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di Giovanni Traettino
E’ possibile che il neo-pacifismo cattolico sia figlio dell’amillenarismo maturo di Giovanni Paolo II? E che la “materna” equidistanza osservata dalla Chiesa Romana per la guerra del Golfo, sia il risultato di una visione del futuro e di una concezione del Regno che vede nella storia il terreno fondamentale della risoluzione dei conflitti tra il bene e il male, e affida alla Chiesa il governo dei processi ideali, politici e sociali che promuovono e introducono “la pienezza”?
Forse non è un caso che proprio in quei giorni il Papa abbia avvertito il bisogno di riaffermare la condanna del millenarismo tout court (!), senza preposizioni o aggettivi. A nuora perché suocera intenda?
In questo contesto sarebbe comunque interessante capire quale sia stato il contributo dell’amillenarismo cattolico e protestante (specie europeo) alla formazione di quella parte dei ceti dirigenti e dell’opinione pubblica tiepidamente favorevole o del tutto contraria alla guerra e comunque sensibile alle ragioni del Terzo Mondo.
Ed è d’altra parte possibile che la posizione dei governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna sul Medio Oriente sia in qualche modo fortemente condizionata dai gruppi di pressione dispensazionalisti e dalla loro nota posizione sulla ricostruzione dello Stato d’Israele?
Qual è stato il contributo dei “dispensazionalismo” anglo-americano alla formazione di un’opinione pubblica di massa anti-araba e pro-israeliana?
Molti predicatori e media evangelici americani parlavano in quei giorni di quella che Saddam Hussein aveva definito “la madre di tutte le battaglie”, come della possibile Harmagheddon!
Il vecchio poeta latino diceva: “Felice chi può conoscere la causa delle cose”.
La guerra dei Golfo è stata un test interessante di più cose. Ma a me sembra che per noi cristiani, è stata una verifica sul campo di come diverse “teologie del futuro” (escatologie) possano produrre differenti sensibilità umane e politiche e di come, date certe premesse teologiche, le implicazioni e le conseguenze pratiche possano essere insospettate e sorprendenti per tutti noi.
Dunque, l’escatologia non è ininfluente ai fini dell’interpretazione del nostro ruolo di credenti nel presente e della costruzione del futuro.
Premesse escatologiche differenti possono implicare e produrre opinioni, sensibilità, atteggiamenti e comportamenti diversi nelle aree seguenti:
- Natura e concezione dei Regno e della Chiesa;
- Rapporto tra Chiesa e mondo (storia – cultura – società – stato);
- Rapporto tra Chiesa e Israele: la natura e l’identità del vero Israele.
Tra il già e il non ancora
Tutto il Nuovo Testamento è attraversato dalla spasmodica attesa del Ritorno di Cristo.
La Chiesa di Gerusalemme è profondamente plasmata da questa attesa. La concezione stessa che Paolo ha del ministero, del matrimonio, dei celibato e del destino finale della Chiesa e dell’universo, è profondamente condizionata dalla prospettiva escatologica. Paolo è un “uomo escatologico”. E tuttavia è lo stesso Paolo che deve arginare la fuga dalla storia e dalla vita che rischia di prodursi in comunità come quella di Tessalonica.
Pietro invece deve preoccuparsi di richiamare di nuovo l’attenzione dei suoi lettori sulla Parusia, esortandoli non solo ad “aspettare” ma anche ad “affrettare” la venuta del giorno di Dio (2° Pt. 3), senza però tralasciare di ricordare che per il Signore mille anni (questi mille anni!) sono come un giorno, e viceversa.
Questa tensione nel vissuto è la tensione che sembra tenere insieme, quasi in rapporto dialettico, le diverse affermazioni neotestamentarie relative al Regno e al Ritorno di Cristo. Arduo è fare sintesi dottrinale con una teologia che tenti di sciogliere in modo univoco e unilaterale queste tensioni.
A tutt’oggi mi pare che la formula del Cullmann rimanga la migliore: tra il già e il non ancora.
La stessa tensione attraversa tutta la storia della Chiesa. Tra gli estremisti millenaristi e rivoluzionari di movimenti come il montanismo del secondo secolo, Gioacchino da Fiore nel Medio Evo e l’anabattismo di Munster da una parte, e l’amillenarismo più o meno pacificato di Agostino e dei grosso della teologia cattolica e riformata dall’altro.
Tra i due estremi ci sono varie posizioni, sfumature e possibilità difficilmente riducibili ad unità.
Perché questo numero?
Da più anni siamo stati oggetti dell’attenzione non sempre benevola e informata (siamo stati anche confusi con i “Ricostruzionisti”!!) di documenti di ambiente evangelico e pentecostale, i cui autori mettevano al centro delle loro accuse la nostra concezione del Regno e la nostra escatologia.
Il riflesso dispensazionalista
Un dispensazionalismo dai tratti intolleranti ed estremisti (grazie a Dio, ci sono anche fratelli con stile umano e sensibilità teologica diversa) era il pregiudizio comune agli autori di quei documenti.
E questo riflesso di dispensazionalismo estremista è stato spesso all’origine degli attacchi che sono stati rivolti non solo a noi, ma a quanti altri avessero “opinioni” diverse in materia.
Tutti gli evangelical italiani siamo cresciuti in un’atmosfera influenzata dal premillenarismo dispensazionalista. Lo abbiamo spesso assorbito in modo acritico e inconsapevole. Forse anche perché era la “linea” più vocale ed “evangelistica” nel nostro paese.
Ma l’aggressività, la virulenza e il settarismo perfino di certi suoi esponenti, che giunge fino al punto di considerare “eretici” tutti gli altri, è eccessiva e fuori luogo. Soprattutto quando si considera che questa linea, pur essendo oggi maggioritaria tra gli evangelical italiani, non è, né è mai stata maggioritaria tra gli studiosi e le chiese riformate ed evangeliche. E certamente è la più recente (solo 150 anni) tra le scuole di escatologia della storia del cristianesimo.
Infatti nella Chiesa dei primi tre secoli (in particolare con Ireneo, Tertulliano, i montanisti, e altri) prevale il premillenarismo “storico” (non dispensazionalista).
Successivamente, a partire da Agostino, per tutto il Medio Evo, attraverso la Riforma e fino all’età moderna, prevale l’amillenarismo. La Riforma protestante (Lutero, Melantone, Calvino, Zwingli, Knox) è tutta amillenarista. Chiaramente diversi movimenti ereticali del Medio Evo furono millenaristi. E millenaristi furono diversi anabattisti e seguaci della Riforma radicale. Ma bisognerà aspettare Irving e poi Darby per arrivare all’elaborazione del premillenarismo dispensazionalista.
Ora, noi rifiutiamo l’escatologia come terreno di scontro tra i credenti e tra le chiese, e crediamo che sia non solo possibile, ma necessario avviare anche nel nostro paese una riflessione e un dibattito che consentano un dialogo – anche forte, se necessario, ma aperto e costruttivo – tra le varie scuole, correnti di pensiero e sensibilità presenti tra i credenti biblici.
Certamente l’escatologia è un’area della dottrina per la quale vale la messa in guardia dell’apostolo Paolo: “Perché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto” (1 ° Cor. 13:12).
Ci sono stati nel passato e ci sono ancora oggi esponenti seri e biblicamente sani di ogni scuola escatologica nel mondo cristiano ed evangelico.
Ed è interessante che ripensamenti e altre linee siano presenti e prendano sempre più corpo tra gli evangelical italiani.
Nello stesso ambiente della “Chiesa dei Fratelli” – uno dei capisaldi dei “dispensazionalismo” in Italia – la rivista Credere e comprendere ha avviato una riflessione molto interessante sul tema, e apprendiamo che ci sono “focolai” non dispensazionalisti sempre più in crescita, anche se minoritari, all’interno di quel movimento.
Lo stato del dibattito
Abbiamo in questo numero voluto dare un primo contributo al dibattito, mettendo a confronto nello stesso “foro” le maggiori posizioni presenti nel mondo evangelico italiano. Questo fatto è già da solo segno di grande novità: uomini diversi e di diversa estrazione che accettano di dialogare, esponendo ognuno le proprie ragioni.
La nostra posizione
Nonostante le accuse che ci sono state rivolte, come squadra non abbiamo una posizione dottrinale comune in escatologia. L’uno è premillenarista, l’altro è amillenarista. Ma tutti siamo aperti l’uno all’altro per ascoltarne le ragioni. Personalmente ho una posizione aperta e a tutt’oggi non definita. Ma credo di aver acquisito alcuni criteri utili per la ricerca personale e collettiva:
- Rispetto per la correttezza e l’onestà “ermeneutica” delle varie scuole. Personalmente per esempio ritengo che l’ermeneutica degli amillenaristi non sia meno rispettosa del metodo “storico-grammaticale” di quanto lo sia l’utilizzo che ne fanno premillenaristi storici o dispensazionalisti.
- Considerazione del contesto politico-sociale e religioso nel quale vive la Chiesa. La persecuzione o la condizione di minoranza sembrano incoraggiare le posizioni premillenariste piuttosto che quelle amillenariste. Il rischio è che la marginalità storica, sociale e culturale delle comunità produca una psicologia da “ghetto” e una teologia della fuga.
- Necessità di una dialettica, con un dibattito libero e aperto, senza anatemi, tra le varie posizioni, per coglierne le ragioni.
- Rispetto umano e fraterno. Consapevolezza dell’importanza di costruire insieme nel presente guardando al futuro della Chiesa, che sarà “comune” anche se sono diverse le nostre visioni del futuro.
- Valutazione delle diverse posizioni in base alle implicazioni, al frutto e al riflesso che esse hanno per la vita del credente e della Chiesa.
Tutto questo alla luce della vita, del clima spirituale e dell’insegnamento complessivi del Nuovo Testamento.
Cosa abbiamo in comune come squadra?
- Una escatologia vittoriosa: un futuro di vittoria per la Chiesa.
- La Chiesa, vero Israele.
- Il Regno di Dio già qui ora, anche se non ancora manifestato nella sua “pienezza”.
- Ritorno fisico e visibile di Cristo.