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di Giovanni Traettino
Per poterne trarre tutto il beneficio, chi si avvicina alla Bibbia deve credere alla testimonianza che essa rende alla propria autorità: deve riceverla come la rivelazione scritta di Dio, ispirata, esatta e perfettamente storica.
Solo su questa base essa diventa veramente “utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona “ (2° Tim. 3:16-17). Solo partendo da questa premessa, la testimonianza che la Scrittura rende a Gesù diventa pienamente attendibile e degna di fede.
Leggere e interpretare
Detto questo, la Bibbia è un libro. Basta quindi saper leggere per potervi accedere.
Occorre però darsi alcuni criteri di lettura per comprenderla correttamente. È possibile leggere e spiegare la maggior parte della Scrittura in modo letterale. Come dice Martin Lutero “Il nostro interesse principale sarà l’interpretazione grammaticale, perché questa è l’autentica interpretazione teologica” (lettura letterale).
Per cogliere il senso letterale del testo in esame, occorrerà tenere presente la lingua,
la mentalità, il costume – in una parola, la cultura – dell’autore e dei lettori di quel tempo (lettura culturale).
D’altra parte, sarà necessario giustificare l’interpretazione che si dà del testo con prove storiche, culturali, linguistiche ed obiettive (lettura critica).
Bisogna dunque leggere la Scrittura:
- cercando il significato del singolo versetto o brano alla luce del significato generale del libro;
- tenendo presente il contesto culturale dell’autore e dei primi destinatari e il fatto che la nostra cultura e mentalità di lettori possono costituire un impedimento alla corretta comprensione del testo;
- tenendo conto del fatto che stiamo leggendo una traduzione e non gli originali. Sono questi, infatti, che sono ispirati. Un confronto tra diverse traduzioni ci aiuterà a cogliere meglio il vero significato del testo;
- comprendendo la forma letteraria del testo che stiamo leggendo, se cioè si tratta di poesia o di preghiera, di profezia o di storia, e così via;
- cercando di spiegare la Scrittura con la Scrittura: il principio di “sta scritto … ma è altresì scritto”. Lutero diceva: “La Scrittura è la sua propria luce. È una grande cosa quando la Scrittura interpreta se stessa”;
- comprendendo la natura umano-divina della Scrittura, che in questo rassomiglia alla Parola incarnata. Gli autori e la lingua sono umani, ma la Parola che esprimono è divina.
Studiare
Ci sono alcuni strumenti di lavoro estremamente utili perché anche il credente più ordinario possa arrivare ad una comprensione equilibrata e corretta della Parola della verità. Lo studio della Bibbia deve partire dall’esame delle parole, delle frasi e del contesto.
Questi strumenti sono: la Chiave Biblica, un Dizionario Biblico o simile, la “Concordanza per argomenti”, più versioni della Scrittura, una introduzione all’Antico e al Nuovo Testamento. Tutti questi attrezzi produrranno risultati solo se saremo pronti a sottoporci alla disciplina dello studio. Non è sufficiente infatti una lettura a caso e unicamente devozionale della Scrittura. Occorre leggerla e studiarla in modo attento, regolare, sistematico e documentato per tirare fuori tutti i tesori che essa nasconde.
Lo spirito del discepolo
Tutti i principi e gli accorgimenti di cui sopra saranno insufficienti per farci trarre il massimo del beneficio dalla lettura e dallo studio della Parola, se non avremo sviluppato lo spirito del discepolo. Il discepolo è per definizione uno che è pronto ad imparare, a ricevere e a farsi ammaestrare. Una persona ammaestrabile ha alcune caratteristiche inconfondibili:
- Sa ascoltare: “Il savio ascolterà” (Prov. 1:15). Chi è savio? e quale è la natura della saggezza che si richiede al credente? Il savio si mette in un’attitudine di ascolto, senza lasciarsi condizionare da preconcetti e tradizioni umane. Si mette a leggere con mansuetudine e ammaestrabilità, senza spirito di parte e libero da ogni spirito di contesa e di polemica. Questo potrà significare anche dover mettere in discussione alcune nostre convinzioni o dottrine.
- Conosce la propria misura. Non pretenderà di essere l’autorità ultima nella comprensione ed interpretazione delle Scritture. Questo stesso atteggiamento dovrebbe svilupparsi in ogni movimento e denominazione. Occorre interagire con tutto il Corpo di Cristo. Siamo infatti solo parte del Corpo, la nostra comprensione è solo “in parte” (1° Cor. 13:12), ed è soprattutto attraverso il Corpo di Cristo che lo Spirito Santo ci guida alla scoperta ed alla comprensione delle Scritture.
- È disponibile a farsi correggere, a prendere in considerazione una diversa messa a fuoco della Parola. Dio vuole fare i conti con il nostro orgoglio teologico/denominazionale, e le nostre tradizioni. È vitale comprendere la differenza che passa tra una verità e la sua formulazione teologica. Bisogna rimanere aperti al contributo dei fratelli, espressione di altri movimenti o tradizioni teologiche.
