SCARICA PDF di questo articolo
di Geoffrey Allen
“Non è giusto! Perché lui ha le caramelle ed io no?” “Perché io devo andare a letto ora e mia sorella no?” E’ un grido frequente nella mia famiglia, e spesso mi trovo a rispondere: “Mi dispiace, ma in questo mondo non c’è giustizia, perciò, prima ti ci abitui, meglio sarà”!
In ogni uomo c’è un innato senso di ciò che è giusto, che lo porta a reclamare i suoi “diritti”, a scendere in piazza gridando: “Vogliamo giustizia!” Ma la giustizia che caratterizza il Regno di Dio è un’altra. Non mira ai diritti dell’uomo, ma ai diritti di Dio! Vuol dire dare a Lui ciò che Gli spetta, riconoscere il Suo diritto di regnare su tutto ciò che ha creato, fare in modo che sia fatta la Sua volontà non solo in cielo ma anche sulla terra.
Una giustizia vissuta
Gesù dichiara: “Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei Farisei, voi non entrerete punto nel regno dei cieli” (Matt. 5:20). Similmente l’apostolo Paolo scrive: “Il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace ed allegrezza nello Spirito Santo”, (Rom. 14:17). Con ciò, essi definiscono qual è la caratteristica fondamentale del Regno di dio: una giustizia non più reclamata, non solo “attribuita”, ma vissuta. Come scrive Giovanni: “Nessuno vi seduca. Chi opera la giustizia è giusto, come egli (Cristo) è giusto. Chi commette il peccato è del diavolo … Chiunque non opera la giustizia non è da Dio” (1° Giov. 3:7-8, 10).
Per troppo tempo abbiamo ascoltato e predicato un “vangelo” che – come osserva Dietrich Bonhoffer – “invece di giustificare il peccatore, finisce col giustificare il peccato”. Praticamente non siamo più avanti degli Ebrei sotto il Vecchio Patto. Questi avevano, per la misericordia di Dio, un mezzo per ottenere il perdono dei peccati commessi: venivano ad offrire i prescritti sacrifici e a confessare il loro peccato, e Dio li perdonava. Ma erano condannati a vivere sempre “schiavi del peccato” e venire giorno dopo giorno, anno dopo anno, a cercare il perdono e la purificazione sempre degli stessi peccati. A noi, invece, Gesù ha detto: “Chi commette il peccato è schiavo del peccato … Se dunque il Figliuolo vi farà liberi, sarete veramente liberi”! (Giov. 8:34, 36).
Giustizia nel cuore
La nostra giustizia, dunque, deve superare quella dei Farisei. Eppure questi erano rigorosi nell’osservare tutte le prescrizioni della legge di Dio! Ma la loro era essenzialmente una “giustizia” esteriore: “Guai a voi … sepolcri imbiancati … Di fuori, apparite giusti alla gente; ma dentro siete pieni di ipocrisia e d’iniquità” (Matt. 23:27-28). Invece, nel definire le caratteristiche del regno di Dio, Gesù dichiara: “Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Iddio” (Matt. 5:8).
Leggendo le lettere di Paolo, possiamo notare quanto insiste sul tema della libertà dalla legge (Romani 7, Galati 4, ecc.). Eppure quanti cristiani di oggi non hanno per niente capito questo fatto! La legge – non solo quella di Mosè, ma ogni sistema di regole e di obblighi morali e religiosi imposti dall’esterno – “uccide” (2° Cor. 3:6). Essa non può produrre altro che orgoglio, quando la si riesce ad osservare (come il Fariseo della parabola, Luca 18:10-14), o un senso di colpa e di condanna, quando non si riesce, oppure l’ipocrisia di illuderci di essere a posto quando non lo siamo. La giustizia non può venire per mezzo della legge!
Per esempio, quando stabiliamo una legge che dice “Non fumare”, dividiamo le persone in due campi. Quelli che non fumano sono portati a considerarsi superiori ai fumatori. Questi, invece, o si sentono condannati perché non riescono a smettere, o peggio, fumano di nascosto e fanno finta di avere smesso.
