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di Geoffrey Allen
Sono debitore per l’idea della presente riflessione a un articolo di Ken Wilson apparso sulla rivista Pastoral Renewal (set./ott. 1985). Il pastore Wilson non ci ha concesso il permesso di ristampa, in quanto nel frattempo ha modificato alcune delle opinioni allora espresse. Tuttavia mi sembra doveroso ringraziarlo per la sua stimolante riflessione, precisando tuttavia che quanto segue esprime unicamente le convinzioni dell’Autore.
Un nostro amico di famiglia, quando si è sposato qualche anno fa, ha optato per il rito religioso; di conseguenza, ha dovuto “subire” (è l’unica parola adatta a definire il suo atteggiamento) il corso di preparazione alle nozze che la Chiesa Cattolica rende obbligatorio per chi si sposa in chiesa.
Una simile “imposizione” – istituita senz’altro per promuovere una maggiore presa di coscienza da parte di chi si accinge a fare delle promesse solenni davanti a Dio – provoca parecchi risentimenti da parte dei “cattolici anagrafici”, ed c’è da dubitare se abbia molto effetto su coloro che, come lui, la vivono solo come un noioso obbligo da sbrigare.
Ma, prima di “scagliare le pietre”, anche noi evangelici faremo bene a interrogarci se facciamo molto meglio nel preparare i nostri giovani ad affrontare nel modo migliore una delle scelte più importanti della loro vita.
E sicuramente il momento più adatto per farlo non è quando la coppia si è già trovata la casa, ha annunciato la data del matrimonio e ha prenotato il ristorante. Bisogna cominciare molto, molto prima. E questo rappresenta una grossa sfida per i genitori, per i pastori e i responsabili dei gruppi giovanili e di adolescenti nelle nostre chiese.
Certo, non tutti i giovani che frequentano le nostre chiese accetteranno il “consiglio di Dio” sul miglior modo di affrontare la ricerca del coniuge. Ma sicuramente ce ne sono molti che con tutto il cuore vogliono piacere a Dio e realizzare i Suoi progetti per la loro vita, se solo troveranno qualcuno a offrire i consigli e gli orientamenti giusti.
La chiamata di Dio
La prima questione da affrontare, anzi, è se si è chiamati da Dio al matrimonio, oppure al celibato. Nel mondo protestante – per reazione all’esaltazione cattolica del celibato a spese della condizione matrimoniale – abbiamo gravemente trascurato questa seconda possibilità: chi non è sposato viene spesso guardato con compassione (“Poverino/a!”) o, peggio, con sospetto (“Non sarà forse gay?”).
Ma, al di là di ogni discussione, il nostro “perfetto esempio di fede”, Gesù, non era sposato né cercava di esserlo. Anche il grande apostolo Paolo scrive: “Io vorrei che tutti gli uomini fossero come sono io … Ai celibi e alle vedove dico che è bene per loro che se ne stiano come sto anch’io”, aggiungendo però saggiamente: “Ma ciascuno ha il suo proprio dono (greco charisma) da Dio; l’uno in un modo, l’altro in un altro” (1° Cor. 7:6-8).
Non solo il celibato, dunque, ma anche il matrimonio è una vocazione e un dono di Dio. La prima domanda da porsi è dunque: “Mi devo sposare?”; e soltanto dopo averlo risolto questa, possiamo proseguire a chiedere: “Chi devo sposare?”
E il tempo per affrontare queste domande non è dopo aver frequentato e … scartato tutti i membri di sesso opposto del gruppo giovanile della chiesa. È prima di incominciare.
Coppie e coppiette
Nella società moderna, dobbiamo fare i conti con una sempre più insistente “cultura della coppia adolescente”. I ragazzi che a quattordici anni non hanno “la ragazza”, e viceversa, sono sottoposti a grosse pressioni a sentirsi “menomati” e poco normali. Le riviste e i programmi TV indirizzate agli adolescenti inculcano sempre più insistentemente questa mentalità.
