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di Ernesto D. Bretscher
“Cos’è la Chiesa?” domandava il pastore ai suoi catechisti. “È l’edificio dove ci si incontra per ascoltare la Sua predica!” rispose un membro novizio, sicuro d’aver dato una gran risposta.
“Nooo!!!” risposero gli altri catechisti, divertiti dal fatto che il loro ingenuo fratello non sapesse ancora cosa fosse una chiesa. “Sono le persone che ascoltano la sua predica!” gli fecero tutti in coro.
Il pastore deluso a sua volta ribatté: “Mi dispiace, non è né l’uno né l’altro!”
Già, la risposta non è scontata. Cos’è la Chiesa? Le risposte che si danno sono le più diverse, ma tutti sono più o meno d’accordo nell’identificare la Chiesa nelle persone che hanno fatto di Gesù il proprio Salvatore e frequentano regolarmente una comunità cristiana. Qualcuno aggiungerà: una comunità EVANGELICA! Qualcun altro: evangelica PENTECOSTALE! Qualcuno che voglia essere ancora più puntiglioso dirà: evangelica, pentecostale con l’esperienza del battesimo nello Spirito Santo! Tuttavia neanche queste risposte soddisfarebbero il nostro sopracitato pastore. Infatti queste caratteristiche non fanno ancora di queste persone la Chiesa del Signore. Forse è lecito chiedersi quanti cristiani sanno oggi, cosa sia veramente la Chiesa.
Sarà bene far parlare la Parola di Dio.
“Ogni cosa Egli ha posto sotto i suoi piedi e lo ha dato per capo supremo alla chiesa” (Efesini 1:22).
“Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete far nulla. Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano” (Giovanni 15:5-6).
“Poiché, come il corpo è uno e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, benché siano molte, formano un solo corpo, così è anche Cristo. Infatti noi tutti abbiamo ricevuto il battesimo di un unico Spirito per formare un unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito. Infatti il corpo non si compone di un membro solo, ma di molte membra” (1° Corinzi 12:12-14).
“Ci son dunque molte membra, ma c’è un unico corpo; l’occhio non può dire alla mano: «Io non ho bisogno di te»; né il capo può dire ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Al contrario, le membra del corpo che sembrano essere le più deboli sono necessarie …” (1° Corinzi 12:20-22).
“… non ci fosse divisione nel corpo, ma le membra avessero la medesima cura le une per le altre” (12:25). “Ora voi siete il corpo di Cristo e membra di esso, ciascuno per parte sua” (12:27).
“Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e tutte le membra non hanno una medesima funzione, così noi, che siamo molti, siamo un solo corpo in Cristo, e, individualmente, siamo membra l’uno dell’altro. Avendo pertanto doni differenti secondo la grazia che ci è stata concessa …” (Romani 12:4-6).
“Siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Efesini 2:10).
I versetti appena trascritti ci descrivono molto bene la sostanza della Chiesa, paragonandola alla vite (radici, tronco, rami, foglie, grappoli), oppure a un corpo umano in cui ogni membro ha un proprio ruolo diverso da quello degli altri. Ogni persona che entra a far parte della Chiesa riceve da Dio una sua funzione specifica. “Avendo pertanto doni differenti secondo la grazia che ci è stata concessa …” (Romani 12:6). Tuttavia nessuno può essere nella Chiesa senza dimorare personalmente in stretta comunione con Gesù Cristo, nostra linfa vitale, senza la quale vi è solo sterilità e morte. “Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; codesti tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano”; in altre parole, non servono più.
Così, una definizione che potremmo dare della Chiesa è la seguente:
È un organismo vivente, costituito da tutte le persone che per la propria fede dimorano in Cristo e svolgono fedelmente una propria funzione al servizio degli altri.
Ma cosa significa dimorare in Cristo? La vite dimora nel terreno stabilmente e da esso trae il suo nutrimento. Gesù ebbe a dire: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in Lui. Come il Padre vivente mi ha mandato e io vivo a motivo del Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli a motivo di me” (Giovanni 6:56-57). Nutrirsi del Signore è cibarsi della Sua essenza, della Sua vita, della Sua natura, del Suo carattere attraverso la Sua Parola, la preghiera e … il servizio.
