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Bernard Oxenham
“L’escatologia biblica è all’apice della teologia sistematica…perché richiede un’abilità teologica suprema. Qui, come in nessun altro campo con la possibile eccezione della dottrina della Persona di Cristo, dobbiamo fare un uso corretto degli strumenti dell’esegesi, della sintesi, dell’ermeneutica e dell’organizzazione teologica. Occorre un giudizio particolarmente acuto per discernere tra quello che va interpretato in modo letterale e quello che è da interpretare spiritualmente o allegoricamente”.
L’importanza dell’ermeneutica
La questione dell’ermeneutica – cioè dell’interpretazione dei testi biblici – è basilare per l’escatologia. I premillenaristi insistono sull’importanza di utilizzare un metodo letterale di interpretazione per tutta la Scrittura, mentre gli amillenaristi sottolineano la necessità di interpretare l’Antico Testamento alla luce del Nuovo. A prima vista, le due posizioni non sembrano in contrasto, ma il modo in cui vengono adoperate porta a conclusioni diverse.
L’interpretazione letterale, chiamata anche “metodo storico-grammaticale”, “dà ad ogni parola biblica lo stesso significato che avrebbe avuto nell’uso normale e ordinario nel contesto storico e nell’uso grammaticale del tempo in cui veniva parlata, scritta o pensata”.
Ciò non preclude che ci siano dei significati secondari in brani che contengono parabole, tipi, allegorie e simboli. Ma i “letteralisti” insistono che dev’essere il testo biblico a suggerire questi significati e non le preferenze soggettive di chi lo interpreta. Di conseguenza, l’interpretazione letteralista è basata su delle verità concrete sostenute da fatti storici, eliminando il rischio di lasciare troppo spazio ai presupposti soggettivi dell’interprete.
Secondo Bernard Ramm, “la dottrina dell’ispirazione plenaria della Bibbia insegna che lo Spirito Santo guidava gli scrittori nella verità e lontano dall’errore. In questo processo, lo Spirito di Dio si servì del linguaggio. Sono le parole che formano il linguaggio, e il pensiero è il filo che lega le parole insieme. Perciò, dobbiamo incominciare la nostra esegesi biblica con lo studio delle parole e della grammatica che sono i due fondamenti di ogni parlare significativo”.
Israele
Nell’escatologia, la questione interpretativa principale riguarda le profezie dell’Antico Testamento, in modo particolare quelle contenute nei patti stabiliti da Dio in relazione al futuro di Israele (Gen. 12:1-7, 13:14-17, 15:1-21, 17:1-14, 22:1518; Deut. 30:1-10; 2° Sani. 7:12-16; Sal. 89; Is. 9:6-9; Ger. 31-33, ecc).
In questi patti, Dio ha solennemente promesso di benedire la nazione d’Israele in perpetuo. Ad Abramo, per esempio, Dio prometteva una progenie, intesa in senso letterale, che si sarebbe grandemente moltiplicato e per mezzo della quale tutto il mondo sarebbe stato benedetto. Al re Davide fu promesso un regno eterno su Israele e il possesso perpetuo del suo territorio in Palestina.
Gli amillenaristi negano la letteralità di queste promesse. Citano dei brani del Nuovo Testamento come Matteo 2:15, 8:17; Atti 8:30; Romani 2:28,29, 4:11,16, 9:24-26; Galati 3:7,29; Filippesi 3:3 e Ebrei 8:5-8 per dimostrare che le promesse fatte ad Israele devono essere considerate solo in senso spirituale.
Il Servo dell’Eterno, e la sua Chiesa, chiamata “l’Israele di Dio” in Galati 6:16, sarebbero stati l’oggetto delle promesse di Dio e non la nazione d’Israele. Perciò, non ci si deve aspettare un regno futuro letterale in cui il re Davide regnerà su Israele in Palestina perché egli già regna nella Sua Chiesa nella persona di Cristo.
I dispensazionalisti, invece, pur accettando l’insegnamento biblico che Cristo regna nella Sua Chiesa e che il regno davidico sarà perpetuato nella persona di Cristo, insistono che Dio non avrebbe potuto ingannare il popolo d’Israele promettendo loro delle benedizioni nazionali e territoriali se non avesse avuto l’intenzione di adempierle. Anzi, le Sue promesse al riguardo sono state molto specifiche e sono ripetute in tante occasioni. Perfino le frontiere del suo territorio futuro in Palestina sono indicate nei testi biblici.
