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di Geoffrey Allen
“Ecco fatto!” Il grande Artista guardò compiaciuto il suo capolavoro. Era perfetto, il coronamento di tutta l’opera creativa dei giorni precedenti. Anche lo sfondo; l’ambiente che aveva ideato per esso, era perfetto: non rimaneva nulla da aggiungere. La luce, il paesaggio, gli animali: tutto era molto buono. Ma … forse mancava ancora qualcosa?
“Poi l’Eterno Iddio disse: ‘Non è bene che l’uomo sia solo: io gli farò un aiuto che gli sia convenevole’. E l’Eterno Iddio… formò una donna e la condusse all’uomo. E l’uomo disse: ‘Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne’“ (Gen. 2:18-23).
Sin dalla creazione del mondo, il lavoro di squadra è sempre stato il piano di Dio. Al primo uomo, infatti, era stato affidato un compito e una responsabilità: per cominciare, quello di lavorare e di custodire il giardino (2:15); a lungo termine, quello di riempire la terra della sua progenie, rendendosela soggetta e regnando, come “amministratore delegato” di Dio, su tutto ciò che l’abitava (1:28).
Ma non era bene che egli affrontasse questo compito da solo, così Dio creò la donna per stare al suo fianco. Dobbiamo notare come Dio definisce il ruolo di Eva. Non la chiama, in primo luogo, “compagna”: infatti ad Adamo non mancava la compagnia, perché egli godeva di una comunione ininterrotta col suo Creatore (cfr. 3:8-9). Piuttosto, la donna fu creata per essergli un “aiuto adatto” nel suo lavoro.
L’esempio divino
Ma il principio di lavorare in squadra non inizia neanche con Adamo ed Eva. La stessa creazione del mondo era stata un lavoro di collaborazione tra le tre Persone della Trinità. “Nel principio, Iddio (ebraico Elohim, il che è una forma plurale) creò i cieli e la terra… e lo Spirito di Dio aleggiava stilla superficie delle acque”. “Nel principio … la Parola era con Dio … Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei: e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta” (Gen. 1:1-2, Giov. 1:1-2). E leggiamo ancora: “Poi Dio disse (a chi lo disse, mi chiedo??): ‘Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza’” (Gen. 1:26).
Anche nella vita terrena di Gesù, vediamo applicarsi lo stesso principio. “Gesti rispose loro: ‘Il Padre mio opera fino ad ora, e anch’io opero … Il Figlio non può da se stesso far cosa alcuna, se non la vede fare dal Padre; perché le cose che il Padre fa, anche il Figlio le fa nello stesso modo’“. (Giov. 5:17,19). Sia nella creazione, sia nella redenzione, l’opera di Dio è sempre stata un lavoro di perfetta collaborazione: un lavoro di squadra.
Flusso e riflusso
La Bibbia è la storia del piano redentivo di Dio, dalla caduta del primo uomo, fino al coronamento della salvezza negli ultimi capitoli dell’Apocalisse. Lungo il corso dei secoli, vediamo l’opera divina passare attraverso vicende alterne. Ci sono periodi di progresso e di conquista, altri di apparente sconfitta o di regresso, in cui il popolo di Dio sembra avere perso la strada.
Se studiamo e confrontiamo i periodi di progresso e di vittoria, hanno tutti in comune due caratteristiche. Prima, Dio suscita un uomo. Qualcuno ha detto: “Il metodo di Dio sono gli uomini. Non abbiamo bisogno di metodi migliori, ma di uomini migliori!”. Nella Genesi, è vero, troviamo dei “pionieri” solitari: Noè, Abramo, Giacobbe. Ma poi, il piano di Dio passa attraverso il popolo di Dio, e gli uomini di Dio sono i leaders del Suo popolo. Da Mosè in poi, la storia biblica ci presenta una serie di uomini, alcuni di prima importanza, altri di second’ordine. Ma una cosa è chiara: la leadership è determinante per il successo del popolo di Dio. I periodi di trionfo e di conquista sono tutti legati ai nomi di altrettanti uomini: Mosè, Davide, Salomone, Zorobabele, Nehemia; nel Nuovo Testamento, oltre a Gesù – il Leader per eccellenza – spiccano Pietro e Paolo.
La seconda caratteristica è questa: tutti i leaders di successo hanno sempre attuato una strategia di squadra. E non potrebbe essere diversamente. Il lavoro è sempre stato troppo grande, il peso della leadership troppo gravoso, perché un uomo riuscisse a portarlo avanti da solo. E anche l’Uomo perfetto, il solo che avrebbe potuto farcela, il Signore Gesù stesso, ha preferito attuare una strategia di squadra.
