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di Emilio Ursomando
Nella sua lettera agli Efesini, l’apostolo Paolo ci ricorda che la chiamata del credente non è solo quella di andare in paradiso, ma, prima ancora, di compiere “le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (2:10).
Questo stabilisce un punto fermo importante, e cioè che tutti siamo stati già chiamati da Dio a servirlo! Ma questo non risolve certamente il dilemma che tanti vivono nelle nostre chiese: “Chi sono io? Qual è la mia chiamata? Quali sono le opere che Dio ha preparate per me?”
Il problema è importante perché ha a che fare con la nostra identità. E nessuno può lavorare per il Signore se non ha prima risolto il problema della propria identità.
Un errore
C’è un errore in cui molti, alla ricerca della propria identità, cadono: aspettano che sia il pastore a dire loro cosa fare. Ma è questo che ci dice la Parola?
Leggiamo Romani 12:1: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale”.
Molti cercano un’identità per sentirsi realizzati. Ma non è questo che ci chiede Dio. La prima cosa che Egli ci chiede non è di conoscere la Sua volontà, e nemmeno di servirlo. È di “presentarci in sacrificio”, cioè… di morire! Se vuoi comprendere quello che Dio si aspetta da te, ecco un primo passo da compiere: smetti di cercare la tua realizzazione, sali sull’altare, offriti in sacrificio e… muori!
Chi non è ancora morto, non è qualificato a servire. Paolo ci rivela che questa è stata anche la strada sua e degli altri apostoli: “… portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo … di modo che la morte opera in noi, ma la vita in voi” (2° Cor. 4:10,12). Il ministero ha a che fare con la morte, prima ancora che con il servizio. Puoi aver ricevuto da Dio un autentico dono, ma non sarai capace di benedire il popolo del Signore se prima non avrai imparato a morire.
“Maestro, tutti vanno da lui e ti abbandonano”. I discepoli del Battista erano preoccupati. Ma quale fu la risposta di Giovanni? “L’amico dello sposo si rallegra alla voce dello sposo … Viene colui che è più forte di me …” (Giov. 3:29, Lc. 3:16). Egli diceva in effetti: “Andate, seguite lui!”. Nessuna gelosia, nessun tentativo di difendere il proprio ministero. “E più grande di me”. Sono parole che pochi riescono a dire. Non riuscirai mai ad accettare che un altro possa essere più grande di te, se non sei morto a te stesso!
“Offrite i vostri corpi in sacrificio a Dio”, grida l’apostolo a quanti arrancano confusi alla ricerca di un’identità. Che cosa vuol dire? Che il servo di Dio non si realizza nelle cose che fa o nel ministero che possiede, ma nell’offerta incondizionata di sé al proprio Dio. Chi non è morto non si può sentire realizzato, perché non può compiere le opere di Dio.
Il brano prosegue: “Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio” (Rom. 12:2). Possiamo dunque conoscere “per esperienza diretta” la volontà di Dio per noi! Ma questo dipende dall’offerta di noi stessi a Dio. Allora, smettila di accusare il tuo pastore e non prendertela con i tuoi fratelli. Il problema è in te! Devi morire! Questo deve precedere ogni altra cosa. Smettila anche di pregare, e offriti in sacrificio! Cedi a Dio tutti i tuoi diritti, le tue aspirazioni. Tu dirai che l’hai già fatto … Ma, allora, perché soffri tanto se non vieni riconosciuto? Un morto non soffre…!
La sovranità di Dio
Andando avanti nel nostro brano, l’apostolo esorta: “Per la grazia che mi è stata concessa, io dico quindi a ciascuno di voi che non abbia di sé un concetto più alto di quel che deve avere, ma abbia di sé un concetto sobrio, secondo la misura della fede che Dio ha assegnata a ciascuno” (v. 3).
Troviamo lo stesso principio in Efesini: “È Lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori …” (Ef. 4:11). Queste affermazioni sottolineano, e in modo inconfutabile, una realtà: la sovranità di Dio!
Puoi sforzarti di fare il pastore, o di portare tante anime a Cristo… e, nonostante la tua buona volontà, fallire miseramente. Perché accade questo? Perché “è Lui che ha dato …”! È un diritto del padrone scegliere i propri servi; come potremmo allora negare questo diritto al Signore di tutte le cose?