Il servizio? “Il mio cibo è far la volontà di colui che mi ha mandato e compiere l’opera sua” (Giovanni 4:34). Vale forse la pena ricordare che in natura ogni cellula che si nutre ma non lavora, cioè non consuma le energie immagazzinate, finisce per ammalarsi e morire. Ed è così anche nel Corpo di Cristo. “Io vivo a motivo del Padre” significa: “Io vivo grazie all’aiuto del Padre”, ma anche: “Io vivo per servire il Padre”. Riceviamo per dare, diamo per ricevere. È come dire: ci cibiamo per poter lavorare e lavoriamo per poter mangiare.
Ecco perché la Chiesa non è l’insieme delle persone che frequentano, anche assiduamente, i culti. Purtroppo tante comunità sono fatte essenzialmente da persone che vengono a culti e studi biblici, esattamente come coloro che vanno fedelmente ogni giorno a messa. L’unico effetto positivo di questo tipo di impostazione è quello di alimentare una cultura religiosa che ha forse qualche effetto sull’etica e sui comportamenti delle persone, ma non esprime certo la vita e il carattere di Cristo.
La Chiesa è un organismo vivente che funziona esattamente allo stesso modo del corpo umano, fatto da una varietà infinita di cellule aventi tutte una loro costituzione particolare. Ognuna di esse ha un ruolo da svolgere al servizio di tante altre cellule per formare insieme i tessuti, gli organi, le strutture, le funzioni, eccetera, di un corpo. Nessuna è più dell’altra, ognuna ha bisogno dell’altra. La forza di ogni cellula dipende dalla forza dell’altra. L’infermità o la debolezza di una sola cellula causa a volte guai seri a tutto il corpo.
I principi che reggono le funzioni della Chiesa sono identici. Se fossimo disposti a vedere solo un po’ al di là delle nostre “parrocchie”, scopriremmo quanto siamo necessari e complementari l’uno per l’altro. Troppo spesso identifichiamo il Corpo di Cristo prevalentemente nella nostra denominazione, non riconoscendo che tutti coloro che amano il Signore, anche se con visioni e tradizioni diverse, sono necessari per noi e per il resto del Corpo. “L’occhio non può dire alla mano: Io non ho bisogno di te …” (1° Corinzi 12:21). Anche se non sempre l’occhio può capire o approvare ciò che la mano fa, deve rimanere al suo servizio. Ricordo un fratello che, per sturare la fogna che aveva inondato il nostro locale di culto, vi si calò dentro e con le mani tolse il “tappo” che vi si era formato. Non so quanto i suoi occhi fossero benedetti da questa “visione”. Eppure era necessario che le sue mani svolgessero quell’ingrato servizio, e che i suoi occhi facessero la loro parte.
È urgente, anzi imperativo, che tutti impariamo ad essere grati a Dio per la diversità dei vari movimenti cristiani e, piuttosto che essere scettici e critici nei loro riguardi, cercare di scoprire i loro pregi. È indispensabile che non pretendiamo che gli altri abbiano le stesse nostre vedute o lo stesso modo di porsi davanti alle cose. “Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito?” (1° Corinzi 12:17). Vi sono ancora troppe chiese e denominazioni che, pur rispettando in una certa misura l’identità degli altri, non vogliono avere relazioni con loro. Sembra quasi dicano: “Possiamo farcela benissimo da soli!” Ricordiamolo, l’occhio non può dire alla mano: “Io non ho bisogno di te”.
E la stessa verità va applicata anche sul piano locale. Quante volte capita che non vogliamo aver nulla a che fare con certi fratelli, solo perché non la pensano come noi? Eppure, non possiamo dire: “Non ho bisogno di voi”. Perché la loro diversità è una ricchezza per me, per gli altri, per tutti. Non è sempre facile, ma bisogna imparare ad apprezzare, amare e stimare ogni persona per quello che è. I suoi difetti non possono, non debbono impedirci di amarla, rispettarla e permetterle di servirci o servire gli altri se le attitudini sono sane. “Chi sei tu che giudichi il domestico altrui? Se sta in piedi o se cade è cosa che riguarda il suo padrone; ma egli sarà tenuto in piedi, perché il Signore è potente da farlo stare in piedi” (Romani 14:4). Per cui la seconda definizione che potremmo fare è:
Errore. Il segnalibro non è definito. La Chiesa è un organismo vivente composto da una varietà infinita di funzioni, organi, attività e servizi, non identificabile in alcun movimento o denominazione particolare, in cui tutti hanno bisogno l’uno dell’altro e nessuno può fare a meno dell’altro senza subire una perdita e un danno.
Le funzioni
Abbiamo già stabilito che ognuno ha un suo ruolo all’interno del Corpo. Pertanto nessuno può rimanere all’interno di una realtà comunitaria senza svolgere una funzione specifica. Siamo tutti chiamati al lavoro.
