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di Peter S. Williamson
Per comprendere ciò che la Bibbia dice della cura pastorale, è utile considerare il lavoro del pastore mediorientale: in fondo, la parola “pastore” deriva dalla cura delle pecore. È anche utile sapere qualcosa dei sacerdoti, profeti, re, rabbini e capi-sinagoga che in vari modi hanno contribuito a formare il concetto neotestamentario degli anziani delle comunità cristiane.
Ma è altrettanto utile affrontare il discorso da un’altra prospettiva, chiedendosi quali idee di leadership abbiamo già presenti quando leggiamo la Scrittura. Dalla nostra esperienza quotidiana, infatti, tutti noi abbiamo delle idee sulla leadership che influenzano la nostra lettura della Bibbia. Esaminare questi modelli contemporanei ci aiuterà a riconoscerlo quando siamo influenzati da concetti che contrastano con le aspettative di Dio; ma anche a individuare aspetti della leadership da sviluppare meglio nel nostro ministero.
In questo articolo ci concentreremo sui pastori di chiese, quelli che il Nuovo Testamento chiama “anziani” o “presbiteri” (Atti 14:23, 1° Tim. 5:17, Tito 1:5, 1° Pt. 5:1). Ma esso aiuterà chiunque partecipi alla cura pastorale – guidando una cellula o una riunione di preghiera, tenendo uno studio biblico, pregando per le guarigioni, occupandosi dell’amministrazione, ecc. – a comprendere meglio il suo compito. Qualunque sia la parte che avete nella cura pastorale, è bene sapere quali siano le vostre responsabilità.
1. Il ministro della Parola
Spesso il leader pastorale è visto principalmente come uno che predica e insegna la parola di Dio: un esperto biblico e teologico. Questo modello, comune nel protestantesimo, è radicato nelle Scritture: l’espressione “ministro della Parola” deriva da Atti cap. 6, dove gli apostoli definiscono il proprio compito “il ministero della parola”, cioè la predicazione e l’insegnamento. Nelle Epistole Pastorali, una qualifica fondamentale del pastore è “che dispensi rettamente la parola della verità” (2° Tim. 2:15).
Non molti “laici” si vedono in questi termini. Ma chiunque abbia delle responsabilità pastorali farà bene a considerarsi in qualche modo un “ministro della Parola”. Nella misura in cui riuscirà a portare le persone a confrontarsi con la verità, con la potenza e con la sapienza della parola di Dio, vedrà la loro vita trasformarsi.
Tuttavia, il modello di “ministro della Parola”, come solitamente concepito, è incompleto. I pastori devono fare più che solo far capire la parola di Dio, o anche sfidare gli uditori a rispondervi: devono aiutarli a capire in che modo l’insegnamento si applica alla loro vita. Questo implica una cura pastorale personalizzata. Il pastore ha bisogno non soltanto di studiare la parola di Dio, ma anche di conoscere a fondo le situazioni con le quali la gente sta lottando. Ciò richiede un contatto con la loro vita quotidiana.
Nel concetto biblico, il pastore si impegna non solo perché le persone conoscano la verità, ma per il loro bene in ogni area della vita: personale, familiare, sociale e materiale. Ciò è illustrato dallo stesso episodio che portò gli apostoli a parlare di “ministero della parola” (Atti 6): in quanto pastori della chiesa, essi assicuravano che nessuno soffrisse la fame. Per il rapido aumento numerico, divenne loro impossibile continuare a occuparsi personalmente di questa responsabilità, ma continuarono a esprimere la loro cura per il bene materiale dei credenti, delegando il compito ad altri.
2. Il consigliere
Secondo questo modello, il pastore cerca di aiutare le persone a risolvere i loro problemi attraverso i consigli e la preghiera personale.
In effetti, un pastore efficace ha bisogno di molte caratteristiche di un bravo consigliere: deve comprendere le motivazioni delle persone, i loro rapporti personali, le cose che impediscono loro di cambiare. Indubbiamente, c’è bisogno talvolta proprio di questo genere di aiuto.