Se non riusciamo in qualcosa, non è sempre il caso di colpevolizzarsi. Paolo ci ha appena ricordato che possiamo servirlo solo “nella misura della grazia” che Egli ci concede. Se un dono ci è stato dato, sarà allora la grazia che lo manifesterà, ma se non ci è stato dato, nessuno sforzo potrà mai produrlo. Riusciremo solo a sfiancare noi stessi e, spesso, anche quelli che ci circondano.
Se la nostra capacità viene da Dio ed è per grazia, saremo capaci di fare il nostro lavoro restando nel riposo. E c’è una cosa che non dobbiamo mai dimenticare: Dio ci dà grazia solo per le cose che Egli ci comanda di fare; non benedirà mai i nostri progetti. “Egli ha dato alcuni … altri …” Non possiamo contestare le sue scelte, né cercare di entrare in un ruolo che non ci ha affidato. Egli è il Signore!
La nostra parte
Ma anche la sovranità di Dio, per quanto determinante, rappresenta solo una parte della questione. C’è anche la nostra parte. Gesù disse, considerando gli immensi bisogni dell’umanità: “La messe è grande, ma gli operai sono pochi” (Mat. 9:37). II Padrone della messe vuole chiamare operai, ha bisogno del nostro servizio, ma non chiamerà chiunque.
Si potrebbe superficialmente pensare che la scelta di Dio sia casuale. Ma non è così. Se infatti è vero, da una parte, che le sue decisioni sono insindacabili, è anche vero che nelle sue scelte, il Signore segue dei “criteri”, criteri che ci sono rivelati nella sua Parola e che costituiscono le condizioni che dobbiamo soddisfare, se vogliamo essere chiamati al Suo servizio. Esaminiamoli:
- Integrità. `Il Signore scorre con lo sguardo tutta la terra, per spiegare la sua forza a favore di quelli che hanno il cuore integro verso di lui” (2° Cron. 16:9). Dio ci guarda! È alla ricerca di uomini integri. Se desideri servirlo, custodisci il tuo cuore integro davanti a Lui!
- Umiltà. “Ecco su chi io poserò lo sguardo: su colui che è umile, che ha lo spirito contrito e trema alla mia Parola” (Is. 66:2b). Sei umile? Hai lo spirito “tritato” o hai ancora la forza di contendere? Tremi davanti alla Sua parola, o trovi ancora scuse e Gli resisti? Allora ricorda che sei tu che fermi il Suo sguardo su te e Lo costringi a cercare altrove.
Altri requisiti
- Santità: “Tuttavia il solido fondamento di Dio rimane fermo, portando questo sigillo: `Il Signore conosce quelli che sono suoi’, e: `Si ritragga dall’iniquità chiunque nomina il nome del Signore’. (Qui il discorso si fa interessante …!). In una grande casa non ci sono soltanto vasi d’oro e d’argento, ma anche vasi di legno e di terra; e gli uni sono destinati a un uso nobile e gli altri a un uso ignobile. Se dunque uno si conserva puro da quelle cose, sarà un vaso nobile, santificato, utile al servizio del padrone, adatto per ogni opera buona” (2° Tim. 2:19-21). Ogni commento appare superfluo: tu decidi che tipo di vaso sarai!
- Una buona coscienza: “Lo scopo di questo incarico è l’amore che viene da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera” (l° Tim. 1:5). “…conservando la fede e una buona coscienza; alla quale alcuni hanno rinunziato, e così hanno naufragato quanto alla fede” (1° Tim. 1:19).
Si pone spesso molta enfasi sulla fede; forse bisognerebbe metterne di più sulla buona coscienza. Sarà meglio sorvolare su alcune ancora troppo recenti e tristi episodi che hanno coinvolto servitori di Dio e che devono comunque restare un monito per ognuno di noi. Guardiamo più lontano da noi, nel passato, a un grande uomo di fede, ma in cui venne lentamente meno la buona coscienza: Sansone. Egli fece una triste fine.
Grandi imprese e vizi nascosti non possono coesistere a lungo: all’improvviso, come per Sansone, avverrà il crollo. “Tu hai amato la giustizia e hai odiato l’iniquità; perciò Dio, il tuo Dio, ti ha unto con olio di letizia, a preferenza dei tuoi compagni” (Ebr. 1:9). Non basta amare la giustizia; bisogna anche decidere di odiare l’iniquità. L’uomo che vuole essere chiamato da Dio deve assicurarsi di avere, oltre alla fede, una buona coscienza!
