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di Massimo Loda
Siamo per natura schiavi di leggi e normative. La vita sociale è un intreccio di codici dati per regolamentare il rapporto degli uni con gli altri. Le leggi danno sicurezza. Il metro per stabilire l’inserimento di un individuo nella società è la sua capacità di osservarne le leggi e di adeguarsi ai modelli di vita che essa propone. Chi non ne è capace viene in genere definito come “asociale”.
L’essere umano ha bisogno di una serie di leggi che gli consentano di trovare la sua identità. È molto più facile stabilire un rapporto con delle leggi immutabili nel tempo, piuttosto che con una persona, il cui carattere può riservarci continue sorprese mentre la pratichiamo. Questo è vero anche del nostro rapporto con il Signore. Siamo più preparati mentalmente a basare la nostra vita sulle “regole del cristianesimo” che non sulla persona, Gesù.
Il condizionamento è tale che anche la prima domanda posta a Pietro dai nuovi convertiti alla Pentecoste e dal carceriere di Filippi a Paolo e Sila fu: “Che dobbiamo fare?”. E’ la stessa domanda che ognuno di noi si pone fin dalla conversione. E spesso, troppo spesso le risposte sono una serie di divieti: “non devi più mangiare questo, non devi più indossare quello, non devi frequentare certi luoghi, non devi più fumare, non devi …” eccetera.
Questo è vero soprattutto nelle nazioni storicamente cattoliche. Le nostre comunità sono piene di “protestolici”, cioè di persone che alla formazione mentale cattolica hanno sovrapposto la teologia protestante. La cultura nella quale siamo nati e siamo tuttora immersi continua a condizionare il nostro modo di essere anche quando diventiamo evangelici; quasi che il nostro posto in cielo si debba mantenere “prenotato” con una serie di opere e di comportamenti.
E così, dopo aver cominciato per lo Spirito (che rivela Gesù come Signore e convince della condizione di peccatore), il credente è spinto a voler raggiungere la perfezione attraverso la carne (Gal. 3:3).
Spirito e carne
Ma che cosa è la carne? Sentiamo spesso questa espressione, senza però afferrarne il significato. Vivere secondo la carne significa molto succintamente una vita vissuta per se stessi con se stessi al centro dell’universo. La carnalità è la mentalità egocentrica che troviamo nel mondo esterno, ma che purtroppo è altrettanto presente nella chiesa.
Quanti, per esempio, si offendono se non vengono interpellati per le decisioni della comunità? Quanti si risentono se la richiesta di cantare il loro inno preferito viene bocciata o se viene corretto il loro modo di profetizzare? E ancora, quanti sono coloro che vivono un atteggiamento di rispetto e di sostegno al pastore se viene disciplinato un membro della loro famiglia? La carnalità è nel cuore dell’uomo e non nelle esteriorità, anche se è vero che le cose esteriori manifestano spesso ciò che si è dentro.
“Nessuno vi derubi a suo piacere del vostro premio … affidandosi alle proprie visioni, gonfio di vanità nella sua niente carnale, senza attenersi al Capo da cui tutto il corpo … progredisce nella crescita voluta da Dio. Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché, coane se viveste nel mondo, vi lasciate imporre precetti, quali: non toccare, non assaggiare, non maneggiare … secondo i comandamenti e le dottrine degli uomini? Quelle cose … non hanno alcun valore e servono solo a soddisfare la carne” (Col. 2:18-23).
Notiamo bene: le dottrine degli uomini servono a soddisfare la carne e non hanno alcun valore! Esse diventano alla fine tradizioni. Noi evangelici ci scagliamo con tanto livore contro le tradizioni che la chiesa cattolica ha acquisito nella sua storia plurisecolare, senza renderci conto del fatto che la stessa cosa succede nelle nostre chiese vecchie al massimo cento anni!
Le regole che ci diamo per organizzare la chiesa in un determinato periodo storico-sociale diventano poi tradizioni che si tramandano per generazioni. Le confessioni di fede necessarie per definire la nostra identità in certi momenti della storia diventano gabbie dorate che impediscono il libero fluire della freschezza e della creatività dello Spirito Santo.