Invece, secondo i concetti biblici, la formazione di una coppia è un approccio e una preparazione al matrimonio, cioè a un impegno che deve durare per tutta la vita. Quali sono le probabilità che a dodici o tredici anni si abbia la maturità necessaria per affrontare una scelta di una simile portata? La formazione delle “coppiette” si è staccata dalla ricerca di un coniuge ed è diventata una forma di vita sociale a sé stante (quando non un ambiente per ricercare le prime esperienze sessuali). Quando questo costume prende il sopravvento tra i giovani delle nostre chiese, produce una serie di conseguenze negative:
- Tende a portare i ragazzi a una malsana preoccupazione con sé stessi: il loro aspetto fisico, quanto siano attraenti all’altro sesso … E, in un’età in cui molti ragazzi già lottano con sentimenti di insicurezza e la ricerca della loro identità, rimanere “fuori del giro” moltiplica questi problemi. L’epidemia di disordini alimentari (anoressia, bulimia, ecc.), soprattutto nelle ragazze adolescenti, ne è una triste conseguenza.
- Intralcia lo sviluppo di sani rapporti sociali con gli altri. I giovani credenti hanno bisogno di imparare a vedere gli altri come esseri umani preziosi agli occhi di Dio – e, se sono cristiani, fratelli e sorelle in Cristo – da onorare e servire, non come oggetti di una possibile attrazione sessuale o come concorrenti. È un’età in cui è importante imparare a vivere una varietà di amicizie con persone dello stesso e dell’altro sesso (infatti ritengo che sia questo il modo giusto di imparare a conoscere e a capire l’altro sesso: in un’atmosfera rilassata di amicizia, possibilmente nel contesto di un gruppo misto, e non in una relazione esclusiva “ragazzo/ragazza” carica di attese romantiche e sessuali.
- C’è un rischio di trovarsi “intrappolati” in una relazione sbagliata e non trovarne la via d’uscita. Talvolta le coppie formate in età adolescenziale sotto la spinta delle pressioni sociali diventano così “abitudinarie” che quando ci si rende conto che non è la relazione “giusta”, è troppo tardi per uscirne, o almeno per farlo senza grossi traumi.
- Comporta un rischio non trascurabile di fornicazione. Elenco questa preoccupazione all’ultimo posto, non perché sia quella meno importante, ma perché è un rischio che siamo probabilmente più abituati a calcolare, mentre invece credo che – se i genitori e la chiesa hanno assolto a dovere il loro compito – i rischi siano minori di quanto a volte temiamo, mentre gli altri fattori sopra sono forse più subdoli e più pericolosi.
Tuttavia, non dobbiamo neanche sottovalutare questo rischio e questa tentazione, perché i costumi della società in cui viviamo non ci danno più nessun aiuto in questo campo. Le relazioni sessuali prima e fuori del matrimonio sono diventate talmente una parte della cultura occidentale che arrivare vergini al matrimonio è così eccezionale da farsi sentire delle “mosche bianche”. Una delle mie figlie, mentre si recava dal medico poco prima di sposarsi per farsi prescrivere la “pillola”, osservò: “Sai, papà, sembra strano affrontare adesso una questione che tutte le mie compagne hanno risolto già anni fa”. È esattamente la situazione descritta da Pietro: “Trovano strano che voi non corriate con loro agli stessi eccessi di dissolutezza, e parlano male di voi” (1° Pt. 4:4). I nostri ragazzi hanno bisogno di tutto il nostro sostegno per entrare nell’ordine di idee che sono gli altri che sono “strani”: che è sciocco e anormale non rispettare le indicazioni che il nostro Creatore ci ha dato per il nostro bene nel Suo “manuale d’istruzioni”.