Oppure, imponiamo come una legge: “Non si deve parlare male dei fratelli”. Ora, certamente non dobbiamo parlarne male, ma quando è una legge imposta dal di fuori, che succede? Si continua a parlare male, ma solo in famiglia, o comunque quando il pastore non sta lì ad ascoltare. Ipocrisia! Se abbiamo nel cuore pensieri e atteggiamenti di citrica o di risentimento, di giudizio e di superiorità verso un fratello, tenercelo dentro non è certo la giustizia del Regno! – ammesso che potessimo riuscirci, perché “dall’abbondanza del cuore la bocca parla” (Matt. 12:34). Tutt’al più potremmo staccare dall’albero cattivo il suo frutto cattivo.
Qualcuno ha detto: “O facciamo quello che in fondo vogliamo fare, e lo facciamo con gioia perché il nostro cuore è stato trasformato dall’amore di Cristo; oppure facciamo cose che non ci piace di fare per sembrare spirituali. L’amore di Dio nelle persone produce il carattere; e un carattere giusto produce persone che operano nelle scelte giuste, perché il loro desiderio è di piacere al Padre a qualsiasi costo”. Se abbiamo il cuore nuovo promesso da Dio, diventiamo un albero buono che fa frutti buoni. E questo avviene con un ravvedimento radicale e una vera fede verso Dio. C’è tanta gente che ha solo cambiato religione, ma il cui cuore non è stato mai trasformato.
Opere o frutto?
“Or le opere della carne sono manifeste, e sono: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invidie, ubriachezze, gozzoviglie, e altre simili cose; circa le quali io vi prevengo… che quelli che fanno tali cose non erederanno il regno di Dio. Il frutto dello Spirito, invece, è amore, allegrezza, pace, longanimità, benignità, bontà, fedeltà, dolcezza, temperanza …” (Gal. 5:19-22).
Le opere sono, per definizione, cose che noi facciamo. Ma in contrasto con le “opere della carne “ (e che brutto elenco è!), non troviamo le “opere dello Spirito”, ma “il frutto”.
Un ramo di ciliegio che fa per portare ciliegie? Compie forse grandi sforzi per produrne? No, rimane semplicemente attaccato all’albero, e il frutto viene. La sola cosa che deve fare è permettere alla linfa vitale della pianta di scorrere, e il frutto cresce spontaneamente. E così Gesù ha detto di noi: “Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me. Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me (staccati da me) non potete fare nulla” (Giov. 15:4-5).
Se dimoro nella vite, cresce in me il frutto (singolare: è un tutt’uno) di “amore, allegrezza, pace, longanimità …” Certo, non appare di colpo, istantaneamente maturo, perché il frutto … “cresce”. Ma se queste caratteristiche non stanno aumentando nel mio carattere e nei miei rapporti (perché qui si vedono), posso solo concludere che non sto dimorando nella Vite. E in tal caso sono in imminente pericolo di finire “raccolto, gettato nel fuoco e bruciato” (Giov. 15:6). Dovrò ravvedermi e tornare a camminare nella fede, in intima e continua dipendenza per la mia vita e la mia giustizia da Gesù, Sorgente della vita. E saranno gli altri, prima di me, a notare la mia crescente somiglianza al carattere di Gesù.
Una buona coscienza
“L’amore – scrive Paolo – procede… da una buona coscienza…”, e aggiunge che “alcuni, avendone fatto getto, hanno naufragato quanto alla fede” (1° Tim. 5:19).
Ci sono due tipi di problema con la coscienza. Uno è una coscienza indurita: a forza di farle “orecchi da mercante”, piano piano non ne sentiamo più il richiamo. “Io ho la coscienza a posto”, dice il bugiardo – l’adultero – l’uomo d’affari disonesto – l’iracondo – l’uomo politico implicato nella corruzione – chi non trova posto per Dio nella sua vita. E il peggio è quando ci credono veramente! Sono come l’uomo che, quando si accendeva la lampadina-spia dell’olio sul cruscotto della macchina, staccò il filo e credeva così di risolvere il problema! Dobbiamo essere molto sensibili ai “segnali d’allarme” lanciati dalla nostra coscienza se non vogliamo finire con guai ben più gravi che un motore fuso.
