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di Geoffrey Allen
Parlare di “ecumenismo”, almeno in certi ambienti cristiani, significa invitare confusione e malintesi.
Per alcuni, questa parola suggerisce la grande speranza del cristianesimo odierno, la possibilità di vincere finalmente lo scandalo delle divisioni secolari della cristianità. Per altri, una tentazione diabolica all’ambiguità e al compromesso. Per altri ancora, una pericolosa trappola per mezzo della quale la “Grande meretrice babilonese” vuole corrompere e distruggere la “vera” Chiesa. Per altri è diventata addirittura sinonimo del dialogo interreligioso, cioè degli scambi di vedute tra cristiani, musulmani, buddisti, eccetera.
E probabilmente ciascuna di queste interpretazioni contiene un elemento di verità. Infatti non esiste un solo ecumenismo, ma molti. Il sociologo della religione Massimo Introvigne, per esempio, ne distingue almeno quattro diversi.
È urgente, dunque, fare chiarezza e cercare di definire a quale “ecumenismo” ci riferiamo quando facciamo uso di una parola così controversa.
Radici
La parola “ecumenismo” viene dal greco oikoumene (a sua volta derivata da oikos, “casa”), che significa semplicemente “il mondo abitato”, “tutti i luoghi dove vivono gli esseri umani”. In campo religioso, fu usata dapprima in riferimento ai “Concili ecumenici” (cioè “mondiali” o “universali”) della Chiesa, convocati anticamente per discutere e risolvere questioni di dottrina o di prassi che riguardano tutte le chiese locali; il modello di tali concili fu quello di Gerusalemme, raccontato in Atti capitolo 15. Prima dello scisma tra chiesa occidentale e quelle orientali, gli storici del cristianesimo ne contano sette: da quello di Gerusalemme, appunto, fino a quello di Nicea (325 d.C.) convocato per affrontare e risolvere la questione dell’arianesimo.
La stessa parola fu applicata successivamente al patriarca di Costantinopoli, intitolato polemicamente “Patriarca ecumenico”, cioè “mondiale”, probabilmente per … reazione alle pretese del vescovo di Roma di essere “vescovo katholikos”, cioè “universale”!
L’ecumenismo moderno
Pare che il primo a usare la parola ‘ecumenico’ nel senso moderno sia stato il conte von Zinzendorf (1700-1760), il leader carismatico dei “Fratelli moravi”, un movimento di risveglio, di preghiera e di evangelizzazione mondiale che fioriva nell’Europa centrale. Zinzendorf (poi ordinato vescovo nella Chiesa Luterana) fu un uomo di grande visione che si pose, fra gli altri obiettivi, anche quello di promuovere l’unità fra tutti i cristiani in vista di evangelizzare il mondo.
Il moderno movimento “ecumenico” nacque, poi, dalla International Missionary Conference (Edimburgo, 1910). La grande espansione delle missioni estere in tutto il mondo durante i secoli XVIII e XIX aveva portato alla conversione di molti “pagani” al Vangelo; ma, essendo la maggior parte dei missionari inviati da organizzazioni denominazionali, avevano naturalmente esportato nel “terzo mondo”, insieme con il Vangelo, anche le loro organizzazioni denominazionali. In Cina, per esempio, avevano fondato chiese presbiteriane, anglicane, metodiste, congregazionaliste, luterane, e via dicendo (spesso con tanto di paramenti, liturgie ed edifici in stile gotico!). Non solo, ma c’era la missione luterana tedesca, quella svedese, quella finlandese, quella americana, e così via, che spesso organizzavano ognuna la propria chiesa!
Questa confusione portò i cristiani più attenti a rendersi sempre più conto dell’ostacolo che tante divisioni rappresentavano per la missione della Chiesa. Si riunirono dunque per cercare di coordinare gli sforzi e di abbattere le barriere.
