per questo sono stato mandato”. “Egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunziando la buona notizia del regno di Dio. Con lui vi erano i dodici …” (4:43, 8:1-2). In tutte le città, in tutte le contrade, è sempre lo stesso messaggio: “il regno di Dio”!
In Luca 9:1-2 Gesù invia i Dodici, dicendo loro che cosa predicare: “Diede loro l’autorità su tutti i demoni e il potere di guarire le malattie. Li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire i malati …”. Anche ai Settanta dà le stesse istruzioni: “Dite loro: “Il regno di Dio si è avvicinato a voi”” (10:9). Il discepolo deve predicare lo stesso messaggio del Maestro! E in Luca 16:16 troviamo un riassunto di tutto il ministero di Cristo: “La legge e i profeti hanno durato fino a Giovanni; da quel tempo è annunziata la buona notizia del regno di Dio …”
Gesù non solo predicava, ma anche insegnava, e lo faceva in due modi: direttamente e in parabole. Qual è dunque il tema del suo insegnamento?
Nel Sermone sul Monte (Matteo capp. 5-7) Gesù insegna i principi del Regno, e si può notare come usi costantemente il tempo imperativo: infatti sta dando ai discepoli i comandamenti del regno, gli ordini impartiti da chi governa. Esordì così: “Beati i poveri in spirito … beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli …” (5:3,10). Poi insegna come pregare, con il “Padre nostro” (5:9-13): “Venga il tuo regno …”, frase che viene spiegata da quella immediatamente successiva: “… sia fatta la tua volontà”. Il Regno di Dio è l’ambito in cui viene eseguita la volontà di Dio, in cui tutti ubbidiscono ai Suoi ordini. Ci esorta a “cercare prima il Regno” (6:33) e aggiunge: “Non chiunque mi dice: «Signore, Signore!» entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (7:21). Il Regno non è dunque questione di parole, ma di messa in pratica.
Questi sono esempi dell’insegnamento “diretto” di Gesù; in Matteo 13 abbiamo invece un esempio di quello “indiretto”, espresso con otto parabole. Vediamo dunque il loro tema. La prima è la parabola del seminatore, della quale al v.19 Egli dà la spiegazione. Che cosa rappresenta il seme? “La parola del Regno”! E nei versetti 24, 31, 33, 38, 44, 45, 47, 52 introduce ciascuna delle altre parabole con le parole: “Il regno dei cieli è simile a …”. Il tema di tutte e otto le parabole è … il Regno di Dio! E così anche per ciascuna delle altre sei parabole che si trovano nei capitoli dal 18 al 25 di Matteo. Tutti hanno lo stesso tema: il Regno di Dio! (vedi 18:23, 20:1, 21:28-31, 21:33-43, 22:2, 25:1).
Un piccolo chiarimento: alcuni credenti confondono il “regno dei cieli” con il cielo stesso. Matteo però usa l’espressione “regno dei cieli” perché sta scrivendo principalmente per i Giudei, i quali evitavano di pronunciare il nome di Dio per non incorrere nel rischio di usarlo invano (Es. 20:7). Perciò egli adotta il termine “regno dei cieli”, oppure semplicemente “regno”. Invece Marco, Luca e Giovanni usano l’espressione “regno di Dio” con significato equivalente, come è evidente quando si confrontano i brani paralleli.
Per tre anni e mezzo, dunque, il tema costante dell’insegnamento di Gesù è il Regno di Dio. Poi, dopo la sua morte e la risurrezione, Egli compare ai discepoli e sta con loro durante quaranta giorni. Di che cosa parla? “Si presentò vivente con molte prove, facendosi vedere da loro per quaranta giorni, parlando delle cose relative al regno di Dio” (Atti 1:3). “Ma Gesù! – avrebbero potuto dire – per tre anni non ci hai parlato di altro; e ora, in questi ultimi giorni che stai con noi, non hai qualche argomento diverso?” Ma, come già detto, questo non è “un tema”: è il tema!
