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di Giovanni Traettino
Dopo la pubblicazione del numero 2/1994 di Tempi di Restaurazione, su “Il movimento dello Spirito fra i cattolici”, sono sorti in alcuni ambienti evangelici fraintesi, incomprensioni, polemiche e, ce ne duole, anche turbamento riguardo alla reale natura della nostra posizione, dei nostri atteggiamenti e delle nostre affermazioni nei confronti del cattolicesimo.
Lì dove le parole o le apparenze hanno causato offesa o disorientamento, chiediamo esplicitamente perdono.
Desidero però offrire le precisazioni che seguono, nella speranza che possano servire a chiarire le nostre convinzioni.
- Noi abbiamo una chiara e convinta identità cristiana evangelica. Crediamo nella Bibbia come autorità finale in ogni questione di dottrina e di pratica. Crediamo che l’uomo è salvato unicamente per la grazia di Dio (Sola gratia) mediante la fede (Sola fide) in Gesù Cristo. Crediamo tuttavia di avere molti fratelli in Cristo, salvati per grazia, non solo nelle chiese protestanti ma anche nelle Chiese Ortodosse e nella Chiesa Cattolica Romana. Non siamo d’accordo con tutte le loro dottrine, ma riconosciamo in quei fratelli i segni di un’autentica nascita dallo Spirito Santo.
- Crediamo anche che un vero dialogo esige un’identità sicura e chiare convinzioni dottrinali. Non è certo un esercizio del compromesso.
E tuttavia per essere sereno, un dialogo necessita di rapporti di reciproca stima e rispetto in cui ognuno cerchi di comprendere in tutta carità ciò che l’altro realmente crede e professa.
Perché il dialogo sia costruttivo occorre poi avere una grande disponibilità all’ascolto, pronti sempre a ricevere e ad imparare anche dall’altro. Un dialogo condotto con spirito polemico inevitabilmente finisce col diventare un dialogo tra sordi.
- In questo dialogo – come espressione del nostro sincero rispetto per la posizione di altri ma anche come conseguenza dell’ecclesiologia evangelica, che non riconosce nella Chiesa un’unica autorità centrale – non pensiamo di rappresentare né pretendiamo di parlare ufficialmente a nome di altri evangelici. Ma certamente intendiamo parlare, responsabilmente, dall’interno delle Chiese Evangeliche, come portatori di una sensibilità che ha pieno diritto di cittadinanza teologica e spirituale nella nostra tradizione.
- Questo atteggiamento è infatti largamente condiviso anche da un crescente numero di chiese e di leaders pentecostali (vedi Kansas City ’75, la bella “riabilitazione” di David Du Plessis da parte delle Assemblee di Dio USA, Orlando ’95, e lo stesso Dialogo Internazionale Pentecostale/Cattolico Romano che ha come scopo l’approfondimento della comprensione e il rispetto reciproco e non certo (come anche nel nostro caso) l’unità organica e strutturale. Piuttosto si tratta di scoprire quali sono le aree di accordo, convergenza, disaccordo, e quali quelle in cui c’è bisogno di studio ulteriore.
Per gli evangelici in generale si vedano le aperture del Movimento di Losanna, le posizioni dell’Alleanza Evangelica Europea e di quella britannica (di cui possono essere membri a titolo personale anche cattolici), e il recente documento Evangelicals and Catholics Together, sottoscritto da autorevolissimi esponenti del mondo evangelico statunitense: tra gli altri, Charles Colson (Prison Fellowship), Jesse Miranda (Assemblies of God), John White (Geneva College and National Association of Evangelicals), Bill Bright (Campus Crusade), James I. Packer (Regent College), Pat Robertson (Regent University).
In particolare, la “Dichiarazione di Manila”, documento sottoscritto nel luglio 1989 al II Congresso internazionale per l’evangelizzazione da oltre 3000 tra i più autorevoli rappresentanti del movimento evangelico mondiale, recita:
Il nostro parlare della ‘intera chiesa’ non è l’affermazione presuntuosa che ‘chiesa universale’ e ‘comunità evangelica’ siano sinonimi. Riconosciamo infatti che ci sono molte chiese che non fanno parte del movimento evangelico. Gli atteggiamenti degli evangelici nei confronti della chiesa cattolica e delle chiese ortodosse sono molto diverse. Alcuni pregano, dialogano, studiano le Scritture e lavorano assieme a queste chiese. Altri si oppongono fermamente a qualsiasi forma di dialogo o di collaborazione con loro. Tutti gli evangelici sono consapevoli che fra di noi rimangono serie differenze teologiche. Là dove è appropriato, e finché la verità biblica non viene compromessa, la collaborazione può essere possibile in aree come la traduzione della Bibbia, lo studio degli attuali problemi teologici ed etici, l’impegno sociale e l’azione politica. Vogliamo tuttavia chiarire che un’evangelizzazione comune esige un impegno comune verso il Vangelo biblico.
- Come è accaduto a Manila, noi riconosciamo che anche in Italia si tratta di una questione spinosa sulla quale come evangelici possiamo avere con integrità convinzioni diverse. E tuttavia è vitale per le stesse sorti dell’evangelismo italiano che vigiliamo sulla capacità di ascolto reciproco e che facciamo crescere le occasioni di conoscenza, di interscambio e di collaborazione sul campo. Ma non possiamo assolutamente permettere che una diversità di sensibilità, di spiritualità o di opinione, non necessariamente di dottrina, diventi occasione di ferite nei rapporti, motivo di indebolimento nella collaborazione, o perfino di interruzione della comunione. Dobbiamo lavorare per l’unità. Abbiamo bisogno di rinnovare l’amore e il rispetto reciproco.
- Anche nell’area del rapporto con la Chiesa Cattolica, così delicata e dolorosa per la storia dell’evangelismo italiano, dobbiamo trovare la capacità di fare nostro lo spirito di Gesù, perdonando coloro che ci hanno offeso nel diritto e perfino perseguitato nella persona, riconoscendo che la bontà di Dio, che deve essere anche la nostra, ha lo scopo di trarre a ravvedimento.
D’altra parte non ci possiamo permettere, di fronte alle esigenze dell’Evangelo, di ospitare nel nostro cuore come persone, e nella nostra memoria storica come chiese e movimenti ferite, offese, risentimenti e amarezze, quando non addirittura odii. Oltre a costituire peccato, non avrebbero altro risultato che quello di tenerci prigionieri del passato, indisponibili all’azione sovrana e creatrice dello Spirito Santo nella storia.