Mentre non è possibile qui entrare nei dettagli della questione, possiamo asserire che una lettura accurata dei testi dell’Antico Testamento già elencati rivelerà un’enfasi e un’insistenza sui dettagli materiali delle promesse fatte ad Israele che precludono la possibilità di una loro spiritualizzazione globale. Ciò farebbe violenza al chiaro intento dei testi.
Per quanto concerne l’insegnamento del Nuovo Testamento, possiamo invece rilevare che gli Apostoli hanno avuto delle nuove rivelazioni rispetto ai profeti dell’Antico Testamento (1° Pt. 1:1012), secondo le quali le promesse fatte ad Israele prospettavano benedizioni spirituali anche ai Gentili.
Fu rivelato che i Gentili avrebbero partecipato con gli Ebrei nello stesso corpo spirituale che è la Chiesa. In questa nuova relazione spirituale, il muro di separazione tra loro sarebbe stato abbattuto e ci sarebbe stato un solo popolo di Dio: la Chiesa di Cristo. I salvati di Israele (chiamati “il rimanente” e “il residuo” in Romani 9-11) vi avrebbero partecipato allo stesso modo dei Gentili (Atti 15:11). Paolo definisce questa verità come un “mistero” in quanto non fu conosciuta prima ma era stata rivelata a lui e agli altri apostoli (Ef. 3:1-12; Col 1:24-2:3).
Possiamo illustrare quanto appena detto attraverso una riflessione sul patto di Abramo (Gen. 12:3). Oltre a promettergli delle benedizioni personali e nazionali, Dio promette di benedire tutte le famiglie della terra per mezzo di lui. Certamente Abramo non avrà capito l’immensità di questa promessa, perché solo nel Nuovo Testamento viene rivelato che Dio contemplava già il ministero del Suo Figliuolo. Egli, che era della progenie d’Abramo, avrebbe dato a tutto il mondo la possibilità di diventare figli di Dio, partecipando così a benedizioni spirituali ben più grandi di quelle promesse ad Abramo. Perciò, mentre la rivelazione posteriore non annulla le promesse fatte ad Abramo, rivela nuove realtà spirituali che vanno al di là di ciò che lui e gli altri Ebrei potevano comprendere.
Il Nuovo Patto, profetizzato in Geremia 31-33, ci fornisce un altro esempio importante. Questo patto, fatto con “la casa d’Israele e di Giuda”, (31:31,33) promette nei giorni a venire un rapporto nuovo e diverso tra Israele e Dio (v.32). Si tratta di un rapporto intimo che avrebbe sostituito quello formale goduto fino allora. La legge di Dio sarebbe stata dentro di loro, nei loro cuori, e tutti, dal più piccolo al più grande, avrebbero conosciuto Dio (vv 33-34).
Però, Geremia è molto esplicito nell’insistere che questi nuovi aspetti spirituali del patto non avrebbero annullato gli aspetti materiali promessi in precedenza. Il capitolo 31 precisa che la nazione d’Israele avrebbe riedificato la città di Gerusalemme e la sua storia si sarebbe continuata in perpetuo (vv. 36,38-40). Come garanzia di questi duplici aspetti spirituali e materiali del Nuovo Patto, Dio fa un solenne giuramento dicendo che le promesse sarebbero state sicure fino a quando sarebbero sussistite le Sue leggi naturali (vv.35-36).
Il nuovo patto fu inaugurato da Cristo prima della Sua crocifissione. Durante l’ultima cena, mentre offriva il calice ai Suoi discepoli, Egli disse: “Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, il quale è sparso per voi” (Lc. 22:20). Da allora, gli aspetti spirituali del nuovo patto sono operanti nella chiesa.
I capitoli da 9 a 11 di Romani spiegano i rapporti tra la Chiesa e Israele in relazione al nuovo patto. Paolo adopera la similitudine di un olivo per spiegare che le benedizioni appartenenti ad Israele sono sospese durante l’attuale dispensazione della chiesa. Come si pota alcuni rami di un olivo per fare posto a degli innesti, così Israele come nazione è stata stroncata per fare spazio ai Gentili. Continua a partecipare alle sue benedizioni naturali soltanto attraverso un “rimanente” o “residuo” (9:27, 11:5) di credenti. I Gentili, come membri della chiesa, godono le stesse benedizioni spirituali del residuo e partecipano con loro al “nuovo patto”.