Tradizioni
È triste doverlo ammettere, ma la verità è che i modelli tradizionali ci danno sicurezza perché ci consentono di muoverci in un ambito che conosciamo bene. Si dice che “chi lascia la cosa vecchia per la nuova sa ciò che perde, ma non ciò che trova”. L’insicurezza delle cose sconosciute ci blocca e ci insabbia nelle tradizioni.
Cosa dire di fronte a banchi diversi per uomini e donne al culto? Cosa dire di riunioni la cui liturgia si ripete immutabile ogni domenica? O delle polemiche suscitate per anni circa l’abbigliamento e la bigiotteria? Pantaloni per le donne sì o no? (Non si scandalizzi il lettore: questo problema esiste ancora!!). Si possono portare orecchini e collane o è proibito? Un uomo con l’orecchino può dirsi convertito?
Le argomentazioni che vengono sollevate in genere fanno riferimento a citazioni quali: “La donna non si vestirà da uomo, né l’uomo si vestirà da donna poiché chiunque fa tali cose è in abominio all’Eterno” (Deut. 22:5), e ancora: “Il vostro ornamento non sia quello esteriore che consiste nell’intrecciarsi i capelli, nel mettersi addosso gioielli d’oro, nell’indossare belle vesti, ma quello che è intimo e nascosto nel cuore, la purezza incorruttibile di uno spirito dolce e pacifico” (1° Pt. 3:3-6).
Questa è Parola di Dio, nella cui inerranza noi crediamo. Errata è piuttosto la chiave di lettura. Il problema non è il pantalone, ma ciò che c’è dietro al travestitismo. (Peraltro, ai tempi biblici i pantaloni non esistevano neanche per gli uomini!) Il problema non è nelle trecce o nei gioielli, ma è nell’avere uno spirito dolce e pacifico. “Così infatti si ornavano le sante donne che speravano in Dio, restando sottomesse ai loro mariti, come Sara che obbediva ad Abramo”. Quello a cui Dio guarda è l’atteggiamento del nostro cuore.
Infatti, le “sante donne” di un tempo portavano gioielli! Il servo di Abramo, non appena scopri in Rebecca la possibile moglie del figlio del suo signore, le regalò un grosso anello e due braccialetti d’oro (Gen. 24:22) e più tardi oggetti d’oro e d’argento e vestiti (Gen. 24:53).
Il meccanismo che scatta è in genere una reazione; così per respingere certi eccessi che obiettivamente esistono, cadiamo nel legalismo determinando la santità del popolo di Dio non più da quanto il cuore è consacrato, ma da ciò che si vede dall’esterno. Ma ricordate che “voi siete stati chiamati a libertà”!
Libertà …
L’apostolo Paolo afferma: “Dov’è lo Spirito, lì c’è libertà” (2° Cor. 3:17). Dio, alla creazione, donò tutto ad Adamo perché ne fosse il capo. Chi è in Cristo è erede di Dio, erede di tutto ciò che appartiene al Padre. “Crescete, moltiplicate e riempite la terra e rendetevela soggetta e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra. E Dio disse: Ecco, io vi do ogni erba …” (Gen. 1:28-29a).
Il nostro rapporto con ciò che è materiale deve essere da dominatori, non da servi, cioè da persone dominate. Dio ha creato tutte le cose perché noi ne godessimo. Esse devono servire noi e non il contrario. L’equivoco nasce quando non realizziamo la nostra posizione in Cristo, definito nella Scrittura “l’ultimo Adamo”.
