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di Giovanni Traettino
L’apostolo è il ministero fondamentale della Chiesa neotestamentaria. Non a caso l’unico libro storico del Nuovo Testamento è intitolato “Atti degli Apostoli”. Agli apostoli, infatti, è legato lo sviluppo della chiesa primitiva: sono la chiave che dà unità alle vicende narrate, quelli intorno ai quali si genera movimento e vita, i catalizzatori degli altri ministeri.
I Dodici e gli altri
I “Dodici” occupano una posizione unica ed irripetibile, come testimoni oculari della vita di Cristo, garanti della fedeltà al Suo insegnamento e proclamatori del messaggio che avevano visto incarnato e praticato da Lui. La Chiesa che verrà dopo dovrà misurare ogni rivelazione e ogni insegnamento con la “pietra di paragone” del messaggio trasmesso dai Dodici, così come ci è provvidenzialmente conservato nel Nuovo Testamento.
Ma dopo di loro e a fianco a loro, Dio ha dato alla Chiesa, dopo l’Ascensione, altri apostoli (Efesini 4:11-15, 1° Corinzi 12:28), dei quali Paolo è il capostipite e il campione. Con il suo ministero e la sua rivendicazione all’apostolato, egli dimostra storicamente e convalida teologicamente la continuazione del ministero apostolico nella Chiesa.
Con lui il ministero apostolico viene confermato come una necessità non solo fondamentale, ma anche permanente, perché la vita e il governo di Dio trovino piena espressione nella Chiesa “… fino a che tutti giungiamo all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo…” (Efesini 4:13).
Come abbiamo fatto senza di loro?
La risposta è che, in realtà, non sono mai stati assenti dalla Chiesa. Ogni generazione di credenti ha avuto i suoi apostoli. Sono stati, a volte, chiamati con altri nomi (vescovi, teologi, dottori, missionari, pastori, riformatori, ecc.); ma erano in mezzo al popolo dei credenti per dare forma alla volontà di Dio per la loro generazione.
Oggi, comunque, va crescendo tra i cristiani l’esigenza di recuperare in modo definito e visibile anche la figura e il ruolo dell’apostolo. È più facile costruire bene la casa quando sono chiaramente individuati i mestieri e le funzioni. Costruiamo meglio se lo facciamo secondo il modello divino, quando cioè i metodi e gli strumenti sono quelli indicati dalla Parola di Dio.
Chi sceglie gli apostoli?
La permanenza di un autentico ministero apostolico nella Chiesa non può essere né biblicamente fondata né di fatto garantita, come vorrebbe la tradizione cattolico-romana, col metodo della “successione apostolica”. Piuttosto è il Cristo risorto ed asceso alla destra del Padre che in ogni generazione suscita nella Chiesa i Suoi ministri. È Lui che li abilita, con la Sua scelta e la Sua chiamata al ministero. Sono doni che Egli continua a fare agli uomini (Efesini 4:8).
Il ministero degli apostoli, dunque, trova la sua origine nella libera e sovrana scelta di Dio (2° Corinzi 1:1), il quale decide di chiamare loro, e non altri, a svolgere questo lavoro. Non c’è nessuna scuola per apostoli!
Il loro carattere sarà profondamente segnato dalla chiamata rivolta ad essi dal loro Signore. Questa chiamata è accompagnata da una profonda esperienza della grazia e della misericordia di Dio: non solo la grazia della salvezza, ma grazia per il ministero:
E, nel crogiuolo di quest’intimo incontro con Gesù Risorto, ha luogo la rivelazione o le rivelazioni che saranno poi tutt’uno con la personalità dell’apostolo. La grazia, la necessità di essere rotto dentro, la paternità e il cuore di Dio, la natura della figliolanza e la sottomissione, la natura e la missione della Chiesa, lo zelo per la Sua Casa da restaurare… Queste rivelazioni divengono l’incarico che brucia nella vita dell’apostolo. Questo diventa il suo mandato.
L’apostolo è un servo che ha ricevuto “non da parte di uomini né per mezzo di un uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio padre” (Galati 1:1) un incarico da portare a termine. Questo è il contenuto della sua predicazione e la materia della delega in base alla quale deve agire. L’autorità (exousia) conferitagli è in stretto rapporto al mandato che deve portare a compimento e di cui deve rendere conto a Dio.