L’altro tipo di problema è una falsa coscienza. Per l’educazione ricevuta, possiamo sentirci in colpa per cose nelle quali Dio, invece, non vede niente di male. Pietro fu scandalizzato quando lo Spirito Santo gli disse di andare in casa del pagano Cornelio (Atti 10). Rispose subito “No, Signore”: un aperto ammutinamento! Fu duro per lui accettare la “rieducazione “ della sua coscienza, deformata da anni di istruzione religiosa.
Allo stesso modo, chi scrive – prima di conoscere personalmente il Signore, e anche dopo – si sentiva in colpa se alzava la voce dentro la chiesa, o mancava di inchinarsi davanti all’altare; o se pregava seduto su una poltrona, o passeggiando nel parco, anziché in ginocchio. Altri si sentono colpevoli se mangiano determinati cibi, ignorando che “non è quel che entra nella bocca che contamina l’uomo” (Matt. 15:11), o se mancano un giorno di pregare e leggere la Bibbia; oppure credono che sia un peccato divertirsi, mentre Dio dice che “ci somministra copiosamente ogni cosa perché ne godiamo” (1° Tim. 6:17). Dobbiamo liberarci dalle deformazioni di una falsa coscienza, lasciando che sia modellata ed istruita dalla Parola di Dio.
Solo così la nostra coscienza – che è una facoltà intuitiva del nostro spirito, cioè della parte più intima dove abbiamo comunione con Dio – sarà libera di svolgere la sua vera funzione. Infatti Dio non ha mai inteso che facessimo riferimento ad un “nostro” giudizio del bene e del male, secondo regole o principi generali, anche quelli della Bibbia, ma al Suo Spirito. Quando ha creato l’uomo all’inizio, gli ha dato libero accesso all’albero della vita, ma glielo ha negato a quello della “conoscenza del bene e del male” (Gen. 2:16-17). L’uomo, cioè, doveva far riferimento a quello che gli avrebbe detto Dio volta per volta, e non ad una “sua” conoscenza del bene e del male. Fu questo il principio di vita di Gesù; ed è questa la “gloriosa libertà dei figli di Dio”!
Ma da quando l’uomo e la donna hanno dato ascolto al tentatore, preferendo il loro parere all’incondizionata fiducia nell’amore di Dio, gli esseri umani hanno sempre cercato di stabilire e di “codificare” i criteri della moralità, e avere così uno “spazio di libertà” in cui scegliere autonomamente che fare, senza comunque sentirsi in colpa. E anche Dio, dal momento che si era interrotta la comunione diretta, essendo l’uomo spiritualmente “morto” (Gen. 2:17; Ef. 2:5), ha dato delle leggi che servissero da “barriera di sicurezza” perché non si distruggesse con la sua follia e il suo egoismo. Ma ora Egli chiama noi che siamo stati “vivificati insieme a Cristo” a vivere, non di leggi generali, ma di “ogni parola che procede dalla bocca di Dio”, Parola di oggi di un Dio vivente; e stabilisce che sia la coscienza a vigilare sulla nostra comunione con Lui e il nostro adempimento della Sua specifica volontà.
Per esempio, questa sera lo Spirito Santo mi chiama a pregare. Se mi metto a guardare la TV, o a visitare un amico, mi sento la coscienza turbata. Domani, invece, Egli vuole che stia a casa con mia moglie. Se faccio un’altra cosa – foss’anche pregare o evangelizzare – non mi sento più in pace con me stesso e col mio Signore. Non vivo più in base alla mia coscienza del bene e del male, ma dell’”Albero della vita” che per me è Gesù.
Giustizia nel comportamento
E’ così possiamo accogliere con gioia le esortazioni estremamente pratiche di un brano come Efesini 4:25-6:9. Non le sentiamo come delle imposizioni pesanti, una “legge che ci è contraria”, ma piuttosto come un aiuto per sapere come non “contristare lo Spirito santo di Dio” (4:30). “Se… siete stati ammaestrati secondo la verità che è in Gesù, avete imparato… a spogliarvi del vecchio uomo… ad essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente, e a rivestire l’uomo nuovo che è creato all’immagine di Dio nella giustizia e nella santità” (4:21-24).
Come, dunque, si comporta “l’uomo nuovo”?
