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di Emilio Ursomando
In Isaia 2: 2 è scritto: “Avverrà, negli ultimi giorni, che il monte della casa dell’Eterno si alzerà al di sopra di tutti gli altri monti, e tutte le nazioni affluiranno ad esso”. Molti sognano di svegliarsi la mattina e di trovarsi davanti questa “montagna”, che sappiamo essere la Chiesa, e di vedere le moltitudini che vi salgono. Ma non avverrà per miracolo. Avverrà solo per ubbidienza al progetto di Dio.
Noi tendiamo ad aspettare che sia Dio a fare tutto, e così alcuni aspettano che sia Dio a tirare su la Chiesa. Essi ragionano così: “La Chiesa va costruita? D’accordo! Non c’è nessuna novità in questo. Ma è Gesù che edifica la Sua Chiesa: egli stesso ce l’ha detto” (Mt. 16:18). Certo, è una risposta perfettamente biblica. Ma la Bibbia dice solo questo? Che “solo” Gesù edifica la Chiesa? Io dico di no.
Nel capitolo 4 della lettera agli Efesini, leggiamo: “Salito in alto, egli (Gesù) ha fatto dei doni agli uomini … Ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo di Cristo” (vv. 8-12). Dio punta all’edificazione del Corpo. Questo è in cima ai suoi pensieri. Ed è proprio per questo che ha dato agli uomini – alla Chiesa – i suoi “doni”, i cinque ministeri.
Dio ha stabilito di costruire la Chiesa mediante questi ministri, uomini ai quali Egli conferisce un dono particolare che li rende capaci di lavorare per l’edificazione del Corpo. E poiché questi doni procedono da Lui, Egli può ben dire “Io edificherò la mia Chiesa”. È Gesù che edifica, ma lo fa attraverso gli uomini. Dio ha scelto di realizzare il Suo piano sulla terra attraverso degli uomini.
Ricordate Israele quando era schiavo in Egitto? Le sue grida di dolore arrivarono fino al cielo, e Dio decise di liberarlo. Sarebbe bastata una Sua parola per cancellare l’Egitto dalla faccia della terra; oppure avrebbe potuto mandare giù il Suo esercito di angeli. Ma Dio agì diversamente: Egli suscitò un profeta, Mosè. Dio liberò Israele per mezzo di un uomo (Es. 3:7-10).
Allo stesso modo, Dio potrebbe costruire la Chiesa da solo, ma ha scelto invece di usare degli uomini, che Egli stabilisce a rappresentare e ad esprimere la Sua autorità.
Lavorare insieme
Ma c’è un’altra verità che dobbiamo comprendere bene, e cioè che questi ministeri devono lavorare assieme. Come essi erano riuniti tutti insieme nel corpo fisico di Gesù, così devono tornare a funzionare tutti insieme nel Suo corpo spirituale, che è la Chiesa. Questo significa che tutti coloro che hanno ricevuto da Dio uno di questi ministeri hanno la responsabilità di lasciare il loro individualismo, venire insieme e lavorare in squadra per la costruzione della Chiesa.
Per costruire un edificio, occorre il materiale, ma occorrono anche i costruttori. E non basta il carpentiere, c’è bisogno del falegname, dell’idraulico, del vetraio, dell’elettricista, e soprattutto, occorre che ci sia l’architetto, cioè colui che ha il progetto e che controlla che. tutto sia fatto così come è disegnato sulla carta. Lo stesso è per la Chiesa. I credenti sono le pietre, Gesù è la pietra angolare che sostiene la casa (1 Pt. 2:5-6), ma occorrono anche quelli che la costruiscono. Questi operai sono i ministeri. Ed essi devono lavorare insieme, proprio come fanno muratori, elettricisti, falegnami, idraulici e vetrai.