… e negli Atti
E così, quando scende lo Spirito Santo il giorno della Pentecoste, Pietro di che cosa predica? Annuncia Gesù morto, risorto e ora seduto sul trono. “Siedi alla mia destra, finché io abbia posto i tuoi nemici per sgabello dei tuoi piedi” (2:34-35). Egli presenta Gesù seduto sul trono – un Re – e proclama alla folla: “Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!” (v.36).
Quando Filippo scende in Samaria e là annuncia il Vangelo, predica “il lieto messaggio [euangelion, vangelo] del regno di Dio e il nome di Gesù Cristo” (Atti 8:12). E Paolo? Ad Efeso, per esempio, “entrò nella sinagoga, e qui parlò con molta franchezza per tre mesi, esponendo con discorsi persuasivi le cose relative al regno di Dio ” (Atti 19:8). Anche dopo essersi ritirato dalla sinagoga continua ad annunciare lo stesso messaggio: nel suo addio agli anziani di quella chiesa ricorda loro quel periodo, dicendo: “Sono passato fra voi predicando il regno … Per tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire ciascuno con lacrime” (Atti 20:25,31). Ecco dunque il grande tema della predicazione paolina. Ogni altro argomento è secondario.
Alla conclusione del libro degli Atti Paolo arriva a Roma, seppure in manette: infatti la trama di questo libro è il racconto di come il Vangelo, partendo da Gerusalemme, fosse arrivato nella capitale dell’Impero. Gli vengono concessi gli arresti domiciliari, e così “convocò i notabili fra i Giudei” (28:16-17) i quali, “avendogli fissato un giorno, vennero a lui nel suo alloggio in gran numero; ed egli dalla mattina alla sera annunziava loro il regno di Dio … cercando di persuaderli per mezzo della legge di Mosè e per mezzo dei profeti, riguardo a Gesù”. E così “per due anni interi in una casa da lui presa in affitto, riceveva tutti quelli che venivano a trovarlo, proclamando il regno di Dio e insegnando le cose relative al Signore Gesù Cristo …” (28:23, 30-31).
Dalla mattina alla sera per due anni, attingendo a tutti i libri dell’Antico Testamento, Paolo predica e insegna il regno di Dio. Aveva trovato il filo conduttore della Bibbia! Se dovesse venire a predicare da noi, oggi, sappiamo già di quale sarebbe l’argomento di tutti i suoi messaggi!
Nel Nuovo Testamento le espressioni “regno di Dio” o “regno dei cieli” vengono usate ben 137 volte. Ora, la maggior parte di questi riferimenti sono nei Vangeli e negli Atti, mentre nelle Epistole non sono molto frequenti; e da questo alcuni hanno dedotto che il Regno non sia per ora, ma una questione che riguarda Israele.
Ma Filippo predicava il messaggio del Regno ai Samaritani, e ad Efeso Paolo lo annunciava ai Gentili. Anche nelle Epistole si usa comunque questa espressione: per esempio in Colossesi 1:13 Paolo spiega il significato della conversione dicendo che “Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio”.
Perché dunque il tema del Regno non è più frequente nelle Epistole?
Gesù è il Signore!
Il kerygma dei Vangeli era “Il regno di Dio è venuto!”; il kerygma apostolico è: “Gesù Cristo è il Signore!” Il tema è sempre lo stesso, ma cambia l’espressione, e per due ragioni. La prima è culturale. La cultura giudaica poteva infatti comprendere il concetto di “Re” e di “Regno”, ma nel mondo romano, dire che Gesù è Re lo faceva scendere di rango, perché nell’Impero c’era un’autorità superiore ai re: Cesare, l’Imperatore, il Kyrios, il quale accampava addirittura pretese di divinità. Così Paolo ha avuto la lucidità di fare una traduzione culturale, esprimendo la stessa verità in un modo più adeguato alla mentalità romana. Nelle sue epistole dice che Gesù è il Kyrios, il Signore! Un motivo culturale, dunque, ma anche teologico, perché per gli Ebrei questa parola era altrettanto significativa, in quanto nell’Antico Testamento “Signore”, Adonai – tradotto nel greco dei LXX con la parola Kyrios – viene usato come nome di Dio. In altre parole vuol dire che Gesù Cristo è Dio, e nello stesso tempo Signore, cioè al di sopra di ogni autorità sia umana che spirituale.