La scelta del partner
Sono finiti i tempi dei matrimoni “combinati” dai genitori, e molti giovani danno vagamente per scontato che la questione si risolverà da sé col classico “colpo di fulmine”. Invece l’esperienza dimostra che non sempre “innamorarsi” è una base solida o sufficiente per un’unione duratura. Anzi, tutte quelle coppie che – sempre più spesso – litigano, si separano e divorziano, non erano forse una volta innamorati? È più che possibile innamorarsi pazzamente di una persona assolutamente inadatta a essere tuo marito o tua moglie (anzi, è possibilissimo innamorarsi di qualcuno che non puoi sposare perché uno dei due, o entrambi, è già sposato …)
Anche nella Bibbia troviamo un esempio lampante del modo sbagliato di affrontare la questione dell’innamoramento e del matrimonio: “Sansone scese a Timna e vide là una donna tra le figlie dei Filistei. Tornato a casa, ne parlò a suo padre e a sua madre, e disse: «Ho visto a Timna una donna tra le figlie dei Filistei; prendetemela dunque per moglie». Suo padre e sua madre gli dissero: «Non c’è … in tutto il nostro popolo una donna per te? Devi andare a prenderti una moglie tra i Filistei incirconcisi?» Sansone rispose a suo padre: «Prendimi quella, perché mi piace»” (Giud. 14:1-3).
Sicuramente doveva essere una gran bella ragazza. Come possiamo esserne così sicuri? Semplice: di lei, Sansone non sapeva praticamente altro! “Vide una donna … e disse: «Quella mi piace»”. Ma quello non si rivelò poi … il matrimonio più riuscito della storia!
Certo, come dice il proverbio, “l’occhio vuole la sua parte”. Ma … non lasciamo che si prenda la parte del leone! Viviamo in una cultura che – come diceva uno slogan pubblicitario di qualche anno fa – “sottolinea il corpo”; ma è molto più saggio (e non solo in quanto cristiani) dare la priorità alla persona interiore. Meglio ascoltare il consiglio dei Proverbi biblici: “La grazia è ingannevole e la bellezza è cosa vana; ma la donna che teme il Signore è quella che sarà lodata”. E, rincarando ancora la dose: “Una donna bella, ma senza giudizio, è un anello d’oro nel grifo di un porco”! (Prov. 31:30, 11:22).
Valori in comune
E quale “mancanza di giudizio” più grave di quello di non amare e temere Dio, il che è “principio della sapienza”? Dovrebbe andare da sé che un credente vorrà condividere la propria vita con qualcuno che vive gli stessi valori, principi e obiettivi: cioè, con un altro credente. Purtroppo “il cuore è ingannevole” (Ger. 17:9), e i giovani credenti continuano a illudersi che “nel mio caso, le cose andranno per il verso giusto”.
Abbiamo bisogno perciò di inculcare ai nostri giovani – ancora prima che “scoppi l’incendio!” – non solo una “regola” legalistica, ma le ragioni e la sapienza divina che stanno dietro alla nota esortazione scritturale a “non mettervi con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi” (2° Cor. 6:14).
Mio figlio – che già all’età di otto anni si era assunto la responsabilità del battesimo, dopo aver ricevuto anche quello dello Spirito Santo, e più di una volta aveva anche risposto pubblicamente agli appelli a consacrare la sua vita senza condizioni al Signore – a sedici anni si è innamorato di una compagna di classe del liceo. Quando io e mia moglie siamo venuti a saperlo, gli abbiamo chiesto: “È credente? Quale rapporto ha con Dio?” “Non abbiamo ancora parlato di questo”, ammise. “Ma – gli dissi – non ti rendi conto che la stai prendendo in giro? Tu hai preso degli impegni seri con Dio – a meno che non li vuoi rinnegare ora – e non glielo dici? E poi, se Dio è importante nella tua vita – se ti ha fatto del bene – come mai non vuoi farne parte anche a lei?”
Capì il messaggio, e la prossima volta che andava a trovarla (perché nel frattempo ci eravamo trasferiti in un’altra città), non solo le parlò della sua fede ma la portò al culto della chiesa. Lei ne rimase positivamente colpita, la domenica prossima vi tornò da sola e diede la sua vita a Cristo. E dopo, se la prese con mio figlio! “Come? – gli disse – io da tempo stavo cercando Dio, e tu che Lo avevi trovato non mi dicevi niente?” Ora sono felicemente sposati …
Certo, non sempre va a finire così (anche una mia figlia ha incontrato una risposta diversa, che l’ha portata poi ad interrompere la relazione). Ma – come ho avuto modo di dire a un giovane che rimandava di affrontare il discorso con la propria ragazza – il silenzio già parla forte: dice che per te Dio non è molto importante. E quando invece viene affrontato e non accolto, cosa può far pensare che chi oggi respinge l’invito di Dio, domani cambierà idea?
