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di Bryn Jones
“Mi sento tutto solo come pastore. Tutti vengono da me con i loro problemi e bisogni, ma io, a chi mi devo rivolgere? Non ho più la stessa certezza. Non riesco a dormire la notte con tutte le preoccupazioni che ho. Non lo capisco, perché so che Dio mi ha chiamato, e probabilmente non dovrei neanche parlare così. Può darsi che sia il diavolo che vuole farmi abbandonare tutto. Quando m’incontro con altri pastori, nessuno di loro sembra avere i miei problemi. Non posso certo confidarmi con loro, perciò non li frequento più”. Quante volte ho sentito cose del genere negli ultimi mesi! Avete capito i problemi e i bisogni di un tale uomo: solo, sotto pressione, insicuro, condannato, che cerca di nascondersi? Che gli diremmo? Forse: “Hai proprio ragione, fratello, è il diavolo; gli devi resistere e andare avanti”? Oppure: “Prenditi quindici giorni di ferie e vedrai che tutto si risolverà”? Un simile consiglio sicuramente porterà presto o tardi ad un crollo completo, oppure ad una tale frustrazione che il pastore continuerà faticosamente il cammino senza alcun senso di avere uno scopo o di essere realizzato. In breve tempo torneremo alla vecchia scappatoia dei pastori e delle chiese: “Abbiamo proprio bisogno di cambiare pastore”, oppure: “Ho proprio bisogno di cambiare chiesa”. Ciò non risolverà affatto il problema di base. qual è, dunque, la risposta?
La necessità di una certa insicurezza
Spesso, siamo stati talmente coscienti della necessità di comunicare fede e sicurezza alle persone, perché trovino una sicurezza nella vita, che abbiamo considerato l’insicurezza come una cosa completamente negativa e dannosa. In realtà, c’è una necessaria misura di insicurezza che Dio usa per insegnarci una via più perfetta. Paolo inizialmente sentiva una tale certezza. della sua chiamata che dice: “non salii a Gerusalemme da quelli che erano stati apostoli prima di me” (Gal. 1:17); ma più tardi egli cercò la comunione di questi stessi apostoli per “esporre loro l’Evangelo che io predico fra i Gentili, ma… privatamente ai più ragguardevoli, onde io non corressi o non avessi corso in vano “(Gal. 2:2).
È la consapevolezza del nostro bisogno, questa necessaria misura di insicurezza, che ci spinge a cercare la comunione e la dipendenza da Dio, e a stendere la mano d’associazione ai nostri fratelli ministri.
Tutto quello che leggiamo dei capi della chiesa primitiva ce li mostra funzionare in un profondo rapporto reciproco. I propositi di Dio non hanno posto per i ministri “solitari”. Vediamo piuttosto un gruppo numeroso di uomini, con svariate abilità e doni, completamente diversi nelle loro personalità, ma che lavorano in piena consapevolezza del loro bisogno di Dio e l’uno dell’altro. Formavano delle “squadre” di ministeri in rapporto fra loro.
Perché è tanto necessario questo? Non ci sono certi uomini che riescono a lavorare felicemente è con efficacia, senza necessità di essere in collegamento con altri uomini di Dio? Esistono vari motivi perché abbiamo bisogno di essere in rapporto con degli altri.
Ogni uomo ha i suoi limiti
Siamo talmente coscienti delle nostre capacità che ci vuole tempo, e spesso una situazione particolare, per farci capire la nostra limitatezza. La conoscenza della nostra abilità ci dà franchezza e sicurezza nel ministero, ma ci vuole anche la consapevolezza dei nostri limiti per darci il senso di dipendenza da Dio e del nostro bisogno dei fratelli ministri in quei settori dove siamo personalmente deboli. Là dove io sono debole o mancante, attraverso i rapporti e la comunione con altri ministri posso trarre beneficio dal loro consiglio, i loro doni e la loro forza.
Questo mi libera dalla pressione che esercito su me stesso di dover trovare da solo la risposta ad ogni bisogno. Posso così fare posto ad -altri uomini nella mia chiesa, anziché sentirmi minacciato al pensiero che “le mie pecore” potrebbero vedere i doni degli altri e la mia debolezza. E ovvio che solo un cuore umile sarà pronto ad accettare un simile rapporto con altri ministri.
Incoraggiamento
Quante volte abbiamo predicato sul versetto: “…non abbandonando la nostra comune adunanza come alcuni sono usi di fare, ma esortandoci (ossia: incoraggiandoci) a vicenda; e tanto più, che vedete avvicinarsi il gran giorno” (Ebrei 10:25). Spesso questo testo viene usato come una frusta per castigare quei fratelli che sono mancati alla riunione di preghiera o allo studio biblico infrasettimanale. Tale applicazione manca completamente di cogliere il senso principale del versetto. Non vuole incoraggiarci ad avere tanti incontri, ma piuttosto esortarci riguardo allo scopo degli incontri, cioè, la comunione e il reciproco incoraggiamento. Ci sono dei culti e delle adunanze che facciamo bene ad abbandonare, perché non ci danno il minimo incoraggiamento!