Nel Nuovo Testamento il titolo “Signore” viene usato con riferimento a Gesù ben 610 volte, di cui 260 nelle Epistole. Il tema è dunque sempre lo stesso: Gesù Cristo è il Signore! È Dio incarnato, morto in croce, risorto ed esaltato alla destra del Padre, il quale gli ha dato il regno, il dominio e l’autorità finché tutti i suoi nemici saranno messo sotto i suoi piedi. Alla fine dei tempi egli consegnerà il regno al Padre ed egli stesso si sottometterà a Lui, così che ogni cosa sarà sottomesso a Dio (1° Cor. 15:24-28).
Ma già ora, Cristo è il Signore, Egli regna, ed entrare nel suo Regno significa riconoscerLo come il Signore. Il Padre, esaltando il Figlio, gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, ordinando a tutti gli uomini e a tutto il creato che “si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore” (Fil. 2:10-11).
Anche nelle visioni dell’Apocalisse, infine, ciò che domina l’intero libro è il trono, parola ripetuta moltissime volte. “Colui che siede sul trono” regna su tutto. È un libro di consolazione e di speranza per le chiese, la quale passerà sì attraverso molte sofferenze e tribolazioni, ma Dio se ne servirà per purificarla dal peccato e dai falsi fratelli per presentarla allo Sposo, una sposa gloriosa e senza macchia, pronta per il giorno delle nozze. Intanto la nostra consolazione è che Cristo è sul trono: Egli regna e non sarà mai smosso! I cieli si aprono e Cristo appare su un cavallo bianco col nome: Re dei re e Signore dei signori! (Apoc. 19:11-16). Facciamo anche noi la nostra parte per affrettare la venuta di quel giorno (2° Pt. 3:12), confessando che Gesù è il Signore e pregando ogni giorno: “Venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà anche in terra come è fatta in cielo”!
Il Vangelo del Regno
Cos’è dunque esattamente il regno di Dio? Potremmo averne un’idea falsata, pensando a una nazione territoriale quale il Regno Unito della Gran Bretagna. Ma il regno di Dio non è un luogo – neanche il Cielo – né equivale alla Chiesa. Non è un oggetto, né uno spazio geografico. Nella Bibbia la parola regno ha a che fare invece con un’azione: è la sfera su cui qualcuno regna. “Regno” equivale a “signoria”: è il governo di un Re, il regnare di Dio. Il già citato “protovangelo” di Isaia proclama: “Il tuo Dio regna!”, dove “regna” è un verbo. Anche il Salmo 93, 97 e 99 esordisce dichiarando “Il Signore regna!”
Così la Bibbia ci indica il Regno come un’azione, il regnare di Dio. Non è qualcosa di statico, ma un’azione dinamica e continuativa di Dio. Non c’è istante in cui Dio non regni! Egli governa tutto il creato, sostenendo ogni cosa con la parola della sua potenza (Ebr. 1:3). Al centro dell’universo c’è un trono, sul quale è seduto un Re, Dio, che regna su tutto quanto esiste. Nel Salmo 103:19 leggiamo: “Il Signore ha stabilito il suo trono nei cieli, e il suo dominio si estende su tutto”. È un regno eterno: “Il tuo regno è un regno eterno e il tuo dominio dura per ogni età” (Sal. 145:13). È stabile, inamovibile; non può essere messo in discussione, nessuno può attentare contro di esso. Il suo regno rimane fermo per sempre!