Questo non significa però che Dio ha reietto la nazione d’Israele (11:2) per sempre. Anzi, l’inserimento nell’olivo dei Gentili, che sono dei rami selvatici, ha lo scopo di provocare gli Ebrei a gelosia perché anch’essi desiderino essere reinseriti! (11:11,24,25). Questo loro reinserimento futuro armonizza con la profezia di Geremia per cui Israele avrà un nuovo cuore. Anche Paolo prospetta un futuro glorioso per la nazione dicendo che “tutto Israele sarà salvato” (Rom. 11:26).
Da quanto detto, possiamo concludere che tutta la Bibbia concorda nella visione delle benedizioni future promesse ad Israele. Non esistono invece delle giustificazioni, né nell’Antico Testamento, né nel Nuovo per ritenere che le promesse di benedizioni materiali future per Israele siano annullate. Di conseguenza, i dispensazionalisti sono convinti che il programma profetico di Dio includerà la realizzazione di queste promesse e che eliminare la letteralità dei testi che ne parlano nell’Antico Testamento sia un abuso di interpretazione.
Nei termini delle promesse divine, dobbiamo aspettare che Israele prenda possesso di tutto il territorio a lei promesso, e che il re Davide, nella persona di Cristo, regni letteralmente su di loro. Di conseguenza, oltre al regno spirituale di Cristo che è ora presente nella chiesa, aspettiamo che Egli regnerà nel futuro su un regno terrestre materiale. Infatti, la Parola di Dio mette grande enfasi sul futuro regno di Cristo e definisce la sua durata in mille anni (Sal. 2:9, 81:8-16; Mt. 6:10, 7:12,28, 16:28,9, 25:31-34, 26:29; Lc. 13:22-30; Apoc. 19:15, 20:1-6, ecc.). Tale regno è comunemente chiamato “il millennio”.
Il fatto di distinguere il popolo d’Israele dalla Chiesa e di insistere sulle sue prospettive future induce a fare delle distinzioni tra i vari modi in cui Dio ha operato con diverse categorie di persone nella storia. Prima che la legge fosse data a Mosè, Dio agiva nei confronti degli uomini come con coloro che “non avevano legge” (Rm. 5:13-14). Poi, con l’avvento della legge, riteneva le persone responsabili di adempiere ai suoi termini. In seguito, dopo la venuta di Cristo, e durante l’attuale periodo della grazia, abbiamo l’opportunità di un rapporto nuovo con Dio. Durante il regno millennale, quando Cristo sarà personalmente presente sulla terra, ci saranno ulteriori cambiamenti di rapporto. Questi periodi diversi sono normalmente chiamati “dispensazioni” e coloro che li riconoscono, “dispensazionalisti”. Molti premillenaristi sono anche dispensazionalisti.
Le profezie di Daniele
Anche se altri brani fanno ampio riferimento agli ultimi eventi, Daniele è il profeta dell’Antico Testamento al quale Dio ha dato delle rivelazioni particolarmente dettagliate. Infatti, in diverse occasioni Dio ripete la sua intenzione di rivelare a lui gli avvenimenti degli ultimi tempi (Dan. 2:28, 8:18-20,26, 10:14).
Nel contesto di uno studio escatologico, sarebbe importante studiare diverse profezie di Daniele. Ma per mancanza di spazio, dobbiamo limitarci ad esaminare brevemente tre di esse che ci danno degli orientamenti particolari riguardo al programma futuro di Dio.
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La grande statua
Nel secondo capitolo di Daniele, l’Eterno rivelò a Daniele l’interpretazione del sogno di Nebucadnetsar. Il re aveva visto in sogno una grande statua composta di quattro tipi di metallo più l’argilla. Alla fine, essa fu spezzata e annientata da “una pietra che si staccò senza opera di mano” (v.34).