“Ognuno dica la verità al suo prossimo” (4:25). Ogni bugia per quanto umanamente considerata “giustificabile”, contrista lo Spirito della verità. Ci sono molti di noi che hanno bisogno di essere “rinnovati” su questo punto! E notiamo pure che non è scritto: “Non mentite”, ma positivamente: “Dite la verità”! E’ possibile, anzi, è facile far credere il falso con le mezze verità, col tono della voce, con quello che non si dice. Ci sono addirittura dei credenti che credono sia un obbligo o una virtù far finta di essere sempre felici e senza problemi: “Come va, fratello?” “Bene, bene, tutto meraviglioso!” Sono più spirituali dell’apostolo Paolo, che era talvolta “tribolato… perplesso …”, addirittura “atterrato” (2° Cor. 4:8-9). Non solo contristano lo Spirito, ma difficilmente convincono il non credente medio, che spesso ha più discernimento di quanto pensiamo, e inoltre danneggiano se stessi. Ne ho conosciuto uno così che è finito addirittura per togliersi la vita. Gesù vuole che siamo noti per parlare chiaro, onesto e trasparente. Se poi qualche volta non possiamo dire tutta la verità, seguiamo l’esempio del nostro Maestro che “come l’agnello menato al scannatoio, … non aperse la bocca”, così che “nella sua bocca non fu trovata alcune frode” (Is. 53:7, 1° Pt. 2:22).
Poi, “chi rubava non rubi più”, (4:28). Notiamo bene che Paolo sta scrivendo a dei credenti, anzi ad una delle comunità più spirituali della chiesa primitiva! Qualcuno si scandalizzerà, ma bisogna pur dirlo: ci sono anche oggi molti cristiani che rubano. Rubare, infatti, non è solo scassinare le case o rapinare le banche. E’ anche evadere il fisco con dichiarazioni inesatte (vuol dire rubare al tuo prossimo più onesto o meno furbo, che dovrà pagare di più). E anche fare telefonate personali dall’ufficio, (quando ovviamente ciò non è esplicitamente ammesso). E’ anche non dire niente quando in un negozio ti danno, per errore, troppo resto. E’anche dare otto ore di lavoro onesto per la paga della giornata o, dall’altra parte, non dare una paga decente agli operai (tutti i datori di lavoro leggano Giacomo 5:4!).
“Nessuna brutta parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete alcuna buona che edifichi …”, “non dovreste nemmeno parlare … di tutto ciò che è sciocco, volgare ed equivoco … Piuttosto dovreste continuamente ringraziare Dio” (4:29; 5:3-4 TILC). Sì, la giustizia del Regno comprende anche il nostro modo di parlare! Anzi, facendo un elenco di più di venti cose in questo passo della Scrittura che “contristano lo Spirito Santo”, ho contristato che più della metà riguardano la lingua.
Un altro brano aggiunge: “Se uno pensa di essere religioso, e non tiene a freno la sua lingua … la religione di quel tale è vana” (Giac. 1:26). Derek Prince ha così commentato questo versetto: “Per quanto posso vedere, viene così annullato d’un sol colpo il 75 per cento della religione praticata nelle chiese evangeliche, perché la gente che pratica la religione non tiene a freno le proprie lingue”. Inutile poi schermarsi dietro l’altro versetto che dice: “La lingua, nessun uomo può domare” (Giac. 3:8), perché stiamo parlando dell’”uomo nuovo… all’immagine di Dio”, e con Dio tutto è possibile! Ma è certo che molti di noi hanno bisogno di fare propria la preghiera di Davide: “O Eterno, poni una guardia dinanzi alla mia bocca, guarda l’uscio delle mie labbra” (Salmo 141:3), perché non c’è nulla che contristi lo Spirito Santo e che distrugga la Chiesa, il tempio di Dio, tanto in fretta quanto una lingua non disciplinata da Dio.
La forma e la sostanza
Ma – ed è qui il nodo proprio grosso! – che cosa succede quando rialza la testa quell’ “uomo vecchio” che, sì, lo crediamo, “è stato crocifisso con Cristo” (Rom. 6:6), eppure non sembra mai rassegnarsi a starsene tranquillo nella sua tomba?