Il primo Adamo fu creato libero ma, peccando, cadde nella schiavitù lontano dalla presenza di Dio. Allora ciò di cui godeva prima gratuitamente, dovette conquistarlo con il duro lavoro, guadagnarlo. L’ultimo Adamo, che è Spirito vivificante (1° Cor. 15:45), ha riportato all’uomo la possibilità di tornare alla sua posizione originaria, avendo assunto su di sé il peccato che ci separa da Dio ed avendoci riconciliati con Lui. Il Suo sangue versato al Calvario, purifica da ogni peccato; nella Sua giustizia Egli purifica da ogni iniquità chi vuole camminare nella luce ed avere comunione con Lui (1° Gv. 1:7-9).
“Tutto è puro per quelli che sono puri. Ma per i contaminati e gli increduli niente è puro; anzi, sia la loro mente che la loro coscienza sono impure. Professano di conoscere Dio, e lo rinnegano con i fatti” (Tito 1:15). Chi è puro, chi è stato purificato, non trova ostacoli nelle cose materiali. Di nuovo si pone il problema della differenza fra il fare e l’essere. La purezza è in quello che si è (nel cuore), non in ciò che si maneggia. Non esistono cose sante, abiti santi, danze sacre, giorni sacri. Colui che è santo santifica. Ed allo stesso modo non esistono di per sé cose impure, siano esse feste, cibi legati a ricorrenze particolari, oggetti natalizi o altro. Dannose non sono le cose, ma l’uso che se ne fa. Ed è perciò che la posizione del nostro cuore diventa fondamentale.
L’apostolo Paolo diceva a proposito delle carni sacrificate agli idoli: “Noi sappiano che l’idolo non è nulla nel mondo e che non c’è che un Dio solo… Ora non è un cibo che ci farà graditi a Dio: se non mangiano, non abbiano nulla di meno; e se mangiamo non abbiano nulla di più” (1° Cor. 8:4).
Più avanti nella stessa lettera è spiegato l’atteggiamento che dovremmo avere in tali situazioni: “Ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa è utile; ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa edifica… Mangiate di tutto quello che si vende al mercato, senza fare indagine a motivo di coscienza … Se qualcuno dei non credenti vi invita, e voi volete andarci, mangiate di tutto quello che vi viene posto davanti, senza fare inchieste a motivo di coscienza. Ma se qualcuno vi dice: questa è carne di sacrifici, non ne mangiate per riguardo a colui che vi ha avvertito e per riguardo alla coscienza … non tua, ma di quell’altro” (1° Cor. 10:23-29).
Per chi è in Cristo non c’è niente di impuro. Anche le carni sacrificate agli idoli non influenzano la nostra spiritualità. Non c’è idolatria nel mangiare tali cibi (per il credente è carne qualsiasi perché l’idolo non è niente); siamo stati liberati. La mia coscienza non ne viene intaccata ed io non perdo, né guadagno nulla.
La libertà è un mio diritto (1° Cor. 8:9) nel quale voglio rimanere saldo per non lasciarmi di nuovo porre sotto il giogo della schiavitù (Gal. 5:1). Il ministero di Gesù si è aperto con un manifesto programmatico: evangelizzare i poveri, liberare i prigionieri, ridare la vista ai ciechi, mettere in libertà gli oppressi. La chiesa è sulla terra per continuare ad esercitare il ministero di Gesti. Voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un’occasione per vivere secondo la carne!
… non licenza
Proprio perché siamo stati liberati dall’importanza delle cose materiali, abbiamo in mano il potere di usare o di abusare di tale libertà. Chi è veramente libero non si sente minacciato dalle azioni o dalle opinioni altrui. Paolo, l’apostolo della grazia e della libertà, sapeva far valere i suoi diritti, ma quando questi cozzavano contro gli interessi del Regno di Dio, sapeva rinunciarvi.
Lo stesso Paolo che tuonava contro la circoncisione (Gal. 5:11-12) fece circoncidere Timoteo (Atti 16:3). C’è stato forse ipocrisia in questo? No! c’è stata libertà dai condizionamenti esterni. Paolo poté comportarsi da greco con i greci, da giudeo con i giudei (ed erano due mondi completamente diversi) perché era libero da tutti gli schemi.