Dio precisò a Daniele che questa visione riguardava “quello che avverrà negli ultimi giorni” (v.28). Spiegò poi che le quattro parti della statua rappresentavano quattro imperi mondiali che dovevano sorgere: la testa di oro rappresentava l’impero babilonese su cui Nebucadnetsar stesso regnava; il petto e le braccia di’ argento, l’impero medo-persiano che l’avrebbe seguito; e il ventre e le cosce di rame, l’impero greco che avrebbe distrutto quello medo-persiano. L’ultima parte della statua, le gambe e i piedi di ferro mescolato con l’argilla, rappresentava l’impero romano, l’ultimo che doveva sorgere.
Nella profezia dell’impero romano, Dio adopera un mezzo che ricorre spesso nelle profezie e che viene chiamato “la legge del doppio riferimento”. In queste profezie un determinato personaggio, avvenimento o oggetto può avere nello stesso tempo un significato più immediato e un altro più lontano nel tempo. Per esempio, il figlio di Isaia fu dato per sottolineare profeticamente al re Achab l’imminenza della distruzione che incombeva sulla sua alleanza con la Siria, ma nello stesso tempo prefigurava la nascita di Gesù (Is. 7:1-17, 8:2-4; Matt. 1:23).
Mentre Daniele profetizza il sorgere dell’impero romano che segui quello greco, la sua descrizione va oltre, rispecchiando nei piedi di ferro mescolato con l’argilla l’ultimo impero della storia. Questo fatto è rivelato chiaramente nel testo: prima perché sarebbe stato distrutto dalla “pietra che si staccò senza opera di mano”, ossia per mezzo di un intervento diretto di Dio; e poi perché il regno che l’avrebbe seguito “non sai–ebbe stato mai distrutto” e avrebbe “riempito tutta la terra” (vv.34-38,44,45).
È ovvio da questo che i piedi della statua rappresentano l’ultimo regno mondiale che precede il regno glorioso di Cristo. La sua debolezza, rispecchiata nel miscuglio di ferro con l’argilla, sarà il risultato di “connubi umani” che, secondo alcuni, rappresentano il miscuglio tra democrazia e governo dittatoriale che è previsto nell’impero del despota mondiale, comunemente chiamato l’Anticristo, che regnerà prima del ritorno glorioso di Cristo.
B. Le quattro bestie
Nel capitolo 7 c’è una seconda visione. Qui Daniele vede quattro bestie che rappresentano anch’esse il corso futuro del mondo gentile. La prima, un leone, rappresenta la Babilonia; la seconda, un orso, la Media-Persia; la terza, il leopardo, la Grecia; la quarta, una bestia spaventevole, l’impero romano.
Anche qui viene adoperata la “legge del doppio riferimento”. La visione dell’ultimo impero supera la realtà della Roma storica, sia nelle sue caratteristiche che nella sua fine. Infatti, dopo la sua distruzione, sarà sostituito da un regno sul quale “uno simile a un figliuol d’uomo” riceverà “dominio, gloria e regno”.
Questo personaggio è descritto con termini eccelsi (v.9) e avrà “mille migliaia che lo serviranno e diecimila miriadi che gli staranno avanti” (v.10). Con la sua apparizione “si terrà il giudizio e i libri saranno aperti” (v.10). “Tutti i popoli e tutte le nazioni e lingue lo serviranno e il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno, un regno che non sarà distrutto” (vv.13,14, cfr. v.27).
Concludiamo perciò che il regno della bestia spaventevole sarà l’ultimo regno sulla terra e che rispecchierà molte caratteristiche della Roma imperiale. Infatti, nella descrizione del regno dell’Anticristo in Apocalisse, notiamo che Roma sarà il suo centro (Apoc. 17:9,18). Inoltre, il mondo lo seguirà a causa di un miracolo di risurrezione che potrebbe essere sia politica che personale (Apoc. 13:3,14-15, 17:8). Una risurrezione politica della Roma imperiale potrebbe perciò dare inizio all’impero dell’Anticristo.
Due caratteristiche di questo regno sono rivelate da Daniele:
1) esso sarà formato tramite l’alleanza di dieci potenze politiche (v.7);
2) il suo capo contrasterà Dio, parlando in modo orgoglioso, bestemmiando il Suo nome e perseguitando i santi (vv.11,25).