Come il vetraio o il carpentiere non può da solo costruire la casa, così nessun ministero da solo può costruire la Chiesa. Nessun ministero, per quanto grande ed “ unto “ esso possa essere! Sul progetto di Dio è scritto: “Egli ha dato alcuni … altri … altri … per l’edificazione del corpo”.
Non continuiamo perciò a fare i “Rambo” solitari. L’ordine di Dio, espresso nella Sua Parola, è “Unitevi e formate il Corpo!” Solo allora disporremo di tutta la pienezza preparata da Dio per la Sua Chiesa e possederemo la potenza necessaria per scuotere in modo decisivo il regno di Satana su questa terra. Verifichiamo dunque se, costruendo, stiamo seguendo il progetto lasciatoci da Dio. Altrimenti, per quanto stabile possa apparirci oggi, tra cinque o dieci o trenta anni, vedremo il nostro lavoro franare sotto i nostri occhi.
Se dunque vuoi costruire la Chiesa, non sforzarti di farcela da solo. Ci sono “altri”, senza i quali il lavoro non può essere fatto. Unisciti a loro o prega perché Dio te li faccia incontrare. Egli li ha “dati”, e questo vuol dire che non possiamo farne a meno.
“Non ho bisogno di te”
In 1 ° Corinzi 12:14-21, portando avanti il suo insegnamento sui doni, l’apostolo Paolo ci dice che le membra, pur appartenendo allo stesso corpo, non hanno tutte la stessa forma né la medesima funzione. Così, c’è l’occhio, c’è il piede, la bocca, ecc., ognuno con un particolare attributo e una specifica capacità. Ebbene, dice Paolo, Dio non ha fatto così solo per una questione di estetica: il suo scopo era quello di fornire al Corpo tutti gli attributi e tutti gli organi che gli consentissero di svilupparsi, muoversi ed agire perfettamente. Certamente, a Paolo non interessava fare una lezione di anatomia, egli stava affermando la necessità del riconoscimento, da parte delle varie membra, delle diverse funzioni stabilite da Dio all’interno della Chiesa.
Paolo voleva dire alla mano:
- a) Non pretendere di vedere quello che invece vede l’occhio. Sei una mano! La tua funzione è quella di lavorare; per vedere, c’è l’occhio. Riconosci che hai bisogno di lui.
Ma anche:
- b) Non ti scoraggiare se non riesci a vedere, perché anche l’occhio, senza di te, non può costruire quello che vede.
Il corpo prende la sua forza dalla somma delle capacità e del vigore di ogni singola parte (Ef. 4:16).
Paolo stava cercando di combattere due attitudini molto pericolose e continuamente presenti nella Chiesa: l’orgoglio (“non ho bisogno di te”) e lo scoraggiamento (“poiché non sono occhio, non sono del corpo”). Per costruire bene la Chiesa, bisogna che impariamo a conoscere e ad accettare, personalmente e reciprocamente, la nostra funzione e la nostra misura.
Un concetto sobrio
“Io dico quindi a ciascun di voi che non abbia di sé un concetto più alto di quello che deve avere, ma abbia di sé un concetto sobrio” (Rom. 12:3). “Sobrio” non significa necessariamente “basso”, ma “equilibrato, lucido, realistico”. Per raggiungere questa “sobrietà”, sono necessari due passi:
1) “Presentate voi stessi in sacrificio vivente a Dio” (v.1). Offrirsi in sacrificio significa dire: “Signore, rinuncio ad avere mie aspirazioni e miei obiettivi. Sia di me quello che tu vuoi”.
2) “Non vi conformate ci questo inondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio” (v. 2). Dobbiamo essere liberati, mediante il rapporto con lo Spirito Santo che rinnova la nostra mente (2° Cor. 3:18), dall’influenza dello spirito del presente secolo, che spinge all’affermazione di sé e alla diffidenza anziché alla ricerca del bene dell’altro e alla reciproca fiducia.
Tutto ciò porta alla conoscenza, per esperienza, della volontà di Dio per la nostra vita, cioè ad un concetto sobrio di noi stessi. Solo dopo aver fatto questi passi, riusciremo ad accettare la verità: che cioè siamo “parte” e non “tutto”, che abbiamo bisogno degli altri. Credo che possa aiutarci a questo punto una riflessione di Watchman Nee nel suo libro “L’operaio cristiano alla ricerca del carattere” (pagg. 58-59).
“Per quanto possano essere grandi le nostre convinzioni, dobbiamo imparare a non avere fiducia in noi stessi, poiché siamo tutti inclini ad errare, e più siamo sicuri di noi stessi, tanto più rischiamo di deviare. Uno dei pericoli della soggettività è che la fiducia che abbiamo in noi stessi ci rende desiderosi di guidare gli altri, e quanto più è grande il seguito che possiamo attirare, tanto più si accresce la fiducia in noi stessi, con il risultato che diventiamo sempre meno capaci di ricevere aiuto dagli altri o di discernere la guida del Signore”.
“I cristiani di questo genere possono lavorare soltanto per conto loro. Ostinati come sono, non riescono ad adattarsi agli altri e non possono quindi agire in collaborazione con altri. Non hanno mai conosciuto l’autorità spirituale, e poiché non hanno mai imparato la sottomissione all’autorità, non possono realmente esercitarla. Molti cristiani non hanno mai imparato, dall’inizio della loro vita spirituale fino ad oggi, che cosa significa sottomettersi ai loro fratelli. E poiché non hanno mai imparato cosa significa lasciarsi guidare, Dio non può affidare loro la guida di altri Suoi figli”.
È dunque importante che ciascuno di noi “conquisti” un concetto sobrio di se stesso, per occupare il giusto posto e fare il giusto lavoro. Questo è fondamentale se vogliamo contribuire all’edificazione della Chiesa.
I benefici del lavoro di squadra
Finché agisco da solo, rimango l’unico giudice di me stesso, e questo può essere molto pericoloso. Il rapporto con altri, invece, dà la mia reale misura. Questo, se da una parte può significare la caduta di qualche bella “illusione”, dall’altra però ci dà identità, liberandoci da tanti dolorosi conflitti e consentendoci di fare il “nostro” lavoro con pieno appagamento di noi stessi e degli altri. Imparare a riconoscere i nostri limiti con la stessa disinvoltura con cui accettiamo la nostra forza ci libera per un ministero più efficace.
La Scrittura afferma che “abbiamo doni differenti” e che questo non dipende da noi, ma dalla misura della “grazia che ci è stata data” (Rom. 12:6). Se dunque è Dio che dà, perché scoraggiarmi per quello che non ho? Se Dio ti ha chiamato ad essere mano, e non occhio come vorresti, puoi fare solo due cose: o accettare e svolgere il tuo lavoro di mano, oppure ribellarti e tirarti indietro; ma sforzarti per diventare quello che non sei produrrà solo frustrazione nella tua vita e nella vita degli altri. Certo, tutti noi vorremmo poter fare tante cose; ma dobbiamo imparare a fare soltanto le cose per cui abbiamo ricevuto grazia e, senza alcuna frustrazione, lasciare agli “altri” il compito e la responsabilità di fare la loro parte di lavoro!
Stabilità
Come uomini, oscilliamo continuamente tra due estremi: l’autoesaltazione e la depressione. Ebbene, conoscere e accettare noi stessi e gli altri ci libera dal pericolo di entrambi e ci consente di esercitare un ministero equilibrato e pieno di frutto.
Gesù disse: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv. 8:31-32). È quindi la verità che ci rende veramente liberi. E la verità è che “Egli ha dato alcuni … altri … altri …”. Appena accettiamo e decidiamo di vivere questa verità, un senso di grande liberazione entra nella nostra vita: non devo più dimostrare di essere qualcosa, non devo più temere gli altri. Per la grazia di Dio, sono quello che sono. Riconosco la mia forza, ma anche i miei limiti e, gloria a Dio, posso accettarli entrambi. Non devo più riuscire ad essere tutto. Ho compreso che quello che manca a me, Dio lo ha dato ad un altro. E il mio “ limite “ non è debolezza, ma qualcosa che mi ricorda che sono “parte”.
Dio lascerà sempre un “limite” nella nostra vita affinché nessuno possa mai dire “Io non ho bisogno di te”. Certo, questo presuppone la morte a noi stessi, alle nostre aspirazioni; ma non è stata forse questa l’attitudine di Gesti (Fil. 2:5-8)?
E non è forse questa la richiesta che Egli ci rivolge quando dice: “Se uno vuol venire dietro a me, rintuzzi a se stesso, prenda ogni giorno la stia croce e mi segua” e: ”Se il granello di frumento caduto in terra non nuore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto” (Lc. 9:23, Gv. 12:24).?
Dobbiamo essere pronti a morire continuamente perché possa esprimersi attraverso di noi la nuova vita che Dio vuole produrre (2° Cor. 4:10-12).
Correre verso la meta
Se Dio non può allargare il nostro ministero, ciò dipende quasi sempre da noi, dalla nostra incapacità a tornare ogni giorno a morire perché “il nuovo” di Dio possa prendere forma nella nostra vita. Non appena riceviamo una cosa da Dio, tendiamo a tenercela stretta e difenderla da tutti. Ma così, Dio non può accrescere il dono che è in noi. Molti ministri non vedono mai allargato il loro ministero perché continuano a tenersi stretto quello che hanno già realizzato.
Ora, non voglio essere frainteso. Non sto dicendo di abbandonare le chiese: sono anch’io pronto a difendere a spada tratta la chiesa in cui Dio mi ha messo! Sto dicendo soltanto di non vivere solo per quello che abbiamo già, ma di alzare lo sguardo ogni giorno a cercare il Signore e la Sua volontà per noi. Paolo aveva realizzato tanti meravigliosi successi, ma egli scrive: “… dimenticando le cose che stanno dietro, io mi protendo verso quelle che stanno davanti” (Fil. 3:13-14).
Paolo aveva una visione. Era questa che lo tirava avanti, che accresceva il frutto del suo ministero e ne, allargava continuamente i confini. Senza quella visione, probabilmente si sarebbe fermato a Filippi o a Colosse o ad Efeso. Ma aveva una visione, e ogni giorno tornava a proiettarsi di slancio verso di essa.
Benefici per la chiesa
Abbiamo già visto in Efesini 4 che i ministeri sono stati dati per il perfezionamento dei santi. Paolo aggiunge: “… affinché non siamo più bambini”. Senza il contributo dei ministeri, i credenti, per quanto zelanti possano essere, sono destinati a restare bambini spirituali. C’è quindi un beneficio che viene ai credenti dal rapporto con i ministeri. Ma, come sempre, la condizione per ottenere questo beneficio è l’ubbidienza.
“Io ubbidisco solo a Dio! Non ho forse anch’io lo Spirito Santo? Perché dovrei sottomettermi a te?” Finché ragioneremo così, non riceveremo nessun beneficio dai “doni” fattici. Questo modo di pensare e di parlare ricalca quello di Maria, sorella di Mosè (Num. 12:2): “Dio non parla anche a noi?” Perché avrebbe dovuto sottomettersi al fratello minore?! Riflettiamo solo sull’esito della disputa: Maria finì colpita dal giudizio di Dio. Occorre ubbidienza, non solo a Dio, ma anche alle autorità che Egli ha delegato. L’apostolo esorta: “Ubbidite ai vostri conduttori e sottomettetevi a loro …” (Ebr. 13:17).
Non è sufficiente che i ministeri siano presenti in una chiesa: dobbiamo “riceverli”. Gesù disse: “Chi riceve un profeta come profeta, riceverà premio di profeta” (Mt. 10-41). Vuol dire che trarremo beneficio dal dono che Dio ha messo in un uomo, nella misura in cui saremo pronti a ricevere quell’uomo. I ministeri esprimono l’autorità di Dio. “Egli ha dato”, è scritto in Efesini 4:11: è stato Dio a decidere di affidare la sua autorità agli uomini. A Mosè, il Signore stesso disse: “Tu sarai per lui (Aaronne) come Dio” (Es. 4:16). E Gesù, il Dio incarnato, disse ai suoi discepoli: “Andate … io vi ho dato la potestà di calpestare serpenti e scorpioni …” (Lc. 10:3,19), e: “Chi riceve voi, riceve me” (Mt. 10:40).
Dio governa attraverso le sue autorità delegate, e queste autorità nella Chiesa sono i ministeri. Quando questa regola viene disattesa, la chiesa non può che cadere nel caos spirituale e nell’indigenza più profonda. Sottomettiamoci dunque alla Parola di Dio. Ricevere i ministeri ci porterà in una nuova dimensione di forza.
L’importanza delle giunture
Si pone molta enfasi sull’amore fraterno tra i credenti. Anche noi insistiamo molto su questo, convinti come siamo che rapporti corretti siano fondamentali per costruire la chiesa. L’amore è un ottimo punto di partenza per realizzare una moltiplicazione numerica; ma non basta. C’è qualcos’altro che, se trascurato, comprometterà la buona riuscita di tutto il lavoro. Sto parlando dell’importanza delle “giunture”.
Non meravigliamoci se nelle nostre chiese, a volte, non vediamo accadere le cose promesse da Dio. Dio è interessato al Corpo, non solo a un braccio; e senza giunture non può esservi effettiva unità tra le membra, né un corretto funzionamento del Corpo. La nostra chiesa, quindi, può essere un bel braccio vigoroso e compatto; ma se rimane staccato dal resto del corpo, perderà sempre più vitalità, fino a ridursi a un arto inerte e infine a un osso secco (cfr. Ezech. 37:1).
Il piano di Dio è invece che il braccio, per quanto bello e robusto sia, ricordi di essere solo una “parte” e vada ad unirsi al resto del Corpo per dare il suo contributo alle altre membra e ricevere il loro.
L’unità e la collaborazione efficace delle diverse membra del corpo sono consentite dalle giunture, cioè dai ministeri. Non serve a nulla buttare tutte le membra nello stesso calderone: esse vanno costruite assieme, ognuno al suo posto. E questo è possibile solo per la sapienza e la rivelazione che Dio dà ai ministeri fondamentali (apostoli e profeti), che diventano così “giunture”, articolazioni di collegamento per tenere assieme le membra (le chiese locali) ognuno nel posto richiesto dalla sua funzione. Così si può avere un corretto movimento e funzionamento del Corpo. Che senso avrebbe una mano attaccata al collo, o un piede al ginocchio? Ostacolerebbe soltanto il movimento di tutto il corpo.
Ci sono ministeri che hanno ricevuto la capacità di tenere assieme le parti che compongono il piede, e sono i ministeri locali (pastori ed anziani); ma ci sono ministeri che hanno ricevuto da Dio la capacità di unire il piede al resto del corpo, e questi sono i ministeri fondamentali.
Autorità
Tutti i ministeri sono necessari per l’edificazione del Corpo; ma Dio non ha conferito a tutti la stessa autorità. E scritto infatti: “Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti …” (1° Cor. 12:28). Apostoli e profeti hanno dunque un’autorità maggiore di pastori, di evangelisti e dottori, a motivo della diversa funzione che esercitano.
Paolo, ad esempio, usa un’autorità che non avevano gli anziani di Corinto quando interviene in un caso di fornicazione per mettere il colpevole “in mano a Satana” (1° Cor. 5:5). Così anche Pietro, quando annuncia ad Anania e Saffira il giudizio di Dio sulla loro falsità (Atti 5). Elia, il profeta, manifesta un’autorità particolare quando chiama il fuoco dal cielo sul drappello di soldati venuti a cercarlo… fuoco che puntualmente scende (2° Re 1:9-12).
Ma, questo è l’insegnamento della Bibbia, la sottomissione ai ministeri fondamentali è volontaria. Né Gesù, né Paolo, né Pietro e nessun’altra autentica autorità spirituale si è mai imposta per essere riconosciuta da una chiesa (vedi Diotrefe, 3° Gv. v.9). Come il credente è esortato a sottomettersi ai propri conduttori, così i ministeri, oltre che le chiese, sono chiamati a sottomettersi ai ministeri che Dio ha suscitato sopra di loro. Come dignità sono uguali, ma sono diversi per funzione e per autorità. È la funzione che conferisce un’autorità maggiore o minore.
Allo stesso modo, non c’è differenza di dignità tra uomo e donna (Gal. 3:28), tuttavia c’è differenza di ruolo e di funzione e quindi di autorità: il marito infatti è capo della moglie, che è chiamata a sottomettersi a lui (1 ° Cor. 11:3, Ef. 5:22).
Il progetto di Dio
Dobbiamo allinearci al “progetto” di Dio, se vogliamo veramente costruire la Chiesa. Ci sono chiese che vagano nel deserto per la mancanza di un ministero profetico che sappia additare loro la giusta strada; ci sono chiese oppresse da uomini privi dell’unzione di Dio a causa della mancanza dell’opera dell’apostolo, cui Dio affida, tra l’altro, il compito di ordinare autentici anziani che sappiano curare e governare il popolo di Dio. Solo quando le chiese si apriranno a ricevere questi ministeri, ogni membro sarà unito al membro giusto e riceverà il beneficio della parte cui sarà attaccato.
Allontaniamo dunque dal nostro cuore ogni senso di autosufficienza ed ogni timore. Né dobbiamo lasciarci ingannare dal fatto che abbiamo buoni rapporti con “qualche altro” membro del Corpo. Il progetto di Dio richiede che tutte le membra vengano assieme e siano tenute assieme, nel rispetto della misura del dono che Dio ha affidato a ognuno, attraverso l’opera dei ministeri che Egli ha dato “per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo di Cristo” in Italia e nel mondo.
Non continuiamo a camminare secondo la nostra sapienza. Confrontiamo la nostra teologia ed i nostri punti di vista col progetto rivelato da Dio nella Sua Parola. Facciamo cadere ogni convinzione che contrasta questa rivelazione e… veniamo assieme! Chiediamo a Dio la forza di abbattere le nostre paure. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro! Cosa sarebbe stato del ministero di Timoteo, senza le esortazioni amorevoli e i fermi incoraggiamenti di Paolo?
Grazie a Dio, Timoteo sapeva di aver bisogno di un altro, e per questo il suo ministero ebbe successo. Un leader da solo non può costruire la Chiesa. Nessun leader! Apriamo allora i nostri cuori gli uni agli altri, condividiamo le nostre certezze e le nostre ansietà; accettiamo reciprocamente la misura che Dio ha deciso di darci, e insieme mettiamo mano all’opera. Gridiamo a Dio perché Egli ci dia grazia di essere servitori fedeli, e vedremo il monte di Dio, il nuovo tabernacolo, la Chiesa, alzarsi gloriosa al di sopra di tutti gli altri monti e moltitudini entrare nel Suo riposo.
“Allora quelli che temono l’Eterno si sono parlati l’uno all’altro; e l’Eterno ha ascoltato … Essi saranno, nel giorno che io preparo, la mia proprietà particolare … E voi vedrete di nuovo la differenza fra il giusto e l’empio, fra colui che serve Dio e colui che non lo serve” (Mal. 3:16-18). Così sarà. Lo vedremo, in questa generazione, se saremo pronti a ubbidire a Dio al cento per cento.