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di David Mansell
Lo scopo della paternità è di creare una comunità di uomini forti nel carattere di Cristo, che siano in grado di formare altri uomini, perché la vita di Cristo sia diffusa in tutto il mondo. E’ questo che Paolo scrive a colui che chiama suo “figlio” spirituale, Timoteo: “Le cose che hai udite da me … affidale ad uomini fedeli, i quali siano capaci di insegnare anche ad altri”(2 Tim. 2:2).
Le due lettere a Timoteo ci mostrano un Paolo che fa veramente da padre a questo giovane, cercando di mettere nella sua vita ciò che mancava. In 2 Tim. 1:5, leggiamo questo: “Io ricordo infatti la fede non finta che è in te, la quale abitò prima nella tua nonna Loide e nella tua madre Eunice e, sono persuaso, abita in te pure”. Non sappiamo perché non ci sia qui nessuna citazione del padre di Timoteo: forse era morto, forse non era cristiano, ma è evidente che l’influenza più forte esercitata nella vita di Timoteo proveniva dalla madre e dalla nonna, e che per la mancanza del padre c’erano in lui delle debolezze. Egli infatti diveniva facilmente vittima delle pressioni, trovava difficile il confronto con gli latri, cadeva facilmente nella depressione.
Ora, Dio non vuole che siamo bloccati dai problemi del nostro passato, per molti dei quali non siamo responsabili, ma nella chiesa ci dà autentici padri e autentiche madri perché si prendano cura di noi. Non sono sostituti di Dio, perché ogni paternità viene da Dio ed esprime il rapporto che esiste tra noi e Lui. Il Suo amore è un amore paterno, la Sua autorità è un’autorità paterna, ed Egli conferisce una parte della Sua autorità ai padri naturali e a quelli spirituali.
In questo modo, Dio ha la possibilità di trasformare molte persone che si sentono insicure. La maggior parte di noi, infatti, parte da una posizione di insicurezza: io personalmente ringrazio il Signore per quegli uomini che hanno fatto da padri a me. Così era di Timoteo: in Filippesi 2:22 Paolo dice: “… nella maniera che un figliolo serve il padre egli ha servito meco nella causa del Vangelo”. Timoteo serviva Paolo come un figlio serve il padre: avevano un rapporto, lavoravano insieme e da questo tipo di rapporto Timoteo fu edificato.
Una crescita senza limiti
Non siamo mai troppo grandi per essere sottoposti alla cura paterna, perché essa ci mette in condizione di “crescere in ogni cosa verso Cristo” (Ef. 4:15). Dio ci farà da Padre per tutta l’eternità, poiché la Bibbia lo chiama il Padre Eterno, e questo mi dice che stando con Lui, continuerò a crescere per sempre! E’ triste vedere uomini e donne che hanno smesso di crescere, persone per le quali la vita non ha più cose nuove, che hanno già tutte le risposte e vivono il resto della loro vita ripetendo sempre le stesse litanie. Terribile! Molti dei problemi delle chiese derivano dal fatto che sono guidate da persone che hanno smesso di crescere.
Tornando a Timoteo, scopriamo che era un uomo forte nella Parola, ma debole nel carattere. Molti uomini sono così: grandi teorici, capaci di esporre tutti i principi, ma che trovano difficile applicarli alla loro vita e spiegare agli altri come farlo, perché nessuno lo ha mai insegnato a loro. Poi, Timoteo trovava difficile perseverare nell’applicare le istruzioni: infatti Paolo è costretto a scrivergli due lettere, ripetendo talvolta le medesime cose, perché non aveva imparato la disciplina da suo padre.
Inoltre, vediamo che Timoteo era una persona che si lasciava facilmente scoraggiare dalle critiche degli altri. Per esempio, dicevano: “E’ troppo giovane” (avete mai notato che sei sempre o troppo giovane o troppo vecchio?). In circostanze del genere, egli si chiudeva in sé ed entrava in crisi. Anche alla fine di 1° Corinzi Paolo deve scrivere alla chiesa: “Io vi mando Timoteo perché vi porti la Parola, e non voglio che lo mettiate sotto pressione, aspettandovi da lui più di quanto ha da dare”. Sembra che i Corinzi aspettassero la visita di Paolo, e che sarebbero stati delusi nel vedere invece Timoteo. Per quest’ultimo era molto duro affrontare situazioni del genere.