La Chiesa non è un club in cui si va solo per essere ricaricati e benedetti. D’altra parte, non è neanche un organismo informe e disordinato in cui ognuno fa solo quello che “sente”. E questa è la ragione per cui Paolo scrive: “E Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori, poi i miracoli, poi i doni di guarigione, le assistenze, i doni di governo, la diversità di lingue” (1° Corinzi 12:29). Dio è quello che dà gli incarichi, e tra questi incarichi vi sono ministeri di guida, governo e organizzazione che gestiscono e strutturano i vari altri servizi. Ma dopo di questi, in Romani 12 troviamo tutto un elenco di servizi: profezia, ministero, insegnamento, esortazione, liberalità, presidenza, opere di misericordia, assistenza ai bisognosi, ospitalità …
Vi troviamo pure una descrizione dettagliata delle attitudini necessarie perché questi servizi possano funzionare bene e contribuire alla salute e al funzionamento di tutto Corpo di Cristo. Prima di tutto, bisogna distaccarsi dalla mentalità del nostro mondo, in cui tutto quello che si fa, lo si fa per proprio interesse. “Siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, accettevole e perfetta volontà”.
Spesso conosciamo la volontà di Dio e ci adoperiamo per attuarla ma … con le nostre sole capacità umane. Non possiamo perdere di vista che “senza di me non potete far nulla” (Giovanni 15:5). Oggi molto viene fatto, ma ben poche sono le persone che si cibano quotidianamente del Signore. Non c’è da meravigliarsi se, in queste condizioni, la Chiesa del ventesimo secolo è in difficoltà. È inutile illuderci, senza il Signore non riusciremo ad avere: un concetto sobrio di sé, il senso dell’essere solo “parte di”, amore sincero, avversione per il male, ricerca del bene, affetto e rispetto per gli altri, prontezza nel servire, gioia e pazienza nelle difficoltà, perseveranza nella preghiera, disponibilità verso i bisogni altrui, benevolenza, sensibilità agli stati d’animo degli altri, umiltà e assenza di ricerca di “riconoscimenti”, ammaestrabilità, misericordia, autocontrollo … (Romani 12).
Non si richiede che tutte le caratteristiche appena descritte siano perfette, ma bisogna verificare le nostre vere motivazioni. Può infatti accadere che io voglia servire solo perché ritengo di saper fare meglio del fratello, o ancora, perché voglio anch’io i miei spazi, i miei meriti e le mie gratificazioni. Tutte queste attitudini sono segno di immaturità e dovranno essere abbandonate ai piedi del Signore.
Servire
“Io sono fra voi come colui che serve”, diceva Gesù in Luca 22:27, aggiungendo: “Se dunque io, che sono il Signore ed il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Io vi ho dato un esempio affinché facciate come vi ho fatto io” (Giovanni 12:14-15).
“Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, fui straniero e mi accoglieste, fui nudo e mi vestiste, fui ammalato e mi visitaste, fui in prigione e veniste a trovarmi … In verità vi dico che in quanto l’avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me” (Matteo 25:35,36,40).
In queste parole ritroviamo il principio che regge il Corpo di Cristo: tutto quello che facciamo ai nostri fratelli lo facciamo a Gesù Cristo. I versi 42-45 aggiungono pure che tutto quello che non facciamo ai nostri fratelli, pur essendo in grado di farlo, non lo facciamo a Gesù Cristo. Ciò ci mette davanti alle nostre responsabilità. Se il mio servizio è quello di pulire un ammalato non autosufficiente, accompagnare una vecchietta a ritirare la pensione alla posta o semplicemente lavare i pavimenti di una chiesa, un asilo, o la casa di una persona anziana, ecc., io sto servendo non solo una persona ma il Signore. Devo prestare la macchina ad un fratello … non mi piace farlo, sono geloso delle mie cose, ma se realizzo che la sto prestando al Signore, non solo lo farò con gioia, ma gliela darò pulita e con il serbatoio pieno! O no?
Se vogliamo servire nella Chiesa dobbiamo sviluppare questo tipo di mentalità. Tutto quello che faremo per la Chiesa o per le persone del mondo intorno a noi, dovrà essere fatto come servendo il Signore stesso. Il medico servirà i suoi pazienti come se fossero Gesù stesso, e così farà il meccanico, il commerciante, l’insegnante, ecc. Ogni servizio verrà caratterizzato dalla cordialità e dalla qualità: “… non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo. Fate la volontà di Dio di buon animo, servendo con benevolenza, come se serviste il Signore e non gli uomini; sapendo che ognuno, quando abbia fatto qualche bene, ne riceverà la ricompensa dal Signore …” (Efesini 6:6-8).