Meditare la Parola di Dio
La lettura e lo studio sono indispensabili, ma è necessario “ruminare” e, – per casi dire – “digerire” la Parola di Dio perché essa sia assimilata dal nostro cuore e dalla nostra mente. È questa la funzione svolta dalla meditazione. “Di te mi ricordo nel mio letto, a te penso nelle veglie notturne” (Salmo 63:7). Nelle veglie della notte o nel corso del giorno, sul proprio letto o di fronte alle circostanze della vita il credente collega, associa, mette a fuoco, comprende. “Allora compresero …” “Gli occhi loro si aprirono”. “Beato l’uomo … il cui diletto è nella legge dell’Eterno, e su quella legge medita giorno e notte” (Salmo 1:1-2).
La meditazione non è un atto singolo, delineato e definito, è un modo di vivere. Il credente che sa che la Scrittura è la Parola di Dio si applicherà a sviluppare un abito mentale di riflessione, considerazione e contemplazione, nella certezza che essa è la Parola di vita “vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l’anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore” (Ebr. 4:12). Capita spesso che leggendo la Parola di Dio siamo profondamente toccati da un brano, un capitolo, un versetto. Impariamo a fermarci, a riflettere ed a permettere al Signore di parlarci! Annotiamo quanto ci viene detto, facciamone oggetto di preghiera ed approfondiamo eventualmente l’argomento cercando versi paralleli o parlandone con altri fratelli. L’azione illuminatrice. dello Spirito Santo si dispiega nella meditazione con la sua forza maggiore.
Pregare con la Scrittura
Gesù per primo usava la Scrittura per rivolgersi al Padre. Ad esempio il famoso grido sulla croce “Elì, Elì, lamà sabactanì” non è altro che l’inizio del Salmo 22. E diversi salmi come ben dimostra D. Bonhoeffer nel suo bel libro Pregare i Salmi con Cristo, non sono altro che preghiere che lo Spirito del Cristo che dove va venire già pregava profeticamente in Davide.
Ci sono porzioni della Scrittura che sono adatte ad esprimere nostri stati d’animo e ad interpretare praticamente tutte le circostanze e le situazioni ordinarie e specifiche nelle quali possiamo venire a trovarci. Pregare o perfino cantare la Scrittura diventa allora una sorgente di grande benedizione e liberazione per il credente. “Se la Bibbia contiene anche un libro di preghiere – scrive Bonhoeffer – dobbiamo dedurre che la Parola di Dio non è soltanto quella che Egli vuole rivolgere a noi, ma è anche quella che Egli vuole sentirsi rivolgere da noi, poiché questa è la parola del Suo Figlio diletto”. Lo stesso “Padre nostro” è parola di Cristo che noi siamo invitati a pregare. (Vedi l’articolo di G. Allen sul n. 5/87).
“La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente; istruitevi ed esortatevi gli uni gli altri con ogni sapienza; cantate di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali” (Col. 3:16; vedi anche Ef. 5:19).
D’altra parte la lettura e lo studio ordinario delle Scritture devono essere fatti con lo spirito di preghiera. In questo modo “il mezzo” della Parola diventa sempre più trasparente fino a farci quasi toccare Dio. Questa attitudine consente allo Spirito Santo di “crescere” nel nostro spirito. La Sua azione illuminatrice e rivelatrice diventa così sempre più “udibile” e “comprensibile”.
Il servitore di Dio e la Parola
“Sforzati di presentarti davanti a Dio come un uomo fidato, un operaio che non abbia di che vergognarsi, che dispensi rettamente la parola della verità … Il servo del Signore non deve litigare, ma deve essere mite con tutti, capace di insegnare, paziente. Deve riprendere con dolcezza gli oppositori nella speranza che Dio conceda loro di ravvedersi per riconoscere la verità …” (2° Tim. 2:15,24-25).
I ministri dell’evangelo devono ricordarsi che sono “servi” della Parola, non padroni o gestori.
Vigileranno pertanto sui loro cuori, sulle loro menti e sul loro spirito per conservare questa attitudine. Dopo di che si applicheranno a “tagliare rettamente la Parola della verità”, leggendola, studiandola, meditandola e pregandola non solo, ma anche confrontandosi con spirito umile, aperto ed ammaestrabile, con tutto il Corpo di Cristo: quello che ci ha preceduti e quello che ci è contemporaneo, stando attenti a non confondere le mode ed i “messaggi” di turno con la verità della Parola di Dio.
Essi hanno un ruolo delicatissimo e decisivo per la definizione del cammino della Chiesa e per l’orientamento dei credenti.
È importante pertanto, che i ministri siano consapevoli di questa loro responsabilità di modo che possano servire la Parola nella chiesa con fedeltà e con spirito profetico.
Beata la comunità che ha questo tipo di servi perché essa non stagnerà mai; la Parola di Dio vi sarà sempre vivente, potente ed efficace con la sua forza rinnovatrice, riformatrice e restauratrice.