Credo che ci aiuterà molto un’immagine proposta dall’autore Larry Christenson nel libro The Renewed Mind. Egli fa notare due brani biblici: “Dio è quel che opera in voi il volere e l’operare …” (Fil. 2:13). “Vestitevi dunque … di tenera compassione, di benignità, di umiltà, di dolcezza, di longaminità; sopportandovi … e perdonandovi … E sopra tutte queste cose vestitevi della carità (amore) che è il vincolo della perfezione” (Col. 3:12-14). “Ecco, dunque – egli scrive – la nell’opera di santificazione: il credente si della forma esteriore di Cristo; Dio, invece, opera la trasformazione interiore del cuore”.
Pensiamo alle forme di legno costruite dal carpentiere per le strutture in cemento, suggerisce l’autore. Esse definiscono la forma che prenderà il cemento, ma servono per uno scopo strettamente temporaneo: dopo che il cemento si sarà indurito, verranno buttate via. Così è il ruolo del credente nella santificazione: egli non crea in se stesso la pazienza, la dolcezza e l’amore, ma fornisce solamente una forma esteriore nella quale Dio possa versare il Suo carattere.
Per esempio, una donna trova la sua pazienza duramente provata da una vicina di casa. Finché lotta con se stessa per contenere l’impazienza e il risentimento, non conclude niente: non riesce assolutamente a cambiarsi. E infatti è solo Dio che può trasformare gli atteggiamenti profondi del cuore.
Poi, un giorno, comprende la verità che non deve cambiare il proprio carattere, ma semplicemente “vestirsi di” pazienza, cioè costruire una forma che ne definisca l’aspetto. Così, va a scegliere alcune tavole adatte per costruirla. La prima si chiama “Ascolto”: decide che comincerà ad ascoltare questa signora scocciante; non importa che essa raramente dà ascolto alle parole sue! Lo scopo è di crescere nella somiglianza di Cristo, non di ottenere qualcosa dalla vicina. Poi, c’è la tavola chiamata “Preghiera”: comincia a chiedere tutti i giorni la benedizione di Dio su quella signora e la sua famiglia. Poi, la terza: “Una buona azione”. Va bene, quella non si è mai offerta di fare qualcosa per lei ma non c’entra; le porta un piccolo regalo, oppure si offre di guardare i suoi figli mentre fa la spesa. Infine, la quarta tavola intitolata “Commento generoso”: ogni volta che si parla della vicina e gli altri si mettono criticare e a sparlare, la nostra cristiana sortisce con un commento positivo; una parola vera che fa notare una sua buona qualità.
Ed ora la forma è completa: mancano solo i chiodi per tenerla unita. Ma senza i chiodi, tutto il cemento andrà perduto! E i chiodi spirituali si chiamano fede: la fede che la forma verrà utilizzata. Sarebbe vano il lavoro di un carpentiere che costruisse sempre delle forme, senza che la betoniera arrivasse mai per riempirle di cemento; e ugualmente vana è la fatica di chi adotta il comportamento esteriore della pazienza o dell’amore senza la profonda convinzione che Dio se ne servirà per trasformare il nostro cuore.
Quando facciamo così, non dobbiamo sentirci ipocriti perché seguiamo un certo comportamento senza “sentirlo”. La Bibbia ci dice: “Camminate per lo Spirito e non adempirete i desideri della carne” (Gal. 5:16). Non dice “… e non avrete i desideri della carne”! Abbiamo dei desideri carnali, cioè che tendono al peccato, ma per la potenza dello Spirito Santo siamo messi in grado di non adempierli. E, quando facciamo così, creiamo uno spazio nella nostra vita in cui lo Spirito possa far crescere il Suo frutto.
Pace ed allegrezza
“Il regno di Dio … è giustizia, pace ed allegrezza nello Spirito santo” (Rom. 14:17). L’ordine di Dio dev’essere rispettato: se cerchiamo la pace e la gioia, come tante volte si è fatto, senza dar precedenza alla giustizia, sarà una bolla di sapone: bella ma di breve durata! Ma se “cerchiamo prima il regno e la giustizia di Dio”, come ci ha comandato Gesù (Matt. 6:33), si adempirà per noi l’antica promessa: “Il frutto della giustizia sarà la pace, e l’effetto della giustizia, tranquillità e sicurezza per sempre” (Is. 32:17).