Da questa conferenza nacque un movimento che mirava ad affrontare le differenze dottrinali tra le varie chiese in vista del recupero dell’unità perduta. Da una riunione preliminare nel 1920 venne la prima “Conferenza Mondiale sulla Fede e sull’Ordine”, tenuta a Losanna nel 1927 con la partecipazione di rappresentanti di molte chiese protestanti e di alcuni delegati delle Chiese Ortodosse (i Cattolici Romani, all’epoca – siccome sostenevano ancora di rappresentare l’unica vera chiesa – naturalmente non parteciparono). Alla seconda conferenza, tenutasi ad Edimburgo nel 1937, fu proposta la formazione di un “Consiglio Ecumenico delle Chiese” (o, come suona in inglese, “Consiglio Mondiale delle Chiese”, con esattamente lo stesso significato), il quale fu inaugurato nel 1948, con sede permanente a Ginevra.
Bisogna riconoscere il fatto che, da un punto di vista evangelico-biblico, nel frattempo la maggior parte delle chiese protestanti – proprio quelle che si impegnavano maggiormente nel CEC – sono state devastate dal modernismo teologico che ha snaturato il vangelo, e che di conseguenza il CEC è scaduto dagli obiettivi originali, diventando un organismo che negli ultimi decenni ha perseguito obiettivi soprattutto sociali e politici (la promozione umana e una maggiore giustizia economica e sociale). Questo fatto ha creato in molti evangelici un sospetto e un’avversione nei confronti del termine “ecumenismo” .
Ma è anche vero che essi si sono adoperati per formare organismi alternativi, quali le varie “Alleanze Evangeliche” e il “Congresso di Losanna per l’Evangelizzazione Mondiale”, per promuovere quelli che erano stati gli obiettivi originali del movimento ecumenico.
L’ecumenismo è dunque una ‘invenzione’ protestante (ed è giusto che sia così, visto che le chiese protestanti sono quelle più frazionate …!) Dal 1961 anche alcune chiese pentecostali partecipano al CEC, e dal 1968 – dopo che il Concilio Vaticano II aveva prodotto un nuovo atteggiamento da parte cattolica verso le altre chiese, riconoscendo i loro membri ora come “fratelli separati”, anziché “eretici” e “scismatici” – la Chiesa di Roma vi manda degli “osservatori partecipanti”, anche se non ha ancora deciso di aderirvi pienamente (il che vorrebbe dire mettere in discussione la sua ecclesiologia).
Che cosa non è
Prima di andare oltre, sarà utile definire alcune cose che l’ecumenismo non è.
- Non è da confondersi con il dialogo interreligioso. Con “dialogo interreligioso”, ci riferiamo alle discussioni tra rappresentanti di diverse religioni, ad es. tra cristiani e musulmani, buddisti o induisti. I cristiani possono legittimamente avere, e di fatto hanno, opinioni diverse sul valore di questo tipo di discussione (e qui non possiamo entrare nel merito della questione). Ma è importante fare una netta distinzione (come in effetti fa il Vaticano, affidando le questioni a due diverse Commissioni) fra questo tipo di dialogo e quello ecumenico, che è invece quello che ha luogo tra cristiani di diverse confessioni o tra rappresentanti di diverse chiese cristiane.
E questo ci porta subito a uno dei nodi più importanti nel dibattito sull’ecumenismo. Perché ora si tratta di definire chi è da considerare cristiano, e quali “chiese” o “confessioni” sono da considerarsi autentiche chiese. E su questo non siamo tutti d’accordo. Certamente non lo sono cattolici ed evangelici, ma neanche tutti gli evangelici sono d’accordo tra di loro. Anzi, a dire il vero, la questione non è di facile soluzione. Per quanto si provi, non è mai stato possibile – neanche ai tempi del Nuovo Testamento – far coincidere perfettamente i confini della chiesa visibile con quelli della “vera” chiesa composta dei “primogeniti che sono scritti nei cieli”. Anche allora c’erano “falsi fratelli” e “lupi rapaci” travestiti da pecore. Ma su questo tema ritorneremo.
- Non sempre mira all’obiettivo dell’unità istituzionale. Per quanto alcuni cattolici poco informati possano pensarlo, e alcuni evangelici sospettare, l’ecumenismo non è un meccanismo o un tranello (a seconda dei punti di vista!) per far tornare tutti sotto Roma. Anzi, siccome coinvolge anche chiese (quelle Ortodosse) che non hanno mai riconosciuto il preteso primato di Roma, un simile obiettivo non sarebbe assolutamente realistico.
- Non è un esercizio nel compromesso. O almeno, quando lo è stato, si è sempre rivelato fallimentare. Alcuni anni fa in Inghilterra si è tentato di realizzare una fusione tra la Chiesa Anglicana e quella Metodista, basata su formule ambigue che ognuno poteva interpretare in maniera diversa e contraddittoria. Lo schema è stato giustamente bocciato. Un ecumenismo che va a scapito della verità, che cerca l’unità sulla base di un “minimo denominatore comune”, oppure in cui ognuno sacrifica delle convinzioni che comunque rimangono tali, non ha senso dalla prospettiva biblica. E certamente non ci porta più vicino alla realizzazione del desiderio di Gesù e il Padre che “siano uno come noi siamo uno … perfetti nell’unità …” (Gv. 17:21-23).
- Non significa dire: “La dottrina non ha nessuna importanza, vogliamoci bene e non parliamo delle differenze”. Il cristianesimo autentico dà, e deve dare, grandissima importanza alla verità. Tuttavia, ne dà almeno altrettanta all’amore. Là dove si sottolinea l’uno a spese dell’altro (e storicamente è stato certamente l’amore ad essere più spesso accantonato!), tradisce la propria natura. Dobbiamo volerci bene e parlare delle nostre differenze, “dicendo la verità nell’amore”. Equilibrio, questo, possibile solo per la grazia di Dio!
Piuttosto, un ecumenismo serio richiede che ognuno sia pronto a mettersi in discussione, ad ascoltare l’altro e soprattutto la Parola di Dio, per imparare e per riformare tutto ciò che si rivela deviato o deteriorato rispetto al modello più autentico di cristianesimo.
Diversi ecumenismi
Detto questo, esistono tante forme e livelli di attività ecumenica.
- Dialogo teologico. Da anni sono in corso, sia a livello “locale” (cioè solitamente nazionale), sia a livello internazionale, discussioni approfondite tra teologi e specialisti di varie chiese sui più diversi aspetti della dottrina e della pratica religiosa. Mentre alcuni credenti disprezzano questo approccio, personalmente lo ritengo indispensabile: storicamente le chiese si sono divise (e continuano ancora oggi a dividersi) per divergenze dottrinali (seppure spesso queste siano più il pretesto che non la vera causa della divisione), e se mai dovranno tornare insieme, sarà necessario risolvere i nodi dottrinali.
Per esempio, dal 1972 è in corso un dialogo teologico internazionale tra rappresentanti della Chiesa Cattolica Romana e un gruppo di teologi e leaders di varie chiese pentecostali (i quali vi partecipano a titolo personale, ma ovviamente con la conoscenza e consenso delle loro chiese). Lo scopo è quello di conoscere reciprocamente il pensiero teologico e di esplorare le aree di convergenza (ne sono emerse alcune sorprendenti!) e di divergenza.
Ancora, è in fase di stesura finale una Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione tra la Federazione Luterana Mondiale e la Chiesa Cattolica Romana, frutto di 25 anni di dialogo teologico, in cui queste due chiese sono arrivate a una comprensione comune di questa dottrina basilare e in cui gran parte del contenzioso che fu alla base delle reciproche scomuniche al tempo di Lutero viene risolta e rimossa.
Ho citato qui degli esempi in cui è coinvolta la Chiesa Cattolica, perché riguardano da vicino la situazione italiana. Ma esistono molte altre iniziative del genere tra rappresentanti delle svariate chiese protestanti ed evangeliche.
Personalmente ritengo importantissimi questi dialoghi e credo che dobbiamo sostenerli con le nostre preghiere, perché hanno un ruolo indispensabile nel processo di riavvicinamento tra chiese in rottura tra di loro.
- La ricerca dell’unità istituzionale. Mi riferisco ai progetti di fusione organizzativa tra denominazioni: per esempio in Italia c’è stata, anni fa, l’unità tra due rami della Chiesa Metodista, e in tempi più recenti quella tra Metodisti e Valdesi. Bisogna ammettere che spesso tali iniziative sono dettate non solo dal desiderio di unità, ma anche dall’esigenza di unire le forze di due denominazioni ormai deboli e in declino. Ma non bisogna disprezzare tali tentativi, anche se talvolta sono segnati dall’indifferenza alle questioni dottrinali oppure dal compromesso. Se la Chiesa dovrà in futuro tornare ad essere una sola, avrà pure bisogno di qualche forma organizzativa. Ma l’unità va ricercata da una posizione di forza e non di debolezza, sulla base dell’unità di cuore e non meramente formale.
- Il cosiddetto “ecumenismo dello Spirito” o “ecumenismo di base”. È questa la forma che sicuramente interessa più da vicino la maggior parte di noi, e che ha vissuto una grande espansione negli ultimi anni. È soprattutto frutto del ravvivamento della vita spirituale dei credenti. “Le anatre che vivevano su tanti stagni diversi – ha detto qualcuno – quando il fiume è in piena si ritrovano a nuotare tutte insieme”. Vivificati dallo Spirito, viviamo una nuova consapevolezza della nostra natura di figli di Dio, e di riflesso ci riconosciamo fratelli, anche di quelli che hanno dottrine o tradizioni diverse dalle nostre.
Infatti l’ “ecumenismo dello Spirito” ci conduce a riconoscere come veri cristiani altri che, al di là delle differenze dottrinali, vivono riconciliati con Dio attraverso il pentimento e un’autentica fede personale in Cristo, l’unico Salvatore. La fede che salva è fiducia personale in Gesù, prima che ortodossia dottrinale. “Tu credi che c’è un solo Dio, e fai bene; anche i demoni lo credono e tremano” (Giac. 2:19).
Dio, a quanto sembra, dà molto meno importanza alle convinzioni dottrinali di quanto non tendiamo a fare noi; e meno male, perché se fosse salvato solo chi è in possesso di tutta la verità, chi di noi si salverebbe? “Non siate in molti a far da maestri, sapendo che ne subiremo un più severo giudizio, poiché manchiamo tutti in molte cose. Se uno non sbaglia nel parlare è un uomo perfetto …”, dice l’apostolo Giacomo (3:1). E Paolo aggiunge: “Se qualcuno pensa di conoscere qualcosa, non sa ancora come si deve conoscere; ma se qualcuno ama Dio, è conosciuto [o, ‘riconosciuto’] da lui” (1° Cor. 8:2-3).
Scopriamo così di poter pregare e lodare Dio insieme. (Almeno questo!) Una caratteristica dell’’ecumenismo dello Spirito’ è stata proprio questa: che cristiani provenienti da diverse tradizioni, con diverse teologie e strutture ecclesiastiche, possono pregare e adorare il loro Dio insieme. Forse non tutti ci siamo accorti che quando Gesù ci ha insegnato a pregare, le prime parole della preghiera che ha dato sono: “Padre nostro …” non “Padre mio …”: non è una preghiera a uso personale, ma la preghiera della Chiesa. Ci avviciniamo a Dio nel modo giusto quando lo facciamo come famiglia, quando viviamo in buoni rapporti con i nostri fratelli; perché “chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto” (1° Gv. 4:20). Gesù ci ha dato delle promesse particolari per l’efficacia delle nostre preghiere quando le offriamo nell’unità e nell’armonia di spirito (Mt. 18:19-20).
Il secondo passo è che, scoprendoci ‘fratelli’, possiamo imparare anche ad essere amici. Nella nostra esperienza di movimento di spiritualità, abbiamo fatto esperienza della fondamentale importanza, per l’unità della chiesa, dei rapporti fraterni. La chiesa si costruisce con i rapporti. Ora, quello che è vero della chiesa locale vale anche della costruzione dell’unità tra i cristiani. “Ecco, quant’è buono e quant’è piacevole che i fratelli vivano insieme!” – esclama il Salmista. Non “che i fratelli vadano a trovarsi ogni tanto per far vedere che fanno ecumenismo”! “… Là infatti il Signore ha ordinato che sia la benedizione, la vita in eterno” (Sal. 133).
Certo, in molti casi questo è un cammino da intraprendere prima all’interno delle nostre chiese, dei nostri gruppi di preghiera, delle nostre comunità. Perché a Dio non interessa un’unità meramente formale, ossia che apparteniamo tutti alla stessa organizzazione. Vuole che viviamo riconciliati, prima con Lui, e poi con i nostri fratelli.
E ciò è possibile solo per mezzo dello Spirito, il frutto della cui presenza nella nostra vita è “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo …” Richiede la morte del nostro egoismo, il “vecchio uomo” che produce “inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invidie …” (vv.20-21).
Dovremo imparare ad “accogliere chi è debole nella fede, ma non per giudicare le sue opinioni” (Rom. 14:1, vers. Nuova Diodati). Se infatti il dibattito teologico è indispensabile a livello degli “addetti ai lavori” delle varie chiese, la stessa cosa non è vero a livello dei credenti ordinari. Sì, abbiamo bisogno di conoscere le opinioni e le convinzioni dei nostri fratelli, possiamo e dobbiamo parlarne, ma non per sindacare né tanto meno per lanciare anatemi! “Chi sei tu che giudichi il domestico altrui? Se sta in piedi o se cade è cosa che riguarda il suo padrone; ma egli sarà tenuto in piedi, perché il Signore è potente da farlo stare in piedi” (Rom. 14:4).
Alleati per il Regno
Oltre questo punto sarà difficile andare senza il consenso e pieno coinvolgimento dei nostri leaders (e, notoriamente, le “pecore” hanno meno difficoltà ad andare d’accordo dei “pastori”!). Ma quando si soddisfa questa condizione, sarà possibile andare oltre per fare delle cose insieme. Che cosa?
Una volta rinsaldati i rapporti personali e creato un clima di reciproca fiducia, potremo agire insieme su questioni di interesse comune. C’è per esempio tutto un campo di attività sociale, in genere molto trascurato da noi evangelici, in cui non abbiamo nessuna difficoltà ad agire insieme con il mondo cattolico. Quale problema c’è a collaborare insieme in difesa della vita e dei diritti umani? A Buenos Aires abbiamo saputo di una collaborazione in atto tra cattolici, evangelici ed ebrei a favore dei diritti degli handicappati. Non è forse questo un modo di amare il nostro prossimo, e nello stesso tempo di sviluppare la nostra amicizia come fratelli in Cristo?
Possiamo anche agire insieme senza problemi su alcuni campi spirituali. In diverse parti d’Italia, per esempio, i cattolici cominciano a mobilitarsi (meglio tardi che mai, qualcuno dirà!) per avvertire la gente contro il pericolo e l’inganno di maghi, indovini e praticanti delle arti occulte. Quale problema ci può essere nell’unire le forze su questi temi?
Più problematico, ma forse in alcune circostanze possibile, sarà evangelizzare insieme. Sui grandi temi dell’incarnazione, della morte e della resurrezione del Signore Gesù Cristo siamo d’accordo: perché non possiamo testimoniarlo insieme? Il problema è quello stesso che tante volte ha provocato problemi e litigi tra gli stessi evangelici quando si è tentato di evangelizzare insieme: che cosa diciamo a chi si converte? Dove lo indirizziamo? Se non siamo tranquilli sulla cura spirituale che riceverà nell’ “altra” comunità, sarà meglio aspettare il momento in cui il nostro rapporto di reciproca fiducia non arriverà a questo punto.
Proselitismo
E questo ci conduce a un nodo delicato che tante volte frena il contatto ecumenico. Mi riferisco al timore che gli altri ci possano “rubare le pecore”.
Ma – a ben vedere – le persone non sono pecore che ognuno può portare via a piacere: sono esseri umani, liberi di scegliere dove andare (anche se non sempre, è vero, con grande saggezza). A ragione, dunque, ha detto qualcuno che “la migliore difesa contro i rubapecore è di coltivare bene il pascolo”. Se le “pecore” sono ben curate e nutrite e si sentono al sicuro, difficilmente riuscirà a qualcuno di “rubarle”! E se no, forse sarà meglio (visto che non appartengono a noi, ma al Signore) che se le prenda qualcuno in grado di occuparsene …
E viceversa, se riconosciamo il gruppo o la chiesa degli altri come un ambiente in cui è possibile essere autenticamente cristiani – anche se con tanti errori e deviazioni di dottrina e di pratica – è evidente che dobbiamo astenerci dagli sforzi di rubare le pecore degli altri! Ci sono intorno a noi milioni di persone che non conoscono Cristo e che non mettono mai piede in una chiesa di qualsivoglia genere; non importa se “battezzati”, sono comunque pagani! Andiamo ad evangelizzare quelli, e non cerchiamo di prendere le pecore di altri pastori!
E se dovessimo trovare, nell’ “altro” ambiente, qualcuno che non sembra aver conosciuto Cristo personalmente, il nostro sforzo deve essere teso a portarlo a Cristo, e non nella nostra chiesa. Certi evangelici sembrano sostenere una dottrina che la Chiesa Cattolica ha da tempo abbandonato: extra ecclesiam nulla salus, cioè “fuori dalla [mia] chiesa non c’è la salvezza”! Troppe volte la nostra “evangelizzazione” consiste in uno sforzo di portare le persone nella nostra chiesa. Non è questo il Vangelo … E viceversa, certi cattolici sembrano pensare (anche se non lo dicono) che lo scopo dell’ecumenismo sia quello di riportare tutti nella “vera” chiesa … Tutto questo ha un nome: se chiama proselitismo, non certo “evangelizzazione” e neanche “ecumenismo”!
Il contatto ecumenico, abbiamo detto, implica che dobbiamo conoscere dottrine e usanze dei fratelli dell’ “altra” comunità; se non altro, per non offenderli e scandalizzarli senza volerlo. E questo comporta un rischio: che qualcuno, conoscendo questa nuova realtà, possa convincersi che “l’erba è più verde dall’altra parte del recinto” e decidere, di sua spontanea volontà, di voler cambiare “ovile”. È un rischio che bisogna affrontare con serenità: se la salvezza non dipende dall’appartenenza alla nostra realtà, possiamo anche permettere a qualcuno di lasciarla, purché per un’altra realtà autenticamente cristiana. Bisognerà affrontare la questione con chiarezza ma in maniera pacifica tra pastori, rispettando la fondamentale libertà di scelta delle persone che, ripeto, non sono nostra proprietà personale, ma appartengono al Signore.
Perché ricercare l’unità?
In conclusione, voglio elencare alcune ragioni perché è importante la ricerca dell’unità tra i cristiani.
- Perché piace a Dio. Prima di andare alla croce, Gesù ci ha dato un “nuovo comandamento”: “che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri” (Gv. 13:34). E abbiamo già visto come è là dove i fratelli dimorano insieme nella pace e nell’armonia che Dio ha “ordinato che sia la benedizione” (Sal. 133).
- Perché è la testimonianza più efficace della verità del cristianesimo. Nel brano appena citato, Gesù prosegue dicendo: “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri”. E nella “preghiera sacerdotale” della stessa serata, Egli chiede al Padre “che siano tutti uno … affinché il mondo creda che tu mi hai mandato … siano perfetti nell’unità, affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato” (Gv. 13:35, 17:21,23). Il mondo può anche restare scettico e indifferente davanti ai miracoli, ma c’è un miracolo che non può ignorare: quando cristiani di diverse tradizioni, con tutte le loro differenze di dottrina e di prassi, si amano e riescono ciò nonostante ad andare d’accordo. Allora vedremo veramente un risveglio che toccherà il cuore dell’Italia!
- Perché abbiamo bisogno gli uni degli altri. Il Signore ci ha costituiti membra di un unico Corpo – a questo scopo siamo stati battezzati nello stesso Spirito! – sicché “l’occhio non può dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né il capo può dire ai piedi: «Non ho bisogno di voi»” (1° Cor. 12:21). Possiamo anche considerare i membri di un’altra chiesa come una specie inferiore di cristiani(!), ma il Signore ha voluto disporre le cose in modo tale che “non giungessimo alla perfezione senza di loro”. Ma no, al contrario, saremo arricchiti dai loro doni naturali e spirituali e dalle ricchezze della loro tradizione, e così insieme daremo gloria al nostro Signore Gesù Cristo.