Il regnare di Dio
La natura – i fiori, gli alberi, gli uccelli, le stelle – obbedisce al governo di Dio in modo inconscio e automatico, perché non ha coscienza, né discernimento né volontà. Invece Dio ha creato l’uomo a sua propria immagine e somiglianza, dotandolo di coscienza, di intelligenza e di volontà e facendone un essere moralmente responsabile. Anche sull’uomo, Dio è l’autorità sovrana. Ma dal momento che egli ha coscienza, Dio gli parla, l’uomo comprende e deve sottomettersi a Lui volontariamente. Il governo di Dio si esercita sull’uomo in modo tale che questi ha la responsabilità di ubbidire volontariamente.
Poiché l’uomo ha discernimento e volontà, può anche ribellarsi all’autorità di Dio. Non può sfuggire del tutto al Suo regno, perché alla fine Dio lo giudicherà. Ma ci viene dato un tempo in cui possiamo ubbidirgli volontariamente e sottometterci alla sua autorità. Questa è la prima responsabilità dell’uomo: conoscere la volontà di Dio e vivere in armonia con essa. Dio ha detto ad Adamo ciò che doveva fare e non fare: doveva lavorare sei giorni a coltivare la terra, essere una sola carne con sua moglie, avere figli e riempire la terra, signoreggiare sugli animali … E ha aggiunto con chiarezza che poteva mangiare liberamente di tutti i frutti del giardino, ma che dell’albero della conoscenza del bene e del male non doveva mangiarne. Dio ha spiegato bene la propria volontà, l’uomo l’ha compresa e doveva sottomettersi volontariamente alla Sua autorità.
Finché l’uomo riconosce e si sottomette all’autorità di Dio, vive sotto il Suo regno ed Egli se ne compiace. Se non capiamo il regno di Dio, non potremo mai comprendere cos’è il peccato e la sua gravità. È essenzialmente ribellione contro l’autorità di Dio, Colui che governa. Ed è quello che hanno fatto Adamo ed Eva. Non hanno ammazzato, né commesso adulterio, né rubato; ma, ispirati da Satana, hanno fatto la loro propria volontà. Proprio questo era stato anche il peccato di Satana: si era ribellato all’autorità di Dio, e ora tentava l’uomo a fare altrettanto. L’essenza del peccato è fare ciò che è Dio non vuole!
Ribellione
La ribellione è un’attitudine di superbia, di scostumatezza. Il figlio che vive in casa del padre deve ubbidire all’autorità di quest’ultimo; ma un figlio superbo e arrogante fa quello che vuole. Ecco il peccato nella sua essenza. Perché l’uomo fornica, mente, bestemmia, ruba, parla male degli altri? Perché fa la propria volontà. La ribellione è la radice di ogni peccato, dell’anarchia che troviamo nel mondo e nell’ordine morale. Gli uomini fanno quello che vogliono anziché sottomettersi alla volontà di Dio.
Quando invece si comprende il regno di Dio, allora si comprende anche il peccato. Senza capire il regno di Dio, la nostra comprensione del ravvedimento sarà superficiale. Ravvedersi infatti non è piangere: si può piangere e avere dei rimorsi di coscienza, ma questo non significa che ci si sia pentiti. Da bambino, mi hanno insegnato che il ravvedimento era sentire un peso e una tristezza per aver offeso Dio; ma, seppure quest’elemento della contrizione sia una parte necessaria del ravvedimento, non è sufficiente. Il ravvedimento è invece un cambiamento di atteggiamento. La parola greca è metanoia, che significa “cambio di mentalità”. Ravvedersi vuol dire che il ribelle cambia atteggiamento, si piega e si sottomette a Dio, dicendogli: “Fino ad oggi ho vissuto come piaceva a me, ma ora cambio atteggiamento e mi sottometto alla tua autorità”.