Queste caratteristiche sono confermate nella descrizione della bestia di Apocalisse, la quale ha anch’essa dieci coma che rappresentano dieci potenze politiche (Apoc. 13:1, 17: 12,13) e bestemmia il nome di Dio, perseguitando i santi di Dio e trionfando su di loro per quarantadue mesi (Apoc. 13:5-7).
Possiamo concludere che le profezie di Daniele ci danno una visione generale degli ultimi tempi che precederanno il regno terrestre di Cristo. Questi tempi saranno caratterizzati da un regno mondiale, simile alla Roma imperiale, il cui capo vorrà alzarsi al di sopra di Dio e perseguiterà i credenti.
C. Le “settanta settimane”
Ma il libro di Daniele ci dà un’altra indicazione fondamentale per la comprensione dell’escatologia, che deriva dallo studio della straordinaria profezia delle “settanta settimane” riportata in Daniele 9:24-27. Il fatto che una parte di essa è già stata adempiuta, mentre l’altra parte attende il suo adempimento nel futuro, rende particolarmente interessante questa profezia. La parte adempiuta ci fornisce preziose indicazioni per l’interpretazione della parte futura.
Il termine “settanta settimane” adoperato nella Bibbia Riveduta di Giovanni Luzzi non è una traduzione letterale. Il termine adoperato nella lingua originale è semplicemente “settanta sette”, e indica settanta periodi composti ciascuno di sette unità di tempo. Le unità di tempo non sono precisate. Se fossero giorni, il termine “settimane” sarebbe preciso, ma la maggior parte degli studiosi ritiene che non siano periodi di giorni ma di anni. In tal caso, i “settanta sette” corrisponderebbero a settanta periodi di sette anni, ossia a 490 anni.
Il primo dato importante della profezia riguarda il suo soggetto. È una profezia che riguarda Israele, il popolo di Daniele, e la santa città di Gerusalemme (v.24). Ci dà perciò un panorama profetico del futuro di Israele.
Il secondo dato è in relazione ai propositi divini durante il periodo di tempo indicato. Due cose si devono realizzare:
1) la vittoria sul peccato e l’espiazione per l’iniquità del popolo; 2) il regno di Dio che addurrà una giustizia eterna, suggellerà visione e profezia e ungerà un luogo santissimo (v.24).
Il primo di questi propositi è stato realizzato quando Cristo offrì se stesso come espiazione per il peccato, vincendolo attraverso la Sua morte e risurrezione. Il secondo sarà realizzato alla Sua seconda venuta.
Il terzo dato è in relazione agli avvenimenti prospettati nei vari periodi indicati:
1) nel primo periodo di “sette settimane” (49 anni) dovrà apparire un capo e la città di Gerusalemme dovrà essere ricostruita;
2) a questo periodo viene aggiunto un periodo di “sessantadue settimane” (476 anni), che saranno “tempi difficili” per il popolo a Gerusalemme;
3) alla fine di queste prime “sessantanove settimane” (483 anni) “un unto” sarà soppresso;
4) l’ultimo periodo di “una settimana2 sarà caratterizzato dall’apparizione di “un capo” che distruggerà la città e commetterà delle abominazioni prima di essere a sua volta distrutto.
La profezia fornisce anche un’indicazione sull’inizio del periodo prospettato: bisogna cominciare a contare le “settimane” quando “uscirà l’ordine di riedificare Gerusalemme” (v.25).
Con questi dati in mente, possiamo tentare un primo aggancio della profezia con la storia.
L’ordine di riedificare Gerusalemme è stato dato a Nehemia da parte del re persiano Artaserse nel 444 a.C. (Neh. 2:1-5). Se è esatto questa identificazione, il primo capo menzionato nel versetto 25 corrisponderebbe a Neemia.
Il periodo che intercorre tra la riedificazione di Gerusalemme e la morte di Cristo (l’Unto soppresso del v.26) è caratterizzato dai “tempi angosciosi” e include tutte le vicende dei tempi dei Maccabei. Corrisponde esattamente a 483 anni (sessantanove periodi di sette anni) di 360 giorni ciascuno (l’anno profetico ebreo corrisponde a 360 giorni). Perciò, la prima parte della profezia di Daniele è stata adempiuta in modo straordinariamente letterale!