Ma c’è pure un’altra ragione. L’uomo che Dio suscita non è un despota o un freddo amministratore. Il leader suscitato da Dio se uno che attira altri uomini. Egli conduce con il suo esempio, ispira, entusiasma. È un uomo sul quale c’è l’unzione di. Dio, un uomo “carismatico” nel senso originale della parola. È anche un uomo umile, sa di non essere capace di fare tutto da solo, conosce i propri limiti e quindi la necessità che le abilità e i talenti di altri suppliscano alle sue debolezze. Ed è un uomo che ha compreso qualcosa del cuore e della strategia di Dio, per cui comprende l’importanza di impartire agli altri una visione, e non solo ordini.
Mosè: il liberatore
Indubbiamente, Mosè è uno dei personaggi e uno dei leaders più grandi dell’Antico Testamento. Egli fu “il profeta” precursore del Messia (Deut. 18:15), il liberatore che diede inizio all’esistenza di Israele come nazione. Ma non avrebbe mai potuto compiere quest’opera grandiosa tutto da solo. Già quando Dio lo chiamò al pruno ardente, alle sue obiezioni di incapacità fu risposto: “Non c’è Aaronne tuo fratello, il Levita? Io so che parla bene… Tu gli parlerai, e gli metterai le parole in bocca; io sarò con la tua bocca e con la bocca sua, e v’insegnerò quello che dovrete fare. Egli parlerà per te al popolo; e così ti servirà di bocca, e tu sarai per lui come Dio” (Es. 4;14-16). Mosè dunque non sarà solo, ma avrà un collaboratore e un sostegno nel compito affidatogli.
Così leggiamo: “Mosè ed Aaronne dunque andarono e radunarono tutti gli anziani … ed il popolo prestò loro fede” (4:29-31). “Dopo questo, Mosè ed Aaronne vennero a Faraone, e gli dissero …” (5:1). “E l’Eterno parlò a Mosè ed ad Aaronnne, e comandò loro di andare dai figli d’Israele e da Faraone …” (6:13).
Non solo, ma prima che Israele arriva al monte Sinai, troviamo la “squadra” dei conduttori allargata da due a quattro. Quando gli Amalekiti vengono ad attaccare Israele nel deserto, Giosuè conduce l’esercito in battaglia, mentre Mosè, accompagnato da Aaronne e da Hur, sale sul monte sovrastante per pregare con l’autorità di Dio, stendendo il bastone che ne era il simbolo. Quando le mani di Mosè si stancano, “Aaronne e Hur gli sostenevano le mani, l’uno da una parte, l’altro dall’altra; così le sue mani rimasero immobili fino al tramonto del sole. E Giosuè sconfisse Amalek e la sua gente” (Es. 17:8-13).
Delega di responsabilità
Ma non bastava questo “primo livello” di collaboratori. Nel capitolo seguente, leggiamo della visita di Jethro, suocero di Mosè, al campo degli Israeliti. Egli, vedendo come “il popolo stette intorno a Mosè dal mattino fino alla sera” per consultare Dio, per conoscere i Suoi ordini e le Sue legai, e per l’arbitraggio delle loro liti (18:13-17), offre a Mosè un consiglio saggio: “Tu ti esaurirai certamente … tu non puoi bastare da te solo … scegli degli uomini fidati … e stabiliscili sul popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine, e rendano essi ragione al popolo in ogni tempo; e riferiscano a te ogni affare di grande importanza, ma ogni piccolo affare decidano loro. Allevia così il peso che grava su te, e lo portino essi con te”.
Mosè ha la saggezza e l’umiltà di accettare questo buon consiglio (nonostante venga dal suocero!): “Scelse fra tutto Israele degli uomini capaci, e li stabili capi dei popolo: capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine” (Es. 18:21-25). Così divise il peso delle responsabilità, liberandosi per fare le cose che solo lui era in grado di fare.
Ma evidentemente neanche questo sistema di delega della leadership era sufficiente. Questi luogotenenti, capaci di risolvere le dispute, non avevano l’unzione di Spirito Santo che consentisse loro di dare una guida spirituale, col risultato che in Numeri cap. 11, troviamo che tutto il popolo piagnucola per la monotonia della dieta di manna miracolosa. Mosè, rattristato e arrabbiato, si sfoga con Dio: “Perché hai trattato così male il tuo servo? Perché m’hai messo addosso il carico do tutto questo popolo? … Io non posso, da me solo, portare tutto questo popolo; è un peso troppo grave per me”. E chiede addirittura di morire (11:11-15).