Era anche una persona instabile: un giorno era certo della chiamata del Signore, l’indomani non era poi tanto sicuro. Un giorno manifestava con potenza i doni dello Spirito, il giorno dopo si abbatteva; un giorno afferrava tutte le promesse del Signore, l’altro si domandava: “Chissà se sono vere!” Trovava difficile mantenere una stabilità nella propria perché non aveva avuto un padre che gli avesse comunicato la sicurezza di cui aveva bisogno.
Troviamo in 1° Timoteo che Paolo lo mette in guardia perfino contro il rischio di essere coinvolto in inutili discussioni su tutte le sfumature della legge, che possono essere una meravigliosa copertura per la voglia di non fare niente. Ma il segno di un uomo, fatto ad immagine di Dio, è di essere creativo, di prendere iniziative, e obiettivi pratici. E’ facile pregare: “Signore, edifica la Tua Chiesa!”, ma abbiamo poi bisogno di qualcuno che ci indichi i passi che dobbiamo fare per costruirla. E’ meraviglioso cantare: “Signore, stringici insieme!”, ma abbiamo bisogno di qualcuno che lo faccia praticamente. Il pericolo di non essere uomini è quello di finire nel perfezionismo, o di tipo dottrinale, in cui vogliamo definire con precisione ogni dettaglio di dottrina, oppure riguardo a noi stessi, in cui stiamo tutta la vita a guardare dentro di noi, mentre Dio vuole che noi cresciamo verso la perfezione semplicemente crescendo e maturando.
Uomini autentici
Leggendo le lettere a Timoteo, vediamo come Paolo impartisce questa saggezza paterna. Egli vuole che Timoteo la finisca di avere un carattere femminile, cioè che si sottrae continuamente alle sue responsabilità, e vuole evitare anche che diventi esageratamente maschile. Essere uomini significa essere forti, ma non aggressivi; capaci di tenere le proprie posizioni, però senza essere testardi, perché un uomo deve saper cambiare la sua posizione per una migliore. Un vero uomo è capace di prendere iniziative, ma non per il desiderio di mostrarsi migliore degli altri.
In 1° Timoteo 1, Paolo spiega a Timoteo che la sua forza viene da Dio e non dalle proprie forze naturali. Al v. 12 dice: “Io rendo grazie a colui che mi ha reso forte, a Cristo Gesù nostro Signore, dell’avermi reputato degno della sua fiducia, ponendo al ministero me …”. Il Signore aveva fortificato Paolo, si era impossessato di lui, lo aveva reso fedele. Lo aveva incoraggiato, e Paolo esercitò il suo ministero con la forza che veniva da Dio. Così egli può dire ora: “Ecco come si fa, Timoteo. Non confidare nelle tue forze naturali, anzi lascia che la forza di Dio sia resa potente nella tua debolezza”. Poi ricorda a Timoteo il proprio brutto passato. Se voi doveste scegliere un pastore per una chiesa, credo che Paolo sarebbe l’ultima persona che avreste scelto, perché perseguitava i credenti, li metteva in prigione e li faceva uccidere. Davvero un pastore meraviglioso! Ma Dio deliberatamente scelse il materiale peggiore che potesse manifestarsi nella debolezza di Paolo. Il successo nel ministero non dipende dalla mia bontà, ma da Dio, e se io Gli consentirò di farmi da padre, di darmi la potenza, allora potrò fare ogni cosa in Colui che mi fortifica.
La comunicazione dell’amore
Leggiamo ora 2° Timoteo 1, e notiamo le forti pressioni dell’amore che Paolo h per Timoteo. La lettera non inizia: “Guarda, Timoteo, tu mi fai perdere un sacco di tempo; questa è la seconda volta che ti devo scrivere sempre le stesse cose. Devi capire che sono molto occupato con la corrispondenza in questi giorni; devo scrivere un’altra lettera agli Efesini dopo che avrò finito la tua!” No, non comincia in questo modo!
Immaginatevi Timoteo che sta in casa un giorno. E’ ancora depresso e arriva la lettera. “Oh, che guaio – pensa – è dell’apostolo Paolo. Cosa mi dirà adesso?” La apre e legge: “Paolo, apostolo di Cristo Gesù (Oh, la sapevo!) per la volontà di Dio (adesso arriva …) secondo la promessa della vita che è in Cristo Gesù (sto aspettando che scenda il colpo!) … a Timoteo, MIO DILETTO FIGLIUOLO (Alleluia … sì, dice proprio … a Timoteo, mio diletto figliuolo!) … grazia, misericordia e pace! (Alleluia!)”.
