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di Emilio Ursomando
“Poi cominciò a insegnare loro che era necessario che il Figlio dell’uomo soffrisse molte cose, fosse respinto dagli anziani, dai capi dei sacerdoti, dagli scribi, e fosse ucciso e dopo tre giorni risuscitasse. Diceva queste cose apertamente. Pietro lo prese da parte e cominciò a rimproverarlo. Ma Gesù si voltò e, guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro dicendo: «Vattene via da me, Satana! Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini»” (Marco 8:31-33).
Nessuno di noi vorrebbe mai incontrare la sofferenza. A volte la esorcizziamo con una fede esasperata; ma essa, dice Gesù, dovrà incontrarci, e verrà per perfezionarci, non per distruggerci. “Poiché dunque Cristo ha sofferto nella carne, anche voi armatevi dello stesso pensiero, che, cioè, colui che ha sofferto nella carne rinuncia al peccato, per consacrare il tempo che gli resta da vivere nella carne, non più alle passioni degli uomini, ma alla volontà di Dio” (1° Pt.4:1-2). “Dopo che avrete sofferto per breve tempo – spiega ancora l’apostolo – vi perfezionerà egli stesso, vi renderà fermi, vi fortificherà” (1° Pt.5:10).
Soffrì quel giorno, Pietro, quando il Maestro lo rimproverò così duramente davanti agli altri discepoli. Ma, lo comprese dopo, ne aveva bisogno. Quella sofferenza lo umiliò, lo purificò, fu necessaria perché potesse diventare quello che Gesù voleva fare di lui.
Anche Paolo ragionava così. Leggiamo le sue lettere: non giudica affrettatamente la sofferenza come una sconfitta, ma la esamina, la interroga, fino a scoprire la sapienza, la benedizione che vi è nascosta. “E perché io non avessi a insuperbire mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca. Tre volte ho pregato, ma …” (2° Cor.12:7-8). Possiamo imparare almeno tre verità da questo brano:
- “Per schiaffeggiarmi”. Abbiamo bisogno di schiaffi, non solo di unzione. Siamo chiamati non solo a fare miracoli, ma prima ancora ad essere trasformati a immagine di Cristo, a diventare agnelli, sacrifici accettevoli, offerte “mute” al Padre.
- “Tre volte ho pregato, ma …” Dio non esaudirà sempre la nostra preghiera. Non sempre ci libererà dalla sofferenza, se la sofferenza è una sua via al compimento del Suo progetto. “Avendo con gran grida e lacrime offerto preghiere e supplicazioni a Colui che lo poteva salvare dalla morte, ed avendo ottenuto [soltanto] di essere liberato dal timore” (Ebr.5:7 Riv.)
- “La mia grazia ti basta”. Non sempre basterà sgridare Satana per essere liberati dalle sofferenze che ci infligge, siano esse malattie, oppressioni o altro. C’è una sofferenza distruttiva che viene da Satana, e contro questa dobbiamo combattere e distruggerla. Ma c’è anche, come nel caso di Paolo, una sofferenza “protettiva”, “educativa”, e dobbiamo imparare ad accoglierla, ricordando che è “per farci alla fine del bene”.
“È per non farmi insuperbire – discerne Paolo. – Non è Satana che vince, è Dio che mi protegge. È per proteggermi da me stesso, dal vanto per le rivelazioni ricevute, dalla mia tendenza a inorgoglirmi per le mie conquiste”.
E man mano che la sapienza dell’apostolo cresce, cresce anche la sua libertà, la sua capacità di darsi alla sofferenza – “Io sono pronto anche a morire per Cristo!” (Atti 21:13) – fino a quel canto di offerta e di trionfo (di pazzia, per chi non intende le cose di Dio): “Non mi vanterò se non delle mie debolezze, perché quando sono debole, allora sono forte” (2° Cor.12:5,10).
Non solo monti
Il paese che Dio ci dà è un paese “di monti e di valli”; non solo monti, non solo valli. Un cammino spirituale sano passerà per i monti e per le valli. Chi cerca solo il monte si ferma nel cammino. Per arrivare alla prossima cima devi scendere nella valle, basta andare su una qualsiasi catena montuosa per realizzare che è così. Ogni valle precede una nuova conquista. Nella valle perdi la visione, l’orizzonte si restringe, il sole scompare, ma è qui che entra in azione la fede: “Non sono caduto, non sono arretrato spiritualmente, sto progredendo: verso un nuovo orizzonte, una nuova rivelazione, una nuova conquista”.
“Il Figlio dell’uomo scenderà tre giorni nella valle, ma poi ne risalirà, e con una gloria ancora maggiore”. Questo voleva dire Gesù, ma Pietro non capì. La montagna ci dà sicurezza, la valle ci spaventa. Ma è lì, nella valle, che Dio compie le sue opere più grandi, è lì che riporta le sue vittorie più gloriose.
Pietro non capiva: “Tu, l’Unto di Dio, devi soffrire, essere sconfitto dai peccatori? È inaccettabile, tu sei il Cristo!” Gesù lo rimproverò e gli disse che stava ragionando come qualsiasi altro uomo. Poco prima lo aveva lodato per la rivelazione che aveva saputo ricevere da Dio, e forse questo aveva fatto inorgoglire Pietro, al punto di rimproverare Dio! Può accadere anche a noi, rassicurati da qualche successo o rivelazione, di sentirci spirituali, maestri, e di smettere di imparare. Ricadiamo allora in una visione naturale del cammino spirituale, ci barrichiamo sul monte già conquistato e rifiutiamo la valle, senza accorgerci che in questo modo, convinti di prolungare una vittoria, ci stiamo auto-infliggendo una dolorosa sconfitta.
“Dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi corro verso la mèta” (Fil. 3:13). Paolo dimenticava continuamente, abbandonava continuamente i monti conquistati, si protendeva, affrontando ogni valle col canto della sapienza: “Quando sono debole, allora sono forte”. Aveva imparato il senso delle cose di Dio. Sapeva che dietro la valle c’era, vicina, un’altra cima. Sapeva che, nel suo viaggio, ne avrebbe dovuto attraversare tante, che, anzi, più valli avrebbe attraversato, più monti avrebbe conquistato. E non voleva fermarsi, afferrato com’era stato dalla visione di quella cima più alta di tutte e verso cui correva con tutte le sue forze, per quante lacrime e sangue lasciasse per via: Cristo!
“Sia questo il sentimento di quanti siamo maturi” (v.15). Occorre maturare, per compiere il corso. I bambini amano cantare e fare la guerra. Gli uomini che compiono il corso sono quelli che conoscono il Padre e ne hanno compreso le vie.
“Lo Spirito lo sospinse nel deserto”. Nella valle! Ma poiché seppe affrontarla, ne uscì con una potenza e una sapienza nuova. Non sei stanco di sperimentare sempre la stessa potenza e la stessa sapienza? Se vuoi maturare, lascia il monte e scendi nella valle. Renditi disponibile al vento di Dio. Entrerai allora in una debolezza, che però debolezza non è, in una sofferenza che però, ben lontano dal distruggerti, ti purificherà, ti perfezionerà per introdurti ad una nuova potenza, ad una nuova sapienza.
Potenza e debolezze
“La croce [la valle] per i Giudei è scandalo”, scrive Paolo ai Corinzi (1° Cor.1:23). Israele reagiva a questo tipo di potenza, a questa via alla potenza, così come, forse, reagirà qualcuno dei lettori: “Lo Spirito Santo è potenza!” obietterà, come Pietro.
Cosa rispondo? La potenza per fare segni e predicare con franchezza, sono d’accordo, è nello Spirito Santo; ma la potenza che ci permette di “compiere il corso”, di superare i tempi di difficoltà e di prova scaturisce dalla croce. La vittoria più gloriosa su Satana la riporteremo quando non solo Cristo, ma anche noi saremo stati crocifissi.
Notate cosa chiede Gesù a chi vuole fare il suo cammino: “Rinunci a se stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua” (Luca 9:23). Non parla dello Spirito, ma della croce. Lo Spirito ci verrà in aiuto per darci forza e capacità e sapienza, ma solo se nel nostro cuore avremo fatto la scelta per la croce, per la rinuncia, per la sofferenza, arriveremo in fondo alla strada.
“Uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia maltrattato, non aprì la bocca” (Is. 53:3,7). Ecco come Gesù realizzò la nostra salvezza. Su questo cuore, pronto a soffrire, a perdonare, a essere rotto, scese – e scenderà sempre – la potenza dello Spirito Santo.
Imparare l’ubbidienza
Credo nella necessità della potenza, credo nel combattimento spirituale, credo nell’autorità del credente, credo nella forza della fede; ma per accettare le ferite, le offese, il rigetto, la malattia, la solitudine senza reagire e senza smarrirci, non basterà la potenza, né l’autorità né la fede. Occorrerà l’amore nonostante, l’amore incondizionato, la speranza, e prima ancora un cuore ammansito, domato da Dio, umiliato, per saperlo seguire senza contestazioni, senza condizioni.
“Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì” (Ebr. 5:8).
“Piacque al Signore di stroncarlo con i patimenti” (Is. 53:10).
Gesù imparò, soffrendo, a non recriminare, a mettere da parte le sue ragioni, a rinunciare ai suoi desideri. Dopo trent’anni, il Padre poté presentarlo al mondo come l’Agnello di Dio, venuto a togliere il peccato del mondo.
Benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza. E imparò per trent’anni! Quanta fretta invece nelle nostre chiese, quanta superficialità, quanta illusione: ascoltiamo il vangelo, ci stacchiamo da qualche idolo, ci battezziamo in acqua, preghiamo per lo Spirito Santo, pronunciamo qualche parola in lingue nuove e crediamo di essere diventati dei piccoli Gesù, crediamo di essere diventati spirituali, crediamo, come Pietro, che Dio potrà chiederci qualunque cosa e noi la faremo. Ma poi, basta una parola, uno screzio, un giorno di pioggia, e salta tutto.
Anche se figli di Dio, dobbiamo imparare, e imparare attraverso la sofferenza, dalle cose che Dio ci farà soffrire, per fiaccarci, rompere la nostra durezza. Dovremmo aspettare almeno trent’anni, prima di poter accennare alla possibilità di essere diventati spirituali, prima di pronunciarci con sicurezza nelle cose dello Spirito, per non cadere nel rimprovero di Pietro, per non dover subire il rimprovero di Gesù: “Allontanati da me, piccolo uomo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini”.
Stai soffrendo? Interroga la tua sofferenza ed essa ti risponderà. Sei nella valle? Affrontala, percorrila e scoprirai la nuova cima a cui vuole condurti.
Non combattere affrettatamente ogni sofferenza come un nemico. Spesso nasconde una benedizione, una sapienza, un dono nuovo che Dio vuole aggiungere alla tua vita.
Ascolta l’insegnamento degli apostoli: “Tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio” (Rom.8:28).
Tutte! Non solo i monti, anche le valli. Soprattutto le valli!