Anche questa volta, la risposta di Dio è di mettergli a fianco altri uomini, i “settanta anziani” sui quali Egli “prese dello spirito ch’era su lui, e lo mise sui settanta anziani; e avvenne che, quando lo spirito si fu posato su loro, quelli profetizzarono” (11:25). E così Mosè poté finalmente portare a termine il suo compito.
Saul e Davide
Dopo il tempo di Mosè e del suo discepolo Giosuè, ci fu un lungo periodo di declino nazionale e religioso, interrotto dalle liberazioni operate dai “giudici”, che però restavano episodi isolati. La prossima grande svolta nella storia di Israele viene con l’istituzione della monarchia, prima con Saul, poi con Davide.
È estremamente significativo il fatto che Saul, allontanandosi progressivamente da Dio, rimase sempre più isolato e solitario, mentre Davide – “l’uomo secondo il cuore di Dio” – attirava a sé un numero sempre crescente di uomini forti, capaci e fedeli. I primi ad unirsi a lui furono i suoi parenti (che conservarono sempre un posto importante nel suo seguito) e “quelli che erano in angustie, che avevano dei debiti o che erano scontenti” (1 Sam. 22:1-2). Di questi seguaci – davvero poco promettenti! – Davide seppe formare una formidabile banda di guerrieri, che fini per prendere possesso del regno.
In 1 Cronache 12, leggiamo dei “prodi … della tribù di Beniamino, dei fratelli di Saul”, che “vennero a Davide a Tsiklag, mentre egli era ancora fuggiasco per paura di Saul” (vv. 1-2). Vennero anche dei forti guerrieri delle altre tribù; “e furono fatti capi nell’esercito. E ogni giorno veniva gente a Davide per soccorrerlo: tanta, che se ne formò un esercito grande” (vv. 21-22).
In 2 Samuele 23, troviamo i nomi dei “tre, valorosi guerrieri” e dei “trenta capi” che formavano il consiglio di Stato di Davide. Altrove troviamo elencati i nomi del generale del suo esercito, dei capi della guardia reale e del servizio tributi, del cancelliere, dell’archivista, del segretario, dei sacerdoti e dei ministri di stato (2 Sam. 8:15-18, 20:23-25), nonché dei Leviti incaricati di cantare e di suonare strumenti musicali “per ringraziare, lodare e celebrare l’Eterno, l’Iddio d’Israele” giorno e notte (1 Cron.15:4-6, cfr. cap. 23).
È chiaro che, senza Davide, questo periodo glorioso e trionfale per il popolo di Dio non si sarebbe verificato. Ma è altrettanto evidente che neanche Davide avrebbe potuto fare tutto da solo. La chiave del suo successo era la formazione intorno a lui di una “squadra” di uomini fedeli, per tradurre in atto la “visione” che Dio gli comunicava.
Restaurazione
Anche il ritorno dall’esilio e la ricostruzione del Tempio e della città di Gerusalemme fu caratterizzato da un “lavoro di squadra”. Al leader Zorobabele e al sacerdote Jeshua, capo religioso, si affiancarono i profeti Aggeo e Zaccaria, che li stimolarono nel momento dello scoraggiamento e della perdita di zelo per la causa di Dio. Più tardi, subentrarono lo scriba Esdra e l’alto ufficiale della corte persiana, Nehemia, che lavorarono fianco a fianco per ricostruire le mura della città e per ripristinare l’ubbidienza alla legge di Dio. Anche qui, per compiere queste imprese, fu determinante l’apporto di tutta una schiera di collaboratori con funzioni diverse: sacerdoti, cantori, portinai, guerrieri, muratori, artigiani … (Neh. 11).
Apostoli e profeti
Nel Nuovo Testamento, troviamo operanti gli stessi principi. Il “ leader “ per eccellenza – Gesù – scelse fra i suoi seguaci i dodici apostoli “per tenerli con sé e per mandarli a predicare …” (Marco 3:14-15). Viaggiano insieme, insieme imparano dal Maestro, e quando Egli li manda fuori, vanno “a due a due” per lavorare insieme.