Abbiamo bisogno di questo, non è vero? Abbiamo bisogno di sapere che se non capiamo subito le cose non saremo sbattuti fuori, che se non riusciamo a ricevere tutto quello che Dio ci sta dicendo la prima volta, la persona che Dio ci ha dato perché si prenda cura di noi continuerà ad amarci di un amore incondizionato. Questa è la caratteristica di un amore paterno: un amore che ama perché vuole amare, e non ha bisogno di una ragione per amare. Se siete stati amati con quel tipo di amore che pretende che voi facciate le cose giuste prima di amarvi, allora non sapete cosa sia l’amore paterno. Molte persone sono in questa situazione e a loro voglio dire: “Dio vi ama senza condizioni. Egli vi amerà sempre, non vi abbandonerà mai e potrete sempre andare da Lui in qualunque momento, per quanto grande sia stato il vostra allontanamento da Lui in qualunque momento, per quanto grande sia stato il vostro allontanamento da Lui e dalla strada che vi ha indicato, come il figlio prodigo che ritorna a casa e scopre che il padre ha ancora le braccia aperte per accoglierlo”. E’ questo il genere di amore che Dio vuole che riceviamo nella chiesa: un amore che protegge e che rende sicuri.
Leggiamo ancora il v. 3. Noto che Paolo non scrive: “Guarda, Timoteo, la mia lista delle persone per cui pregare è molto lunga; io prego ogni giorno per tutte le chiese ed è più che ora che tu risolva i tuoi problemi”. Scrive invece: “Io rendo grazie a Dio … ricordandomi di te nelle mie preghiere giorno e notte”. Quando presentava Timoteo a Dio nella preghiera, Paolo ne gioiva. Il suo cuore era pieno di amore per lui, non gli era un peso. Se anche quelli del mondo non trovano pesante amare i loro fratelli, quanto meno lo è per noi che ci amiamo nel Signore!
Un amore che consola
Poi, il v. 4 ci dice che Polo sapeva che Timoteo aveva pianto. Molti servitori del Signore piangono nel segreto. Sembra che Timoteo riconosceva i suoi insuccessi e che questi lo deprimevano terribilmente. Lo possiamo immaginare nella sua cameretta, che cerca di aggrapparsi a Dio, col cuore rotto per tutte le ferite che aveva sofferto, mentre tutti gli sbagli che ha commesso gli ritornano nella mente e lo distruggono. Anche oggi ci sono persone in questa situazione. Quando ci troviamo, possiamo dirci “Pace, fratello”, ma mi chiedo se riceviamo ancora le benedizioni dei primi giorni in cui eravamo consapevoli della chiamata di Dio per noi e c’era l’unzione dello Spirito sul nostro ministero, o se spesso la nostra testimonianza non serva solo per coprire quello che non sta succedendo.
Paolo dice: “Timoteo, io so che tu hai pianto. Voglio venirti a trovare, asciugare le tue lacrime e dirti: coraggio, mettiamoci di nuovo al lavoro insieme”. E’ importante capire che nostro Padre soffre quando suo figlio sta male; spesso dobbiamo dimenticare quello che è dietro per lasciare che Dio asciughi le nostre lacrime e infonda nuove forze nel nostro cuore. Si pensa che non sia molto da uomini piangere. Certo, non lo è se facciamo sempre, ma abbiamo bisogno di essere uomini abbastanza per saper esprimere i nostri sentimenti, e di accostarci come padri per asciugare le lacrime, così come fa Paolo ricordando a Timoteo che ha una fede sincera (v. 5). Egli non dice: “Dai Timoteo, non stare lì a piangere!” ma invece: “Lascia che la tua fede si sprigioni nuovamente da dove si nasconde; tu sei veramente un uomo di Dio, forza, sono con te, sono tuo padre”. Non un sermone, ma un avvicinarsi per camminare insieme.
Alcuni anni fa, mi trovavo in una riunione e vidi un uomo molto depresso nell’ultima fila. Alla fine, il Signore mi spinse ad andare da lui e dirgli che era autentico, genuino. Quando mi avvicinai, era molto teso. Gli dissi: “Ho una parola da parte di Dio per te”. La sua paura aumentò! “Il Signore ti dice che tu sei genuino”. “Oh, alleluia!” esclamò. Tutta la tensione scomparve e fu liberato. Un padre ha questo tipo di amore che si avvicina a noi e ci sostiene, che ci ama solo perché ci ama.