Questo mandato ha di solito dei confini di spazio e di tempo. Nell’arco della sua vita, egli deve fare in un certo territorio e/o con certe persone la sua parte del lavoro necessario per introdurre il futuro della Chiesa.
Come possiamo riconoscerli?
- L’apostolo è un uomo sicuro. Ha risolto il problema della sua identità essenzialmente nella chiamata, nella grazia e nel proposito di Dio per la sua vita. Egli è consapevole del deposito che Dio gli ha affidato.
“Dio infatti ci ha dato uno spirito non di timidezza, ma di forza, d’amore e di saggezza (gr. autodisciplina)… Soffri anche tu per il vangelo, sorretto dalla potenza di Dio. Egli ci ha salvati e ci ha rivolto una santa chiamata, non a motivo delle nostre opere, ma a motivo del suo progetto di salvezza e della grazia che ci è stata fatta in Cristo Gesù… So in chi ho creduto, e sono convinto che egli ha il potere di custodire il mio deposito… custodisci il buon deposito per mezzo dello Spirito Santo che abita in noi”. “Dio, che m’aveva prescelto fin dal seno di mia madre e m’ha chiamato mediante la sua grazia…” (2° Timoteo 1:7-9,12,14, Galati 1:15). - La sicurezza, comunque, non produce in lui indipendenza, né invadenza ed aggressività. L’apostolo, infatti, è un uomo di relazioni. A tre anni da Damasco, Paolo va a stare quindici giorni con Pietro (Galati 1:18). E dopo 14 anni di ministero intenso, ritorna ancora dagli apostoli più ragguardevoli – Giacomo, Cefa e Giovanni – per esporre loro i contenuti della sua predicazione e per ricevere la conferma e l’approvazione che lo rassicurino di non aver corso invano (Galati 2:2).
Tale interdipendenza è indice di un certo elemento di insicurezza, vitale per il Corpo di Cristo perché consente alla ricchezza e al deposito dell’uno di travasarsi nella vita e nel ministero dell’altro. L’apostolo ha imparato a sedersi ai piedi dei suoi fratelli per ricevere il contributo del loro ministero; ed ha anche l’umiltà di ricevere da loro la correzione e il rimprovero, quando è necessario (Galati 2:11-16, cfr. 2° Pietro 3:15).
Egli sa dunque avere rapporti “alla pari”: non e un uomo appiattito su rapporti “verticali”. Il timore, la paura – generatori di chiusura e di isolamento – non controllano le sue amicizie e le sue reazioni. - Liberato dalla paura della sottomissione, egli è un uomo che esprime la paternità e il cuore di Dio. È attrezzato così per comunicare vita, identità e sicurezza, non solo agli individui (semplici credenti o ministri), ma ad intere comunità.
La base sulla quale egli interagisce con la chiesa è organica, non formale e ufficiale. Quello che fa, quello che costruisce, dipende da quello che egli è. Bisogna perciò stare attenti a non cercare di “farsi” apostoli. Possiamo essere solo noi stessi, quello che Dio ci ha chiamati ad essere e a fare. Niente di più, niente di meno.
È anche un catalizzatore di uomini, ma soprattutto di ministri. In Romani 16, c’è un elenco di venti persone che trovarono probabilmente il loro ministero tramite il rapporto con Paolo. - L’apostolo è un uomo posseduto dal desiderio dell’unità – cioè, dei giusti rapporti – tra i credenti, ma soprattutto tra i ministri (di cui comprende il ruolo strategico) e tra le chiese locali. Egli ha compreso che l’essenza della Chiesa è nei rapporti.
- È un uomo di rivelazione. Paolo parla del “mistero… che ora, per mezzo dello Spirito, è stato rivelato ai santi apostoli e profeti di Lui…” (Efesini 3:4-5, cfr. anche 1° Corinzi 2:6-10 e Galati 1:12). E al centro della sua rivelazione è la Chiesa.
Egli ha la capacità di discernere la realtà delle situazioni e di smascherare gli spiriti all’opera. - Con la rivelazione dei misteri di Dio, l’apostolo ha ricevuto anche la capacità di amministrarli. È uno stratega, che sa prendere le decisioni particolari alla luce di una strategia generale e sa vedere i problemi dalla prospettiva delle loro possibili implicazioni per tutta l’opera di Dio.