- Una vita di preghiera. Soprattutto bisogna essere uno che “ascolta” Dio: “Egli risveglia ogni mattina il mio orecchio, perché io ascolti, come fanno i discepoli” (Is. 50:4). “Io starò alla mia vedetta, mi porrò sopra una torre, e starò attento a quello che l’Eterno mi dirà …” (Hab. 2:1). Si può non ricevere la propria chiamata solo perché non si sta abbastanza “attenti ad ascoltare”! “Perché, quando ho chiamato, nessuno ha risposto?” (Is. 50:2). Mosè restò in attesa sette giorni sul monte, prima di ricevere le direttive di Dio (Es. 24:16). Sei pronto a fare altrettanto?
- Prontezza a soffrire. “Gesù, pieno di Spirito Santo… fu condotto dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni, dove era tentato dal diavolo” (Lc. 4:1). Molti riescono a sentire la chiamata e si incamminano sulla via dell’ubbidienza ma, dopo un po’, si fermano perplessi. Le loro aspettative prevedevano la pienezza dello Spirito Santo; ma il deserto, il digiuno e il confronto col diavolo li trova impreparati.
L’uomo che vuole seguire Gesù deve essere pronto a soffrire. Dopo averci chiamati, dopo averci fatto assaporare le sue benedizioni, Dio dovrà condurci nel deserto per stabilire le giuste priorità nella nostra vita. E nel deserto incontreremo il diavolo, saremo chiamati al digiuno, ci sentiremo presi dai dubbi, dalla paura, dallo scoraggiamento, ci sembrerà che le vie di Dio non siano così ben regolate come ci apparivano fuori del deserto.
Ma tutto questo ha lo scopo di rafforzare la nostra fede. “Il tuo vestito non ti si è logorato addosso e il tuo piede non s’è gonfiato”, poté dire Dio ad Israele (Deut. 8:4). Solo dopo il deserto viene la potenza (Luca 4:14). Dio cerca uomini a cui dare potenza e, per questo, deve condurli nel deserto. Chi vuole servire Dio deve essere pronto ad affrontarlo!
- Fedeltà. “Le cose che hai udite da me in presenza di molti testimoni, affidale a uomini fedeli …” (2° Tim. 2:2). Molti guardano al carisma, nella scelta dei servitori di Dio. Fu anche l’errore di Samuele, quando stava per ungere Eliab: era rimasto colpito dalla sua prestanza fisica. Ma Dio lo corresse: “Samuele, tu, come ogni uomo, tendi a guardare all’esteriorità, ma io guardo al cuore” (1° Sam. 16:7).
Talento e carisma sono relativi ed insufficienti. Tanti uomini pieni di “carisma” hanno distrutto, smembrandola, la Chiesa del Signore. Dio cerca uomini fedeli! Il mercenario fugge davanti al pericolo, abbandonando il gregge (Giov. 10:13), ma un uomo fedele resterà sotto il carico di Dio anche nei momenti duri. Se vuoi essere chiamato da Dio, prima di sforzarti di crescere o di mostrare il dono che è in te, coltiva la fedeltà. Sii fedele a chi Dio ha stabilito in autorità sopra di te, servilo, e Dio ti onorerà come onorò Eliseo, Giosuè, Timoteo e tanti altri uomini fedeli.
Servo!
“Che ministero hai?” “Ah, io sono un dottore. E tu?’ Beh, forse sono un pastore… ma anche con un taglio evangelistico… e, sì, ho anche una certa sensibilità profetica… Senza contare poi che, secondo qualcuno, ho la sapienza di un apostolo …” Stiamo toccando un problema molto attuale ai giorni nostri, un problema che anche il Signore si è trovato ad affrontare con i suoi discepoli. “Di che discorrevate per via?”. Stavano discutendo, probabilmente litigando, su chi fosse il più grande (Mc. 9:33).
Al tempo opportuno, il Signore spiegò cosa intendesse Lui per ministero: “… si alzò da tavola, depose le sue vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse. Poi mise dell’acqua in un catino, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli … e disse loro: «capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri»” (Giov. 13:45,12-14).
“Servo”! Ecco che cosa significa “ministro”. Se desideri entrare nel ministero, sappi questo: è una chiamata a servire, a lavare i piedi sporchi, non a sedere a tavola e ad essere serviti! Oggi la parola “ministro” è diventato sinonimo di “eccellenza”, “onorevole”. E questo atteggiamento tenta di entrare anche nella chiesa. Ma Dio ci chiama a servire.