L’ultima settimana della profezia (sette anni) riguarda l’ultimo periodo storico in cui il popolo d’Israele sarà protagonista. Come già visto, l’avvento della chiesa ha sospeso per ora il rapporto privilegiato tra Dio e Israele, ma questo rapporto sarà ripristinato nel periodo che precederà il ritorno glorioso di Cristo per stabilire il Suo regno millennale.
Questo periodo sarà caratterizzato da “guerre e devastazioni” sino alla fine (v.26), da “un saldo patto” contratto tra “il capo che verrà” e Israele (i “molti” del v.27), e dall’infrazione del patto in mezzo alla settimana da parte di questo capo. Ciò risulterà nella sospensione dei culti giudaici, nell’attuazione di “abominazioni” e nella completa distruzione del capo (v.27).
Queste indicazioni corrispondono perfettamente alla rivelazione di altri brani nella Parola di Dio, particolarmente quelli di Daniele e di Apocalisse. L’Apocalisse fa ampio riferimento alle guerre che ci saranno durante questa settimana (sette anni) di tribolazione (Apoc. 9:13-20, 16:12-16, 19:14-21).
L’arroganza dell’Anticristo, la sua persecuzione dei santi e di Israele e le abominazioni che opera nei culti giudaici sono ampiamente documentate negli scritti profetici, non solo di Daniele e di Giovanni(l’Apocalisse), ma anche di Geremia, di Paolo, e di Cristo stesso (cfr. i brani già elencati in riferimento alle altre profezie di Daniele insieme a Ger. 30:5-7; Dan. 11:31-37; Matt. 24:9,15-22; 2° Tess. 2:3,4,9,10; Apoc. 12:12-17; 13:6,7,14,15).
Gli avvenimenti futuri
Lo studio dei testi biblici finora discussi costringe a fare una distinzione tra Israele e la Chiesa negli scopi eterni di Dio. Con il suo rifiuto di accettare il proprio Messia, Israele è temporaneamente accantonata come strumento per il regno di Dio e la Chiesa, composta sia di Gentili che di Ebrei, prende il suo posto (Atti 4:27, 9:15, 13:46, 15:14, ecc.).
Il giorno della Pentecoste lo Spirito Santo scese sulla Chiesa, adempiendo le promesse di Gesù (Giov. 14:15-18, 16:7-14; Atti 1:4, ecc.) e di Giovanni Battista (Matt. 3:11, Mc. 1:8; Lc. 3:16; Giov. 1:33). Da allora lo Spirito opera nel battesimo di tutti i credenti nel corpo di Cristo, la Chiesa (Giov. 3:5; Atti 1:5, 11:16; 1° Cor. 12:13-28; Gal. 3:27; Ef. 1:13,23, 2:19-22, 3:14-21, 4:416, ecc.).
Invece di affidare ad Israele il compito di portare il Suo Nome davanti al mondo, Dio affida attualmente il Grande Mandato agli apostoli e per mezzo di loro alla Chiesa intera (Mt. 16:18,19, 28:19,20; Mc. 16:15; Lc. 24:46,47; Giov. 20:2123; Atti 1:8). Di conseguenza, il programma di Dio si realizza al tempo presente per mezzo della Chiesa di Cristo.
Le Scritture rivelano tre avvenimenti futuri in relazione alla chiesa:
- il rapimento, che potrebbe avvenire in qualsiasi momento. Cristo ritornerà sulle nuvole del cielo e raccoglierà la Chiesa con Sé nel cielo (Gv. 14:1-3; 1° Cor. 15:51,52; 2° Cor. 5:1-9; Fil. 3:20,21; Col. 1:4,5; 1° Tess. 4:13-18; Tito 2:1113);
- il tribunale di Cristo, che avrà luogo in cielo dopo il rapimento per mettere alla prova le opere dei credenti alla Sua presenza. Le opere di valore saranno premiate mentre quelle inutili saranno distrutte. Le prime costituiranno l’abito per i credenti quando parteciperanno alle nozze dell’Agnello in qualità di sposa (1° Cor. 3:9-15; 2° Cor. 5:10; Apoc. 19:7).
- le nozze dell’Agnello che saranno l’ultimo avvenimento in cielo prima del glorioso ritorno di Cristo sulla terra con la Sua Chiesa. In seguito, Egli stabilirà il Suo regno millenniale (2° Cor. 11:2; Ef. 5:2533; Apoc. 19:7, 11-16, 20:1-6).