Una parola a parte sul caso – raro, ma probabilmente destinato a diventare più frequente – di chi è credente, “nato di nuovo”, ma appartiene a un’altra chiesa o tradizione cristiana: per esempio, una coppia composta di un evangelico e una cattolica carismatica. In questo caso non si applica il divieto paolino di cui sopra: non si tratta di “luce e tenebre, Cristo e Beliar”. Tuttavia, bisognerà considerare tutt’una serie di difficoltà di ordine pratico, che molti credenti vorranno risparmiarsi. Quale chiesa si frequenterà la domenica? ognuno la propria, oppure le due a turno? Si battezzeranno i figli da piccoli? A chi sarà affidata la cura pastorale della famiglia? E se il prete e il pastore danno consigli contraddittori …?
Compatibilità
Ma non basta che entrambi siano credenti (anche se due persone profondamente consacrate al Signore dovrebbero essere in grado di far funzionare anche l’accoppiamento meno felice). Conviene considerare altri fattori:
- Quali obiettivi abbiamo nella vita? Al di là di un generico “servire il Signore”, uno dei due avverte una chiamata particolare? La donna vuole seguire una carriera, oppure fare la casalinga? Come concepiamo i ruoli del marito e della moglie? Quanti figli vogliamo? (Un parente di mia moglie – non credente – ha scoperto soltanto dopo le nozze che sua moglie non intendeva averne affatto. Divorziarono). Sono disposto a trasferirmi per motivi di carriera? o al servizio della chiesa? A quale tenore di vita aspiriamo? di quanto siamo disposti ad accontentarci?
- L’età, i gusti, gli interessi, il livello culturale. È importante nel matrimonio essere “amici” oltre che “amanti”, e questo significa avere del terreno comune su cui incontrarsi, delle cose da fare insieme che possano essere piacevoli per entrambi.
È saggio anche considerare la personalità e la maturità della persona che si contempla di sposare. Dopo il rapporto con Dio, come vive i rapporti con gli altri? con gli amici? con i genitori? col datore di lavoro? Come osserva Ken Wilson:
“Le abilità che rendono possibile un buon matrimonio non trovano là l’unica loro applicazione. Sono, per lo più, le abilità necessarie per qualsiasi relazione: saper risolvere i conflitti, quando impuntarsi e quando invece cedere, come esprimere la stima e l’affetto, come riprendere e accettare la riprensione. L’insegnamento biblico sul matrimonio non si limita ai pochi brani che parlano esplicitamente di questo tema: la sapienza divina si trova in tutti quei brani che insegnano in quale modo i figli e le figlie di Dio dovranno vivere i rapporti con gli altri. Nei termini più semplici, occorre imparare come vivere dei buoni rapporti con gli esseri umani, prima di avventurarsi nel matrimonio.
“Inoltre, i buoni rapporti stabiliti prima del matrimonio sono un sostegno anche in seguito. Uomini e donne che sono insicuri nei rapporti con altri dello stesso sesso spesso sperano nel matrimonio come il rapporto che soddisferà tutti i loro bisogni di amicizia, di ricreazione e di sostegno. Questo carica sulle spalle del coniuge un peso insostenibile e prepara il terreno per grosse delusioni”.
Fidanzamento
È mia convinzione che anche per quel che riguarda la durata del fidanzamento e l’età del matrimonio dobbiamo imparare a “nuotare contro corrente”: credo che abbiamo bisogno urgente di lasciarci “rinnovare la mente” per “non conformarci a questo mondo”. Oggi si tende a rimandare sempre di più il matrimonio e ad allungare di conseguenza il tempo del fidanzamento. A volte questo è una dolorosa necessità: l’esigenza di un titolo di studio per poter trovare un lavoro decente impone a molti giovani lunghi anni di studio, durante i quali non è economicamente possibile affrontare il matrimonio.