Gesù predicava il regno di Dio, dicendo alla gente di cambiare quell’atteggiamento di ribellione ereditato da Adamo e che per secoli Israele ha avuto davanti a Dio. Isaia inizia il suo libro dicendo da parte di Dio: “Ho nutrito dei figli e li ho allevati, ma essi si sono ribellati a me” (1:2). Ora viene Gesù e proclama: “Ravvedetevi! Il regno di Dio – l’autorità di Dio – si è avvicinata agli uomini!”
Per capire bene il significato del ravvedimento, guardiamo alcuni esempi presi dal ministero di Cristo. Egli si avvicina a due pescatori, Pietro e Andrea, e dà loro un ordine: “Venite dietro a me e vi farò pescatori di uomini” (Matt. 4:19). È un comando, non un optional! Egli parla con autorità. Di fronte a un comando, abbiamo solo due possibilità: ubbidire o ribellarsi, sottomettersi oppure no. E Pietro e Andrea si sottomettono all’autorità di Gesù. Si ravvedono, cambiano atteggiamento. Pietro poteva dire: “Fino a quel giorno facevo ciò che mi pareva, ma dal quel giorno chi comanda nella mia vita è Gesù Cristo”. Il regno di Dio si è stabilito nella sua vita.
Matteo era un esattore di tasse: stava seduto nel suo ufficio a riscuotere le tasse per l’Impero Romano. Si avvicina Gesù con una gran folla, e riassume il messaggio del Regno in una sola parola: “Seguimi!” (Matt. 9:9). Che capacità di sintesi! È un ordine – modo imperativo – e di fronte a questo comando Matteo ha due possibilità: sottomettersi all’autorità, o ribellarsi. Decide di sottomettersi, lascia tutto e segue Gesù. Il regno di Dio è venuto nella sua vita.
Quando Gesù va in casa di Zaccheo, la Bibbia non dice di che cosa hanno parlato. Riferisce solo ciò che dice Zaccheo in mezzo al pranzo: si alza a dice a Gesù: “Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo”. E Gesù risponde: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa” (Luca 19:8-9). La salvezza è entrata in casa quando il suo padrone si è sottomesso all’autorità di Dio! Fino a quel giorno Zaccheo aveva fatto quello che gli pareva. Tutto ciò che guadagnava era per sé; era un uomo avaro, egoista, ladrone e bugiardo. Ma è arrivato il regno di Dio e si è sottomesso a Lui, mettendo tutta la sua vita e tutti i suoi beni a Sua disposizione. È arrivata la salvezza!
Allo stesso modo, Gesù dice alla donna colta nell’adulterio: “Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più” (Giov. 8:11). È un comando. Una donna che fino a quel momento era vissuta nel peccato, ora riceve un ordine: “Va’ e non peccare più”!
Disubbidienza
Non tutti però ubbidirono a Cristo, perché egli dava gli ordini, ma non li imponeva: invitava l’uomo a rispondere volontariamente alla Sua autorità. Si è avvicinato un giovane ricco con una domanda importantissima: “Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” Gesù gli dice di rispettare i comandamenti, e lui risponde di averlo sempre fatto. Gesù lo guarda e sente verso di lui un forte amore. È un bravo ragazzo che vive nel rispetto dei comandamenti di Dio, ma gli manca qualcosa: “Va’, vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi” (Mc. 10:17-22). Come? Per avere la vita eterna devo vendere tutto? Avere la vita eterna non consiste certo nel vendere o nel comprare, ma in una sola cosa: chi comanda nella mia vita? Ecco il regno di Dio. Se l’autorità dice “Vendi tutto”, bisogna vendere tutto. Se dice di non vendere nulla, non si vende nulla; se dice di vendere la metà, si vende la metà. Ma quel giovane risponde negativamente. Il regno gli si è avvicinato, la porta si è aperta, ma a una condizione: di sottomettersi a Cristo. Egli invece non si è sottomesso e se n’è andato pieno di tristezza. Si è perduto.
Così evangelizzava Gesù. Convertirsi vuol dire sottomettersi totalmente al regno di Dio, nella persona di Gesù Cristo. Ecco il vangelo del Regno!