Ma spesso i membri di chiesa hanno necessità di un aiuto maggiore di quello che Dio può dare attraverso una più profonda comprensione di sé, i buoni consigli e una preghiera personalizzata. E il leader pastorale è nelle condizioni di soddisfare il loro bisogno, contribuendo a formare nella chiesa un ambiente sociale che incoraggi le persone a vivere una vita cristiana.
Supponiamo, per esempio, che un credente non sposato, uomo o donna che sia, venga a chiedere consigli per le proprie lotte e tentazioni sessuali. La preghiera e i consigli potranno aiutare a mettere a fuoco la questione e a prendere le decisioni giuste. Ma che dire se una parte della difficoltà deriva da altri membri della chiesa? Potrà diventare necessario confrontarsi con il loro ambiente sociale. Forse occorre ribadire l’insegnamento biblico sulla purezza sessuale, o sottolinearne alcune implicazioni pratiche. Forse occorre confrontare alcuni individui riguardo ai loro comportamenti inaccettabili. Può darsi che sia una priorità formare un gruppo di singles su basi solide.
La stessa cosa può valere per i giovani, per i genitori o per altre categorie. Il compito del pastore è risolvere – ma anche prevenire – numerosi problemi che renderebbero necessario il counseling, assicurandosi che le dinamiche della chiesa funzionino a favore di tutti i suoi membri.
3. Compassione e cura
Molti pastori si vedono come esperti nel curare le persone ferite: ricerchiamo i sofferenti per dare loro amore e lenire i loro dolori.
E certo, il pastore biblico deve curare i deboli e gli smarriti, chiamando per nome ciascuna delle sue pecore. Nella parabola lascia le 99 pecore per cercare quella perduta (cfr. anche Ezech. 34:4). Esprimere la misericordia di Dio, accogliere le persone, praticare l’ospitalità, comportarsi in modo che le persone sentano che siamo dalla loro parte … tutto questo fa parte del lavoro pastorale.
Ma quando la Scrittura usa il termine “pastore” per chi guida il popolo di Dio, implica più che soltanto mostrare compassione a chi soffre. I pastori guidano e danno direzione al gregge nel suo insieme: così i capi d’Israele vengono chiamati “pastori del popolo” (Ger. 2:8, 10:21, 23:1-3, 25:34-38, Ez. 24). Una parte importante del ruolo pastorale è la disciplina del gregge per conservare l’ordine e correggere i comportamenti sbagliati (considerate le epistole di Paolo). Il modello compassionevole rischia di trascurare il suo dovere di chiamare la gente alla santità e a rendere conto del modo in cui cammina nelle Sue vie. Concentrandosi sulla cura dell’individuo, si rischia di dimenticare l’importanza di portare avanti il gruppo.
E questo modello ha un altro limite: talvolta il pastore si vede come l’unica soluzione alle necessità e ai problemi della gente, anziché condividere il peso con altri. Tra le file degli ex-pastori ci sono molti “soccorritori” distrutti.
4. L’animatore del gruppo
Un animatore aiuta un gruppo di persone a decidere in quale direzione andare, individuando il terreno comune e unendo il gruppo su quella base. Ha la capacità di coinvolgere tutti nel processo decisionale.
Questi sono capacità preziose in un pastore. Un bravo animatore può unire una chiesa non solo nell’accogliere le verità della fede, ma anche nel collaborare in un lavoro comune.
Tuttavia, la leadership è più che soltanto promuovere l’accordo. Un vero leader ha delle convinzioni sulla strada da seguire ed è pronto ad assumersi la responsabilità di portare il popolo verso quella meta. Immaginate se Mosè avesse tentato di condurre gli Israeliti dall’Egitto alla terra promessa con il sistema di cercare il comune accordo ad ogni oasi!
Talvolta i pastori devono dire: “Anche se non ci piace, questa è la parola di Dio: dobbiamo ubbidirGli”, oppure: “Lo so che è scomodo, ma ci siamo presi un impegno, e ora è troppo tardi per tornare indietro”. O ancora: “Il Signore ci ha parlato e bisogna ubbidire”.