Se, comunque, esortiamo il gregge a riunirsi spesso per la comunione ed il reciproco incoraggiamento, quanto più, in questi giorni, i pastori ed i ministri del Vangelo devono riunirsi a tale scopo! Quanto spesso è vero che la prima speranza e la promessa nata nel cuore di un uomo quando Dio lo “chiamò” al suo ministero si è offuscata e sbiadita sotto le pressioni dei bisogni e delle aspettative dei gregge, dell’amministrazione della chiesa, dei matrimoni, dei funerali, dei battesimi, degli incontri di comitato, ecc. Quale refrigerio quando ci incontriamo come squadra di ministri in rapporto tra loro, in una comunione d’incoraggiamento, stimolandoci reciprocamente con le testimonianze, le profezie e le preghiere a “ritenere fermamente la confessione della nostra speranza, senza vacillare, perché fedele è Colui che ha fatte le promesse” (Ebrei 10:23).
Fra tali uomini si formano delle profonde amicizie, e nella sicurezza di queste amicizie c’è una nuova apertura dei nostri cuori, tale che non sono più rinchiuso con i miei bisogni e i miei problemi, ma mi trovo in una relazione così sicura con i miei fratelli ministri che posso aprirmi alla copertura del loro amore e la loro comprensione in un momento di bisogno e di pressioni come quello già descritto.
Dio dà direzione
Quanto spesso scopriamo che è nel contesto di ministri collegati fra loro, che insieme adorano il Signore, che è rivolta loro la parola dei Signore. Fu nell’assemblea dei profeti e dei dottori che adoravano il Signore che Dio disse di “metterGli a parte Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li aveva chiamati” (Atti 13:2). Quale meraviglioso sostegno per questi due uomini sapere che non “partivano” semplicemente, ma venivano mandati da una parola confermata dai fratelli, consapevoli dell’impegno degli uomini collegati con loro nel ministero.
I rapporti danno equilibrio
La questione della circoncisione, con la quale i predicatori giudaizzanti turbavano le chiese dei Gentili, fu risolta da ministri che si riunivano insieme e, nei forti legami della loro comunione, potevano fare una “gran discussione” e infine cogliere il pensiero di Dio e ricevere l’approvazione, prima di tutta la compagnia degli apostoli e degli anziani e poi della chiesa intera. Che cosa sarebbe successo se non avessero avuto un tale rapporto ma fossero stati tutti impegnati ognuno con i fatti suoi? Sicuramente la storia avrebbe avuto una fine diversa e disastrosa.
Ancora, sulla base del loro rapporto e della loro comunione, Paolo poté correggere Pietro per aver usato una doppia misura nella comunione con i Gentili e con i Giudei quando erano venuti certi uomini da Giacomo (Gal. 2:11-14). La comunione ci consente di mantenere il giusto atteggiamento, anche quando non sempre comprendiamo il punto di vista dei nostri fratelli. Pietro fa riferimento al sentimento di alcuni che Paolo insegnava delle cose “difficili a capire” (2 Pietro 3:16), ma non le condanna come un’eresia da rigettare.
La forza e l’impatto dell’unità
Ancora, la vita e la testimonianza di una squadra di ministri in rapporto fra loro è molto più efficace di quella di un individuo, per quanto possa sembrare dotato. Leggiamo che l’impatto della chiesa primitiva era tale che si faceva riferimento ai suoi ministri come “quelli che -hanno messo sossopra il mondo”. E quale forza stupenda è suggerita dalle parole: “Pietro, levatosi in piedi con gli undici …”(Atti 2:14)!
Eccolo, circondato dalla comunione e dalla forza dei fratelli impegnati con lui mentre parla ad una folla che molto facilmente avrebbe potuto rivelarsi ostile. Da tale situazione emerse la prima grande mietitura quel giorno della Pentecoste.
Il senso di appartenere che deriva da un rapporto con i fratelli ministri ci dà la certezza di essere stimati, apprezzati e amati. Così scopriamo in un modo molto concreto che Dio ci ha fornito, per mezzo dei nostri fratelli, una copertura di amore e di cura per la nostra solitudine, di forza per la nostra debolezza, di consiglio nei momenti di incertezza, di correzione nei tempi di mancanza di equilibrio, di comunione “spalla a spalla” nella testimonianza e nell’evangelizzazione.
Cominciamo a capire il significato delle parole di Paolo: “compagno d’opera”, “compagno d’armi”, “collega”. Che Dio conceda a tutti noi di rispondere all’appello dello Spirito ai nostri giorni di unirci assieme!
Tradotto da Restoration; mag.-giu. 1976. Per gentile concessione.
Bryn Jones, nato nel Galles, ha lavorato come evangelista e missionario in Inghilterra e poi nel Sud America. Ha presieduto per alcuni anni una chiesa di Bradford (Inghilterra), e durante questo periodo fondò la rivista Restoration e la Settimana biblica dei Dales. Dal 1978 risiede a St. Louis, USA, dove è responsabile di un’opera fiorente. È sposato e padre di quattro figli.