Questi dodici uomini, inizialmente così diversi tra loro – dal “pubblicano” Matteo, odiato collaboratore dell’occupazione romana, a Simone detto “Zelota”, cioè membro delle frange estremistiche dedicate alla resistenza armata contro quel regime – vengono fusi insieme per formare una vera e propria “squadra”. Anche dopo la morte e la resurrezione di Gesù li ritroviamo a mangiare insieme quando Egli improvvisamente appare in mezzo a loro; insieme a perseverare nella preghiera in attesa della discesa dello Spirito Santo (Atti 1:13-14); insieme il giorno della Pentecoste, quando “Pietro, levatosi in piedi con gli undici, alzò la voce …” (Atti 2:14); insieme a governare la prima chiesa a Gerusalemme, dedicandosi alla preghiera e al servizio della Parola (Atti 6:2-4).
E questo principio della “squadra” permea tutta la storia della chiesa primitiva. In Atti 15, troviamo la “squadra” iniziale allargata per comprendere tutti gli “apostoli e anziani”, che si riuniscono per dibattere, ma soprattutto per pregare e ascoltare la voce dello Spirito Santo, sulla delicata questione dei Gentili e la legge di Mosè (Atti 15). È ben noto il fatto che non troviamo nel Nuovo Testamento una figura di “papa”, ma piuttosto un governo collegiale anche ai massimi livelli. I personaggi di maggior rilievo – Pietro, Paolo, Giacomo, per citarne alcuni – si consultano, si accordano, talvolta si riprendono e si correggono (Gal. 2:2, 9, 11), anche se per le distanze, gli scarsi mezzi di comunicazione e gli impegni della missione hanno raramente, modo di stare insieme.
Troviamo, però, al posto dell’unica “squadra” iniziale dei Dodici, il formarsi di tante “squadre apostoliche”. Non vediamo mai, nelle pagine del Nuovo Testamento, un apostolo viaggiare e lavorare da solo. Talvolta ne vediamo due collaborare insieme (ad esempio Paolo e Barnaba, Atti 14:14); più spesso, l’apostolo si fa accompagnare da ministri già affermati (ad es. Sila, già riconosciuto come profeta, Atti 15:40) o da promettenti giovani (o meno giovani) scelti dalle chiese, che egli forma al ministero “sul campo”, come aveva fatto Gesù.
Per esempio, Barnaba e Paolo prendono con sé Giovanni Marco (Atti 14:15); più tardi, Paolo si fa accompagnare da Timoteo (16:1), da Luca (vedi il “ci” di Atti 16:10), Priscilla e Aquila (18:18), Sopatro, Aristarco, Secondo, Gaio, Tichico e Trofimo (20:4), Tito (Gal. 2:3), e parecchi altri che egli nomina nelle sue lettere.
Nella chiesa locale
Il principio della “squadra”, poi, si estende anche al governo delle singole chiese locali. Gli “anziani” che – seguendo il modello ebraico – dovevano governare ciascuna comunità locale, nel Nuovo Testamento sono nominati sempre al plurale: “…designarono per loro in ciascuna chiesa degli anziani”; “perché tu … costituisca degli anziani in ogni città …” (Atti 14:23, Tito 1:5).
Non che tutti gli anziani avessero gli stessi compiti o lo stesso “livello”. Alcuni, che “si affaticano nella predicazione e nell’insegnamento”, sono da considerare “degni di doppio onore” (1 Tim. 5:17). Normalmente all’interno del gruppo degli anziani, ne emerge uno che tiene la presidenza, un “primus inter pares”: “chi presiede – è scritto – lo faccia coli diligenza” (Rom. 12:8). Ma, ai tempi del Nuovo Testamento, questo leader tra gli anziani non si trovava obbligato – come purtroppo succede tante volte ai pastori nelle chiese moderne – ad essere un “tuttofare”: evangelista, insegnante, pastore, amministratore, talvolta anche imbianchino, idraulico e custode del locale! Piuttosto era il coordinatore di una squadra di uomini maturi, equipaggiati con doni e capacità diverse, ma tutti impegnati nello stesso lavoro, quello di “edificare la chiesa” (1 Cor. 14:12).
Il metodo di Dio
Abbiamo visto come il metodo della “squadra” sia il metodo di Dio: quello adoperato già da Dio stesso, essendo una Trinità di persone, e quello che ha caratterizzato ogni azione di successo durante la lunga storia del popolo di Dio. Ci rimane solo da adottarlo anche noi! “Se sapete queste cose – dice Gesù – siete beati se le fate”! (Gv. 13:17). Dobbiamo darci da fare per sviluppare i rapporti tra i ministeri esistenti, per formarne dei nuovi in rapporto con questi, per trovare la giusta collocazione di ognuno secondo i doni differenti ricevuti da Dio, e infine per lavorare insieme, come squadra di operai al servizio del Maestro per costruire e realizzare il Suo regno in mezzo a noi.