I pastori sono investiti di un’autorità che viene da Dio: Lo rappresentano davanti al popolo. Solo quando sono pronti a sottomettersi alla Sua parola e alla Sua direzione e a dire con autorità: “Così ha detto il Signore, ecco la via di Dio” possono condurre il gregge a vivere sotto l’autorità di Dio. I pastori hanno il compito di applicare alla vita della chiesa la volontà di Dio, non il semplice consenso del gruppo.
5. Il manager
Un manager coordina il lavoro di altri, trovando i sistemi adatti per dare ordine alle attività del gruppo. Delega le responsabilità, discerne che cosa ognuno è capace di fare e gli dà la posizione appropriata.
È questa la forma predominante di leadership nel mondo moderno. Sul posto di lavoro, la maggior parte dei laici o sono manager o lavorano sotto manager. I capi dell’industria sono leaders fra i più rispettati, e questa ammirazione trabocca nella visione che si ha per la leadership nella chiesa. Non sarà forse il loro modello più importante, ma molti pastori hanno comunque l’aspirazione di essere buoni manager: essere efficienti, eliminare i debiti, sviluppare programmi ben organizzati. Per alcuni leader laici nella chiesa, il “bravo dirigente” può essere il loro modello principale.
Ci sono in effetti alcuni punti di convergenza tra un buon manager e un buon pastore. Un pastore guida un gruppo di persone per raggiungere certi obiettivi, specialmente nell’evangelizzazione. Deve rispettare le priorità, mantenere l’ordine, delegare, programmare le attività per evitare i conflitti.
Ma il manager e il pastore hanno obiettivi diversi. Il manager cerca di produrre o vendere un prodotto o un servizio. I rapporti armoniosi tra quelli che lavorano per raggiungere l’obiettivo sono desiderabili nella misura in cui aiutano a lavorare bene, ma non sono fine a se stessi.
Favorire l’armonia
Invece, un obiettivo principale del lavoro pastorale è che le persone crescano nell’amore gli uni per gli altri. Questo non è un mezzo ma un fine, una misura del successo. Se una chiesa non cresce nell’amore e nell’unità è “un rame risonante o uno squillante cembalo”, non importa quanto cresca numericamente, quanto siano belli i culti e affollati gli studi biblici.
Da questo derivano alcune differenze pratiche:
- Formare una vita comune significa investire di più nei rapporti tra i membri di quanto sia necessario per vendere un prodotto o un servizio. Incoraggiare la stima e la lealtà, organizzare dei momenti di socializzazione, creare occasioni per la comunicazione, mostrare onore e apprezzamento sono priorità più importanti per un pastore che non per un manager.
- Il pastore ha un’aspettativa più alta per i rapporti personali. Un manager può tollerare che i suoi lavoratori siano ostili o invidiosi gli uni versi gli altri: basta che fanno il loro lavoro e non litigano apertamente. Un pastore, invece, non può accontentarsi che i membri della chiesa vivano dei conflitti fondamentali, perché ciò non corrisponde alle norme per l’amore fraterno stabilite dal Signore. Egli deve perseverare nel cercare rapporti armoniosi.
- Il pastore affronta il suo compito in maniera spirituale. Porta le persone alla presenza di Dio, le nutre della parola di Dio e cerca la guida dello Spirito Santo per sapere cosa fare e come farlo.
- Il pastore è più portato del manager a interessarsi della vita delle persone al di fuori del lavoro. Un manager potrebbe accorgersi che un suo impiegato ha dei problemi personali: sta aumentando di peso, lavora troppe ore per evitare di stare con la famiglia, tradisce la moglie durante i viaggi di affari. Ma se tutto questo non danneggia la sua produttività, difficilmente il manager lo prenderà da parte per parlargliene. Il pastore, invece, lo troverà necessario (anche se poco piacevole!), dal momento che il suo obiettivo non è solo quello di eseguire un lavoro, ma di curare ogni membro e condurlo verso la santità.
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I modelli di leadership fin qui considerati riflettono solo parzialmente il ruolo del pastore. L’ultimo modello che proponiamo è invece il più adeguato e il più stimolante.