Ma è sempre proprio così? Mio figlio, dopo cinque anni di fidanzamento “a lunga distanza”, decise di sposarsi “in economia” pur di poter stare insieme. Mia nuora si trasferì per terminare il corso di laurea nella stessa università, e mio figlio riuscì a mantenerli entrambi con ciò che guadagnava lavorando nei fine settimana. Certo, non è da tutti …
Ciò che è sicuro è che i fidanzamenti di sei, sette o dieci anni impongono alle coppie uno stress enorme. C’è, da una parte, la tentazione sempre più forte a anticipare l’intimità sessuale del matrimonio. Come sappiamo tutti, questo è ormai costume diffuso tra i non credenti, ma rimane pur sempre “fornicazione” agli occhi di Dio, ed è una causa di tanti fidanzamenti e matrimoni finiti male. Quando si godono i “frutti rubati” dell’unione coniugale senza accettarne le responsabilità, non hanno più gusto quando si arriva al matrimonio; inoltre molti uomini, quando possono godere i benefici senza i doveri, sono portati a sfuggire sempre di più a questi. Il saggio consiglio della Parola di Dio è chiaro: “Se non riescono a contenersi, si sposino; perché è meglio sposarsi che ardere” (1° Cor. 7:9).
Ma c’è di più. Un’attesa interminabile nell’”anticamera del matrimonio” spesso finisce per logorare completamente il rapporto: si arriva al matrimonio – con tutto lo stress del doversi adattare a uno stile di vita completamente nuovo – senza più il sostegno dello slancio dell’innamoramento, e senza quella flessibilità e capacità di adattamento della prima giovinezza.
Come fare allora? Credo che – senza essere irresponsabili o avventati – abbiamo bisogno, da una parte, di un maggiore atteggiamento di fede – quella fede che è pronta a “rischiare con Dio” – e dall’altra, di attese economiche più modeste. È proprio necessario, per iniziare la vita di coppia insieme, avere l’appartamento di proprietà e tutti i mobili nuovi? e invitare 300 amici e parenti al ristorante? I nonni sono riusciti a farne a meno …
In alternativa, converrà fare come ha fatto un altro mio figlio: decidere di rimandare il discorso fino a dopo gli studi, cioè fin quando non sarebbe in grado di affrontare il peso economico di una famiglia. Una determinazione del genere può avere una sorprendente efficacia come “parafulmine” …
Non è mai troppo presto
In conclusione, c’è qui un bel da fare per i pastori e – soprattutto – per i genitori cristiani. Soprattutto attraverso l’esempio – il nostro modo di vivere il rapporto coniugale, di risolvere i conflitti e le differenze, di rispettarci l’un l’altra come preziosi agli occhi di Dio – trasmettiamo ai nostri ragazzi quel rispetto per la sacralità del matrimonio che è la base indispensabile per un’unione riuscita.
Ma poi, dobbiamo anche parlarne con i nostri ragazzi: “Questi comandamenti … ti staranno nel cuore; li inculcherai ai tuoi figli, ne parlerai quando te ne starai seduto in casa tua, quando sarai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai …” (Deut. 6:6-7). Fin dalla prima adolescenza abbiamo bisogno di “inculcare” loro la sapienza di Dio in materia, soprattutto le istruzioni del Creatore per il giusto uso e collocazione della sessualità, nonché i valori della modestia, del rispetto dell’altro e della ricerca, prima di ogni altra cosa, del “regno e la giustizia di Dio”. Allora potremo con fiducia vederli lanciarsi nell’avventura della vita e della ricerca del partner che Dio ha stabilito per la loro vita.
Un ultimo suggerimento: se preghiamo per i nostri figli, perché non pregare, fin da quando sono piccoli, anche per quella persona “speciale”, ancora sconosciuta, che Dio ha stabilito che un giorno incontreranno? Io e mia moglie l’abbiamo fatto, e siamo ben contenti dei risultati …