Direzione e disciplina
Insieme alla comunicazione del suo amore personale per Timoteo, Paolo dà una forte direttiva alla sua vita, insegnandogli a correggere atteggiamenti sbagliati, dandogli compiti specifici, stabilendo le priorità; e Timoteo doveva rendergli conto della sua ubbidienza a queste istruzioni. La cura paterna dà un indirizzo al nostro ministero: non ci spinge, ma dice: “Questa è la via nella quale dobbiamo camminare, andiamo in questa direzione”. Che liberazione! Abbiamo bisogno di questa disciplina.
La disciplina non significa solo essere picchiati: significa a volte essere guidati per quella strada nella quale non volevamo andare. Mio padre mi disciplinava e certamente non mi faceva sempre piacere, ma era quello che ci voleva per me. E questo che leggiamo in Ebrei 12:5-11: la disciplina non è una “esperienza meravigliosa, ma consiste nell’aprire la mia vita a qualcuno sopra di me perché mi corregga e mi aiuti a crescere. Dio vuole che apriamo la nostra vita alla cura paterna”.
Un figlio saggio
Nel libro dei Proverbi, Salomone scrive per suo figlio delle massime di sapienza, e parla spesso del “figlio saggio”. Dopo i primi nove capitoli introduttivi, ecco il primo di tutti questi proverbi di sapienza: “Un figliuol savio rallegra suo padre …”. E’ una relazione bellissima questa! Come si rallegra Paolo di stare con Timoteo! Ma avere qualcuno di cui hai cura che resiste continuamente a quello che gli dici è un gran peso. “Mettiti dei pantaloni puliti”. “Perché?” “Perché te lo dico io”. “Ma sto bene con questi”. “Può darsi, ma tu non vieni in chiesa con quei jeans sudici”. Dopo cinque minuti di questo sei esausto! Ne sanno qualcosa tutte le mamme: “… ma un figliuolo stolto è il cordoglio di sua madre!” (Prov. 10:1).
Al capitolo 13:1, leggiamo: “Il figliuolo savio ascolta l’istruzione di suo padre, ma il beffardo non ascolta rimproveri”. Un figlio saggio capisce che un padre che veramente lo ama, lo corregge e lo istruisce perché possa diventare un uomo. Io voglio che mio figlio sia un uomo! Ha 18 anni, è più alto di me, e poco tempo fa mi ha detto: “Papà, ti voglio superare in tutto!” Gli ho risposto: “Va benissimo!” Non me ne sono risentito: sono contento se ha maggiore successo di me in ogni campo, sia materiale che spirituale. Scopro nella Bibbia che Paolo comincia sottomettendosi a Barnaba, e probabilmente questa relazione lo trasforma; ma alla fine, Paolo supera Barnaba, e questi non ne rimane male dicendo che non è giusto! Io voglio che mio figlio abbia, sì, un buon lavoro, ma soprattutto che sia un uomo.
Guardiamo un altro brano: “Il figliuol savio rallegra il padre, ma l’uomo stolto disprezza sua madre” (Prov. 15:20). E ancora: “Chi genera uno stolto ne avrà cordoglio, e il padre dell’uomo da nulla non avrà gioia” (17:21). E questo vale anche nella chiesa.
Il Signore vuole che siamo dei figli saggi, sia nella nostra relazione con Dio, sia con gli uomini che egli mette sopra di noi nella chiesa. Ai fratelli della mia chiesa a Londra ho detto un giorno: “Voglio un tipo di relazione in cui io sia un padre saggio e voi dei figli saggi”, e diversi di loro sono venuti a dirmi: “David, voglio essere un figlio saggio”. Questo mi ha commosso all’inizio ma mi ha dato anche la possibilità di darmi a loro in un modo nuovo; abbiamo visto una crescita meravigliosa in questi uomini. Cerchiamo di essere figli savi e non stolti. Abbiamo bisogno di sapere chi è che Dio ha messo sopra di noi, e di andare da lui e dirgli: “Io voglio essere un figlio saggio”. Questo trasformerà la chiesa, e avrà i suoi frutti come nel caso di Timoteo. Io credo che Timoteo ce l’abbia fatta alla fine, perché non c’è nella Bibbia una terza lettera a Timoteo!!
Abbiamo bisogno di un rapporto con Dio e di un rapporto di fratello con fratello, ma abbiamo anche bisogno di una relazione con un padre. Cerca di scoprire chi è la persona sopra di te, accertati che ha un cuore di padre per te, e poi presentati a lui come un figlio saggio!