6. Il padre di una famiglia
Un padre ha responsabilità per ogni aspetto della vita della famiglia, per il benessere spirituale e materiale dei suoi componenti come individui e come insieme. I pastori della chiesa sono come padri, perché la chiesa è come una famiglia, composta da fratelli e sorelle in Cristo. Di conseguenza, la Scrittura esorta i pastori a trattare i credenti come i membri di una famiglia: “Non riprendere con asprezza l’uomo anziano, ma esortalo come si esorta un padre; i giovani, come fratelli; le donne anziane, come madri; le giovani, come sorelle, in tutta purezza” (1° Tim. 5:1-2).
La paternità è il modello biblico per la cura pastorale. I padri valutano quanto tempo è bene che la famiglia passi insieme e come assicurare che ogni membro abbia un ruolo e dia il proprio contributo; si domandano come fortificare e arricchire la vita comune. Queste sono preoccupazioni che giustamente hanno anche i pastori per la famiglia della chiesa.
Impegno e autorità
Il modello della paternità mette in rilievo la stabilità e l’impegno che devono caratterizzare il rapporto tra il pastore e quelli che cura. È più che un lavoro o la relazione tra un professionista e un cliente.
Come un padre nella propria famiglia, il pastore ha una vera autorità su coloro che guida. Ebrei 13:17 esorta i credenti: “Ubbidite ai vostri conduttori e sottomettetevi a loro”, perché Dio affidato loro autorità. Al pari dei padri, i pastori dovranno rendere conto a Dio di come avranno esercitato la Sua autorità su quelli che Egli ha affidato alla loro cura: il motivo per cui i membri di chiesa devono sottomettersi, prosegue il versetto, è che i pastori “vegliano per la vostra vita come chi deve renderne conto”. Questa è una tremenda responsabilità.
Certo, in ultima analisi ogni credente risponderà a Dio di come gestisce ciò che riceve dal pastore. Ognuno è responsabile delle proprie scelte. I genitori non sono responsabili delle libere scelte dei figli, specialmente quando questi diventano adulti, e così i pastori non sono responsabili delle scelte di quelli che curano. Possono consigliare, correggere, ammonire, incoraggiare e pregare per le persone, ma in fin dei conti questi devono rispondere personalmente.
Limiti
Tuttavia, anche questo paragone ha delle limitazioni importanti come modello della cura pastorale. Normalmente un padre esercita una certa autorità decisionale nella propria famiglia, particolarmente nel rapporto con i figli: a quale ora devono rientrare, se sono obbligati a partecipare a una determinata attività … Il marito esercita autorità anche sulla moglie nelle questioni importanti, per il bene di lei e della famiglia intera. Normalmente marito e moglie raggiungono un accordo nelle questioni importanti, ma se non ci riescono, spetta al marito assumersi la responsabilità di prendere la decisione finale.
Al contrario, i pastori normalmente esercitano autorità decisionale solo per quel che riguarda le attività comuni della chiesa; in questioni di peccato grave per le quali si rende necessario la disciplina; e in casi di emergenza per correggere gravi situazioni di disordine.
Ma, anche se i pastori normalmente non esercitano autorità sulle decisioni personali dei credenti, somigliano a padri in quanto possono dare consigli autorevoli sui vari aspetti della vita dei credenti; consigli che i cristiani devono ponderare molto seriamente, anche quando alla fine decidono di non seguirli.
Dio è fedele!
La visione biblica del pastore è molto elevata, e può incutere timore. Noi che siamo stati chiamati a svolgere questo ruolo dobbiamo prendere sul serio tutto ciò che Dio ci chiama a fare. Ma dobbiamo sempre tener presente la nostra posizione tra Dio e il Suo popolo. In ultima analisi, siamo luogotenenti del Grande Pastore che vive in noi, ma anche nei nostri fratelli, per prendersi cura delle Sue pecore (Ebr. 13:20). Dobbiamo credere alla Sua promessa di attrezzarci di “ogni bene” (v.21): Egli è fedele da darci tutto ciò di cui abbiamo bisogno per avere successo.
Figlio di missionari evangelici in Cina, Peter S. Williamson è stato per molti anni un leader nella comunità “The Word of God” di Ann Arbor, USA e uno dei fondatori della rivista Pastoral Renewal (poi Faith and Renewal), dalla quale è tratto questo articolo (aprile 1998).