Pur sapendo che i rituali non avevano alcun significato, si sottopose alla purificazione e alla rasatura per amore dei giudei che avevano creduto ed erano ancora zelanti della legge (Atti 21:20-24). Pur libero da tutti, si fece servo di tutti perché il suo desiderio era di salvarne ad ogni modo alcuni. Da imitatore di Cristo Gesù – il quale non approfittò della sua libertà di figlio di Dio, anzi di Dio stesso, ma affrontò la morte sulla croce – Paolo sottomise i suoi diritti per non rendere vana l’opera di Dio.
L’importante non è la mia libertà, ma il progresso del Regno di Dio. Perché se, cosciente della libertà della quale io godo, volessi sfruttarla ancora una volta per mio uso e consumo personale, avrei fallito l’obiettivo. Qui entra in gioco il più importante principio del Regno di Dio: la legge dell’amore. Non fate della libertà un’occasione per vivere secondo la carne, ma per mezzo dell’amore servite gli uni agli altri!
“Perché tutta la legge è adempiuta in quest’unica parola: Ama il prossimo tuo come te stesso” (Gal. 5:13-14).
Sia qui che nella lettura di 1° Cor. 10:23-24 viene data grande enfasi al rapporto con la chiesa. “Ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa è utile … non ogni cosa edifica. Nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma ciascuno cerchi quello dell’altro”. Ed ancora: “Io so e sono persuaso nel Signore Gesti che nulla è impuro in se stesso; però se uno pensa che una cosa è impura, per lui è impura. Ora, se a motivo di un cibo tuo fratello è turbato, tu non cammini più secondo amore”. (Rom. 14:14-15). Dunque abbiamo una grande libertà, ma proprio perché liberi, non avremo nessun problema a cedere i nostri diritti.
Cose relative
Noi sappiamo che il concetto di mondanità varia da società a società e di generazione in generazione.
Ad esempio, in Italia i credenti hanno la libertà di bere alcolici. Ma se andassimo a visitare i fratelli negli Stati Uniti, ci accorgeremmo che per loro l’uso di alcolici è assolutamente disdicevole, è “mondanità”. Dovremmo allora ingaggiare una battaglia di versetti non appena ci sediamo a tavola o, perché liberi, possiamo tranquillamente adeguarci astenendoci dal vino?
Ancora, si può ricordare che fino alla fine del secolo scorso, cioè finché non giunsero in Italia i missionari americani, il problema del tabacco non si pose. Non erano forse credenti quei fratelli che si lasciavano incarcerare, battere, portare via i figli, ma che avevano l’abitudine del sigaro? Come mai, allora, fu possibile estirpare l’abitudine del tabacco e non quella del vino? Non era forse perché la coltivazione della vite dava lavoro e pane ad un gran numero di credenti ed era parte integrante della cultura della nostra società?
Ciò che è mondanità per gli uni, non lo è per altri. “Chi sei tu che giudichi il domestico altrui? … Uno stima un giorno più di un altro; l’altro stima tutti i giorni uguali … Chi ha riguardo al giorno lo fa per il Signore; e chi mangia di tutto lo fa per il Signore, perché rende grazie a Dio; e chi non mangia di tutto fa così per il Signore e rende grazie a Dio… Ciascuno di noi renderà conto di sé stesso a Dio. Smettiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri. Decidetevi piuttosto a non porre pietra di inciampo sulla via del fratello, né occasione di caduta” (Rom. 14:4-13)
È giunto il tempo di passare dall’infantilismo alla maturità spirituale; chi è per abitudine pronto a scandalizzarsi per qualsiasi cosa, impari ad usare misericordia, ricordando che l’amore copre moltitudini di errori e ricordando soprattutto di non essere niente di meglio di chi è la causa dello scandalo. Chi invece crede che tutto sia lecito impari a discernere se la sua libertà sta edificando il Corpo, ricordando di non essere in nulla superiore a chi la pensa diversamente. Spesso è meglio tenere per noi stessi le opinioni che abbiamo, se queste rubano la priorità al Regno di Dio che è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo.