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di Peter Kreeft e Ronald Tacelli
La fede è più che soltanto credere. Possiamo credere tante cose: che la Juventus batterà la Roma, che il Presidente del Consiglio non sia un delinquente, che la Norvegia è bella. Ma non siamo pronti a morire per queste convinzioni, né possiamo viverle ogni giorno della nostra vita. La fede religiosa, invece, è qualcosa per cui morire e da vivere in ogni momento. È molto più che credere e molto più forte, sebbene “credere” sia una parte o un aspetto di essa.
Possiamo distinguere almeno quattro aspetti o dimensioni della fede religiosa. Elencati in una gerarchia, dal meno al più importante, e dal meno al più interiore – cioè, derivati da aspetti sempre più centrali dell’essere umano – essi sono: A. la fede emotiva; B. la fede intellettuale; C. la fede volitiva; D. la fede del cuore.
- La fede emotiva è un sentimento di sicurezza o di fiducia in una persona. Essa include la speranza (che è molto più forte di un semplice desiderio) e la pace (che è molto più forte della semplice serenità).
- La fede intellettuale è credere alle dottrine della fede. È più forte della fede emotiva in quanto è più stabile e immutabile, come un’àncora: la mia mente può credere anche mentre i miei sentimenti sono turbati. È però qualcosa che si mantiene fermamente, diversa da una mera opinione. La vecchia definizione della fede era: “quell’atto dell’intelletto, spinto dalla volontà, per cui crediamo tutto ciò che Dio ha rivelato sulla base dell’autorità di Colui che l’ha rivelato”. È questo aspetto della fede che viene formulato in proposizioni e riassunto nei Credi.
- La fede volitiva è un atto della volontà, un impegno a ubbidire alla volontà di Dio. Questo tipo di fede è fedeltà. Essa si manifesta nei comportamenti, cioè nelle buone opere. Allo stesso modo in cui al centro della fede emotiva è una speranza che è più profonda di un desiderio, e al centro della fede intellettuale una convinzione che è più profonda di un’opinione, così al centro della fede volitiva è un amore che è più profondo di un semplice sentimento. La radice di questo tipo di fede – la volontà – è infatti quella facoltà o potere dell’anima che si avvicina maggiormente alla radice e centro pre-funzionale chiamato “cuore” (vedi D).
L’intelletto è l’ufficiale di rotta dell’anima, ma la volontà è il suo capitano. La volontà può ordinare all’intelletto di pensare, ma l’intelletto non può ordinare alla volontà di volere: può solo informarla, così come l’ufficiale informa il capitano. Tuttavia, la volontà non può costringerti a credere: non può obbligare l’intelletto a credere ciò che gli appare falso né a rigettare ciò che gli sembra vero. La fede intellettuale è ciò che accade quando uno decide di essere onesto e di mettere la propria mente al servizio della verità.
- La fede del cuore nasce appunto in quel centro nascosto e misterioso del nostro essere che le Scritture chiamano “il cuore”. “Cuore”, nella Bibbia (come anche nei Padri della Chiesa, e specialmente in Agostino), non si riferisce ai sentimenti o alle emozioni, ma al centro stesso dell’anima, come il cuore fisico è al centro del corpo. Il cuore è il luogo dove Dio lo Spirito Santo opera in noi. Non si tratta di una specie di “oggetto” interiore, come invece sono le emozioni, l’intelletto e la volontà, poiché il cuore è la personalità stessa, l’Io, il soggetto, la persona alla quale appartengono emozioni, intelletto e volontà.
“Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa – ci esorta Salomone – poiché da esso provengono le sorgenti della vita” (Prov. 4:23). Col cuore operiamo la nostra “scelta fondamentale” di dire a Dio “sì” oppure “no”, determinando così la nostra identità e destino eterno.
La controversia sulla fede e le opere che fece scattare la Riforma protestante fu dovuta in gran parte a un equivoco riguardo alla parola “fede”. Se usiamo questa parola alla maniera della teologia cattolica – vedi la definizione data al punto B sopra, presa dal vecchio catechismo di Baltimora – o come la usa Paolo in 1° Corinzi 13: se, cioè, intendiamo la fede intellettuale – allora la fede da sola non è sufficiente per la salvezza: infatti “anche i demoni lo credono e tremano” (Giac. 2:19). Alla fede è necessario aggiungere la speranza e, soprattutto, l’amore (1° Cor. 13).
Se invece usiamo la parola “fede” come la usava Lutero e come la usa Paolo nelle epistole ai Romani e ai Galati – cioè, come la fede del cuore – allora si tratta certamente di una fede che salva. È sufficiente per salvare, poiché produce necessariamente le buone opere dell’amore, esattamente come un buon albero fa necessariamente buoni frutti. Su questo Protestanti e Cattolici sono d’accordo. Più di un decennio fa il Papa ha detto questo ai vescovi luterani della Germania, ed essi rimasero meravigliati e pieni e gioia. Le due chiese emanarono pubblicamente una “Dichiarazione Congiunta sulla Dottrina della Giustificazione”, un’affermazione del loro accordo. Protestanti e Cattolici non hanno due religioni fondamentalmente diverse, due vie diverse alla salvezza. Esistono delle differenze reali ed importanti, ma questa questione centrale non ne fa parte.
Adattato, per gentile concessione, dal Handbook of Christian Apologetics di Peter Kreeft e Ronald Tacelli, © 1994.
Tale volume è in se stesso un interessante segno ecumenico in quanto i due autori, cattolici, sono professori di filosofia presso un’università cattolica statunitense, mentre il loro libro è stato pubblicato dalla casa editrice evangelica InterVarsity Press.