Israele e il futuro
La profezia di Daniele 9:24-27 indica che, durante gli ultimi sette anni prima del glorioso ritorno di Cristo, Israele riprenderà il suo ruolo come servo dell’Eterno.
Di conseguenza i Vangeli, scritti prima dell’inizio della Chiesa, parlano molto della nazione d’Israele, mentre le Epistole, scritte per la Chiesa, parlano di Israele solo in relazione al “residuo” che appartiene alla Chiesa.
L’Apocalisse, scritto durante l’attuale dispensazione della chiesa, descrive “le cose che sono” e “quelle che devono avvenire in seguito” (1:19). Con riferimento alle “cose che sono”, parla nei capitoli 2 e 3 delle sette chiese, ma dal capitolo 4 in poi parla delle cose future che precedono il ritorno di Cristo. In tutti questi capitoli gli unici riferimenti che potrebbero riguardare la Chiesa sono in relazione ai 24 anziani che si trovano già in cielo.
I riferimenti ad Israele sono invece numerosi. I 144.000 servi di Dio appartengono alle dodici tribù d’Israele (7:1-8, 14:1-5). I due personaggi che testimoniano a Gerusalemme rispecchiano le caratteristiche di Mosè e di Elia (cap. 11). Pure la donna vestita del sole nel capitolo 12 rappresenta Israele.
È particolarmente importante applicare il metodo di interpretazione letterale al libro di Apocalisse. Esso, come quello di Daniele, fa parte di una categoria di letteratura biblica chiamata “apocalittica”, che fa largo uso di simboli e figure. Alcuni, vedendo la natura simbolica del libro, vedono solo il suo senso spirituale e non si rendono conto che i simboli rappresentano avvenimenti e cose concrete e non semplicemente idee astratte.
L’Apocalisse parla degli ultimi avvenimenti fino alla consumazione della storia. Dopo i primi tre capitoli di introduzione e di panoramica della situazione nelle sette chiese, i capitoli da 6 a 19 trattano il periodo dopo il rapimento della chiesa chiamato “la tribolazione”. Essa dura, come indicato da Daniele, per sette anni.
I sette suggelli del capitolo 6 introducono questo periodo e ci presentano, nell’ordine, le sue caratteristiche generali:
1) l’apparizione di un capo mondiale;
2) la guerra;
3) la carestia;
4) la morte violenta;
5) la testimonianza e la persecuzione dei credenti;
6) sconvolgimenti nella natura.
Il settimo suggello apre lo scenario sui giudizi divini delle sette trombe seguite dalle sette coppe dell’ira di Dio.
Oltre agli avvenimenti, questi capitoli descrivono i vari personaggi che occupano ruoli importanti durante la tribolazione. La figura della prima bestia nel capitolo 13 corrisponde alla quarta bestia di Daniele e all’imperatore mondiale del primo suggello. I 144.000 Ebrei che servono Dio porteranno a termine la profezia di Cristo riguardante la predicazione del Vangelo in tutto il mondo (Matt. 24:14). La grande moltitudine dei salvati (7:917) sono coloro che saranno salvati durante la tribolazione.
Alla fine della tribolazione le nazioni della terra saranno radunate insieme in Palestina, al luogo chiamato “Harmagheddon” (la valle di Meghiddo) (Apoc. 16:16). Cristo apparirà in tutta la Sua gloria e con i Suoi santi. Distruggerà gli eserciti dell’Anticristo e instaurerà il Suo regno millennale (Apoc. 19:1120:6) cui parteciperanno tutti i credenti di tutti i tempi e anche coloro che saranno ancora in vita alla fine della tribolazione, inclusi molti non credenti, per i quali sarà un regno imposto “con una verga di ferro” (cfr Sal. 2; Apoc. 19:15).
Quando, alla fine dei mille anni, Dio permetterà a Satana di esercitare ancora la sua influenza, molti di questi non credenti si ribelleranno all’autorità di Cristo e dovranno essere distrutti (20:7-19). Poi, dopo aver distrutto la terra per mezzo del fuoco (2° Pt. 3:7-12; Apoc. 20:11), Dio giudicherà i morti non salvati (Apoc. 20:11-15) e creerà nuovi cieli e la nuova terra che dureranno in eterno (2° Pt. 3:13; Apoc. 22,22).