È così che la Chiesa diventa luce nel mondo: amando il mondo (le persone) che la circonda e servendolo come il Signore stesso. È solo quando le persone intorno a noi sentiranno la qualità di questo servizio che sentiranno la presenza e l’amore che Dio ha per loro.
Il nostro ruolo
Rimane ora solo sapere come fare a scoprire il nostro ruolo, la nostra funzione e il nostro dono. Vi è un principio molto semplice: sii servizievole! Dovunque tu possa essere utile, sii disponibile. E quello che fai, fallo bene, con gioia ed impegno. “Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze” (Ecclesiaste 9:10). È così facendo che scoprirai la tua funzione, i tuoi carismi e doni.
Poi, sii realista: osserva ciò per cui sei particolarmente dotato e tieni presente ciò per cui sei proprio una frana. Concentrati su quanto riesci a fare bene e con gioia, rimanendo comunque disponibile a fare anche ciò che non ti piace, se è necessario. Prega perché il Signore ti faccia capire quale sia il tuo “dono”, cioè lo strumento divino con cui servire la Chiesa e il mondo intorno a te. Se, per esempio, confrontato con persone particolarmente depresse, riesci con le tue parole, i tuoi gesti e le tue preghiere a “rimetterle su”, scoprirai di avere un dono di consolazione. O se senti il desiderio di pregare per persone afflitte da certi malanni, e dopo averlo fatto il Signore le guarisce, allora hai un dono di guarigione. O ancora, se testimoniando della tua fede riesci con facilità a portare le persone ad una scelta per Cristo, forse hai un dono di evangelizzazione.
Ma, qualunque sia il dono che noterai emergere in te, esercitalo sempre e solo per benedire gli altri e mai per tuo vanto personale o perché gli altri vedano che anche tu hai un ministero. Se nel tuo entusiasmo vorrai raccontare ad altri quello che Gesù ha fatto attraverso di te, fallo pure, ma non dire attraverso di chi Egli ha operato. “Altri ti lodi, non la tua bocca!” (Proverbi 27:2). Lascia che siano gli altri a riconoscere i doni che Dio ha messo dentro di te. Se i tuoi “meriti” non vengono notati o riconosciuti dai tuoi fratelli, non te la prendere, dopotutto stai servendo il Signore, ed è da Lui che riceverai la ricompensa.
E se nel corso del tuo servizio emergi con un ministero ben specifico, non ti proporre mai ad uffici di governo, di guida, di predicazione, ecc. Lascia a Dio il compito di scegliere i tempi e i modi, servendosi delle guide riconosciute della comunità in cui operi. E sopratutto, sii leale, fedele e corretto nei riguardi dei responsabili della tua comunità. Non fare mai nulla se non sei assolutamente certo di avere la loro approvazione. E se senti di dover fare qualcosa ma sai pure di non avere la loro approvazione, astieniti in sottomissione, aspettando i tempi del Signore. Dio benedirà sempre l’umiltà e la paziente attesa di uomini e donne leali.
Infine, anche se ogni servizio svolto dai fratelli è “gratis”, non approfittarne. Bisogna rimanere sensibili ai sacrifici, alle rinunce, alle spese che i fratelli potrebbero dover sostenere per servirci, non dimenticando mai di esprimere concretamente il nostro apprezzamento e la nostra gratitudine! E, là dove non è indispensabile scomodare i fratelli, evitiamolo. Non pretendiamo mai il servizio o l’aiuto dei fratelli. Diamo loro sempre la libertà di dirci anche di no. Oggi potrebbe essere no, forse domani sarà sì. Eventuali rifiuti non siano mai motivo di risentimento, piuttosto, sia che possano o meno intervenire, siamo loro sempre grati!
Non feriamo per la nostra leggerezza l’amore e la sensibilità dei nostri fratelli solo perché “ci siamo rimasti male”! Siamo prudenti, sensibili e flessibili, rimanendo grati per il poco o per il molto che essi vorranno fare.
È così che tutto il corpo potrà crescere grazie all’umiltà, all’apprezzamento e alla disponibilità di ogni singola parte. “Da [Cristo] tutto il Corpo, ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto di tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare se stesso nell’amore” (Efesini 4:16).