- Egli è stato afferrato dal progetto di Dio e brama ardentemente attuarlo nel tempo e nello spazio che Dio gli ha ritagliato. Per questo è tenace e insistente. Un tratto caratteristico della sua personalità è quello di non considerare il suo bene personale (2° Corinzi 4:8-12, Atti 20:24). Anzi, egli sa di essere chiamato a pagare un prezzo elevato in termini di dolore e di sofferenze (2° Corinzi 4:6, 11:16, 12:10; Filippesi 3:10; Galati 6:17; 1° Timoteo 3:3) per portare a termine il suo incarico.
- È un uomo con una profonda consapevolezza della chiamata e del mandato che c’è sulla sua vita, e che mira a:
- presentare ogni uomo, e quindi tutto il Corpo, maturo in Cristo;
- rendere stabile la chiesa, estenderla e proiettarla oltre i confini locali;
- scoprire e formare servitori per la costruzione della chiesa.
Nel fare queste cose, egli si muove con l’autorità spirituale che nasce dalla chiamata e dall’incarico ricevuto. Si tratta di autorità spirituale, non di dominio sulle persone o di autoritarismo.
- È un uomo di governo e un costruttore.
- Sa dare e mantenere la rotta, rimanendo nello stesso tempo flessibile.
- È teso a far funzionare tutta la chiesa come Corpo, facendo fruttare i doni di ogni membro e mantenendo efficienti le “giunture e articolazioni”, cioè i rapporti funzionali tra loro.
- Ha una mentalità strategica perché è un uomo di visione. È quindi un iniziatore, un uomo di frontiera.
- Tuttavia, non si riposa nel solo possesso della visione, ma sente l’esigenza di tracciare, costruire e percorrere la “strada” che ha visto (e che, magari, il profeta ha indicato). Ne disegna i confini, sia spirituali che materiali, traducendo in realtà concrete e visibili il progetto che ha visto nella sfera dell’invisibile. Dà quindi forma e struttura alla Chiesa.
- Verifica e conferma (e talvolta fa saltare!) le realtà esistenti.
- Sente continuamente l’esigenza di trovare una giusta sintesi tra le tendenze opposte, di mantenere in equilibrio le “tensioni dinamiche” del Vangelo. Dà quindi integrazione e completezza alla chiesa.
Cosa fa un apostolo?
- Egli lavora insieme ad altri ministri in un rapporto di squadra: non è un lupo solitario o un cane sciolto. Non vediamo mai Paolo viaggiare da solo: è sempre circondato da altri uomini, alcuni già formati, altri in formazione. Alla fine della sua vita, in 2° Timoteo 4, dà notizie e disposizioni riguardanti non meno di dieci stretti collaboratori.
La struttura della squadra rimane comunque aperta e flessibile, in relazione agli obiettivi specifici da raggiungere. - In generale, l’apostolo lavora in rapporto stretto con un profeta. “La sapienza di Dio ha detto: «lo manderà loro dei profeti e degli apostoli…»” (Luca 11:49). “Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti…” (Efesini 2:20). Il fondamento di ogni chiesa, e di tutti gli altri ministeri – quello che dà all’edificio stabilità e solidità – sta nel rapporto con questi due ministeri.
- Esercita la sua funzione di governo nei confronti degli altri ministeri con un cuore di padre e di fratello maggiore. Basta leggere la corrispondenza di Paolo con Timoteo per rendersene conto.
- Costruisce e coordina i rapporti tra i diversi ministeri. Lavora per la riconciliazione e l’unità dei leaders cristiani. Ha un profondo senso del loro bisogno reciproco.
- Individua, sceglie ed ordina gli anziani delle chiese locali ed altri ministri (Atti 14:23, 1° Timoteo 3:2-13, 5:22, Tito 1:5-9). Il metodo della “elezione democratica” dei ministri da parte dei credenti non trova giustificazione biblica (la traduzione della Riveduta di Atti 14:23, “fatti eleggere… degli anziani”, non riflette il testo greco, ma fu determinata soprattutto da un pregiudizio ecclesiologico dei traduttori). Questo metodo si rivela spesso dannoso per la chiesa: finisce che sono le “pecore” a governare, condizionando i “pastori”, che non osano più prendere posizioni e decisioni impopolari.
- Costruisce e coordina i rapporti tra le chiese locali. Gli apostoli sono l’“anello di congiunzione” che può creare l’unità tra le diverse comunità locali, senza che si debba ricorrere alle strutture formali e burocratiche tipiche delle “denominazioni”.