“I principi delle nazioni le signoreggiano … Ma non è così tra voi; anzi, chiunque vorrà essere grande tra voi, sarà vostro servitore” (Mat. 20:25-26). “Chiunque vorrà essere grande …” È bello! Dio non ci vuole deboli, ripiegati su noi stessi a batterci il petto e a ripetere: “Sono un verme, una nullità, non valgo niente …” Egli vuole che miriamo a diventare grandi, addirittura a raggiungere “la perfetta statura di Cristo” (Ef. 4:13). “Se uno aspira all’ufficio di vescovo – scrive Paolo – desidera un’opera buona” (l° Tim. 3:1).
Non è sbagliato aspirare a diventare un ministro; ma devi capire che c’è un prezzo da pagare, che non si tratta di mettersi più in alto, ma di mettersi invece “sotto” e caricarsi del “peso” degli altri. Spesso veniamo ingannati dalle apparenze: credo che tutti, da bambini, guardando un generale durante una parata militare, abbiamo desiderato diventare come lui. Perché? Siamo stati abbagliati dal palco d’onore, dal suono delle fanfare, dal fatto che tutti, sfilando, si voltavano verso di lui e gli rendevano onore. Ci hanno abbagliato le medaglie appuntate sulla divisa… ma nessuno ha potuto vedere le cicatrici che aveva sul petto, sotto le medaglie.
Chiunque tu sia, che preghi per essere chiamato, sappi che ti stai candidando per un lavoro duro. “Paolo, servo di cristo Gesù, chiamato ad essere apostolo” (Rom. 1:1). Se non realizzi di essere prima un servo, non potrai essere un apostolo né un pastore né un diacono, non potrai nemmeno suonare nel gruppo musicale o pulire il pavimento della chiesa. Dio rifiuterà il tuo servizio. “Paolo, servo …”, non “Paolo, apostolo”. Egli l’aveva capito! E noi?
Scegliere
Molti vogliono servire, ma pochi riescono a farlo. Non è strano. È duro servire. La nostra tendenza naturale ci porta a desiderare di essere serviti. Per riuscire a servire, dobbiamo aver scelto Dio a discapito di ogni altra cosa: della nostra famiglia, della nostra immagine, della nostra stessa vita. “Questo parlare è duro”, protestarono contro Gesù, e presero a ritirarsi (Giov. 6:60). Non avevano scelto. Erano stati attirati dai miracoli … così come molti, oggi, sono attirati dal pulpito, senza vedere quello c’è dietro, “sotto le medaglie”.
Meditate su queste parole: “Figli miei, per i quali sono di nuovo in doglie …”, “Egli vedrà il frutto del tormento della sua anima …”, “Desidero che sappiate quale arduo combattimento sostengo per voi …”, “Sono assillato ogni giorno dalle preoccupazioni che mi vengono da tutte le chiese …” (Gal. 4:19; Is. 53:11; Col. 2:1; 2° Cor. 11:28).
Doglie, tormento dell’anima, combattimento, preoccupazioni. Sono parole che ci rivelano cosa c’è “dietro” il pulpito. Mentre continui a chiedere a Dio di usarti nella Sua casa, rifletti anche su queste cose, affinché tu non sia trovato impreparato dalle difficoltà e non debba lasciare il tuo lavoro a metà. Il nostro Maestro ha detto: “chi di voi, infatti, volendo edificare una torre, non si siede prima a calcolare la spesa per vedere se ha da poterla finire? Perché non succeda che, quando ne abbia posto le fondamenta e non la possa finire, tutti quelli che la vedranno prendano a beffarsi di lui, dicendo: «Quest’uomo ha cominciato a costruire e non ha potuto terminare …» così dunque ognuno di voi, che non rinunzia a tutto quello che ha, non può essere mio discepolo” (Luca 14:28-30, 33).
Più che mai, la messe è grande e gli operai sono pochi. Dio sta per mandare il risveglio sulla nostra nazione e c’è bisogno di evangelisti, pastori, apostoli, profeti, dottori. C’è spazio per tutti. Continua dunque a gridare a Dio perché ti conceda il privilegio di servirlo nel Suo campo; ma sii anche pronto a pagarne il prezzo, a correre la tua staffetta fino in fondo per essere trovato fedele e ricevere anche tu, come tanti altri prima di noi, “la corona della vita”.