- Costruisce praticamente la chiesa, seguendo il progetto dato da Dio (Ebrei 8:5). Il profeta vede questo progetto; l’apostolo, invece, ha ricevuto da Dio la saggezza per realizzarlo nel concreto, coinvolgendo tutti i ministri e tutta la chiesa.
Egli costruisce così una struttura stabile e duratura, secondo il modello divino, che comprende un ordine o “gerarchia” di funzioni (1° Corinzi 12:27-28). Queste servono però per portare a compimento l’obiettivo, non per avere o per regalare uno “status”. - Nel suo ministero, manifesta prevalentemente uno o più degli altri doni maggiori (profeta, pastore, evangelista, insegnante). Infatti, mentre il profeta profetizza e l’insegnante insegna, non esiste un verbo “apostolare”! Possiamo vedere nelle Scritture questa diversità: Paolo è un insegnante-profeta, Pietro un evangelista-pastore. Ma l’apostolo ha ricevuto da Dio un’unzione maggiore che gli consente di mettere mano a qualsiasi lavoro (vedi 2° Timoteo 4:2,5), e di sorvegliare e coordinare il lavoro degli altri ministri.
- Alcuni apostoli sono prevalentemente residenti, altri itineranti. Questo anche in rapporto alle diverse esigenze storiche e alle diverse chiamate. Per esempio, vediamo nel N.T. Giacomo residente fisso a Gerusalemme, Paolo itinerante, e Pietro a periodi alterni fisso ed itinerante (Atti 9:32; Galati 1:18, 2:9; 1° Corinzi 1:12, 9:5; 1° Pietro 5:1). Similmente, nella storia della Chiesa, vediamo un Calvino residente tutta una vita a Ginevra, un Wesley, invece, sempre in movimento.
Un apostolo può dunque presiedere una chiesa locale. Ma non tutti quelli che lo fanno, sono apostoli! - Desidera travasare il “deposito” che ha ricevuto da Dio nel cuore dei ministri e dei credenti che lo circondano (2° Timoteo 1:13-14, 2:2, 3:14).
- Gioisce di poter comunicare e ricostruire le cose non comprese prima (Efesini 3:2-7, Colossesi 1:25-29).
- Ha la capacità di sopportare croce e vituperio per la gioia gli è posta davanti (1° Corinzi 4:9-13, 2° Corinzi 11:23, 12:12, Colossesi 1:24, ecc.).
- Sa distinguere l’essenziale dall’accessorio, e gestire il presente nella prospettiva del futuro ancora da realizzare; ha quindi presente gli obiettivi piuttosto che le attività.
- Sa delegare responsabilità agli altri (Tito 1:5).
Come lavora col profeta?
Ci sono diverse aree di sovrapposizione tra apostolo e profeta. Diventa ancora più difficile distinguerli quando l’apostolo ha un “taglio” prevalentemente profetico. Ma il profeta vede spesso le cose più in controluce; la sua visione è spesso più nitida e chiara. Il profeta è più ispiratore, l’apostolo più costruttore, preso da una visione globale del piano di Dio per la Chiesa. Sono due ministeri che si completano e si arricchiscono a vicenda.
Trappole che l’apostolo deve evitare
L’apostolo deve evitare di rimanere intrappolato nei dettagli amministrativi e pastorali, cose di cui devono occuparsi i diaconi (Atti 6:2-4) e gli anziani. Ci sono, è vero, periodi in cui deve darsi al pastorato: Paolo si descrive come “nutrice” (1° Tessalonicesi 2:7), Pietro come un “anziano” (1° Pietro 5:1); ma solo in situazioni dove gli anziani non siano stati ancora appropriatamente stabiliti. Allora dovrà dare una “spinta” alla chiesa, fino a quando non sarà possibile stabilire gli anziani; dopo di che, farà da padre agli anziani, pur conservando sempre la libertà di accedere alla vita degli altri credenti.
Deve anche evitare di dedicare il suo tempo a persone che devono essere invece lasciate a cercare Dio; e di sentirsi obbligato a visitare una chiesa o un territorio per il solo motivo che vi manca da molto tempo.
Così, egli sarà libero di compiere il lavoro al quale Dio lo ha chiamato: quello di essere un “esperto architetto” e “capomastro” della Casa di Dio, quella che “edificata sul fondamento degli apostoli e dei profeti… si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore… per servire come dimora di Dio per mezzo dello Spirito” (Efesini 2:20-22).