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di Giovanni Traettino
Il cenacolo pasquale
Nella cena – l’ultima che precede la Pasqua – Giovanni riferisce che Gesù, “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv. 13:1). E, come Gionatan con Davide (1° Sam. 18 e 20), in una scelta di amore radicale e di donazione totale, “depose le sue vesti”, si cinse di un asciugatoio e cominciò a lavare e ad asciugare i piedi dei discepoli.
In questo modo, in preparazione alla fase cruciale della sua vita e della sua opera sulla terra, con un gesto di piena rinuncia e se stesso, di servizio, preferenza e benedizione dell’altro, di apertura, accoglienza ed estrema disponibilità, indicava ai discepoli la via dell’amore “sino alla fine” – anche per chi ti tradisce – come via del Regno, dell’alleanza, dell’unità. “Anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri … come vi ho fatto io” (vv.14-15).
Pentecoste ‘92 e Rimini ‘96 sono state visitate da questo medesimo Spirito.
Lo Spirito con noi e in noi è lo Spirito “che brama … vita e pace” (Rom. 8:6).
È Spirito di vita come amore del Padre sparso nei nostri cuori, che ci vivifica e ci perdona. Per cui gridiamo: “Abba, Papà!”, e ci scopriamo figli, eredi di Dio e coeredi di Cristo. Vita come introduzione e accesso, per mezzo della fede, alla grazia che ci giustifica e ci fa regnare. Vita come azione vivificatrice e preservatrice per risvegliare, rinnovare, riformare, restaurare e riempire noi come persone e come Corpo di Cristo.
È Spirito di pace come desiderio struggente e necessità di amore per i fratelli; brama intensa di riconciliazione, comunione, unità e pienezza. È la dimora e la comunione, come via alla gioia e all’amore “sino alla fine”. I discepoli piangeranno, faranno cordoglio e saranno afflitti. Ma, come “la donna, quando partorisce, prova dolore, perché è venuta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’angoscia per la gioia che sia venuto al mondo un creatura umana” (Gv. 16:21), così è dell’amore, della comunione e dell’unità che siamo chiamati a “partorire” affinché “siano tutti uno; e come tu, o Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi” (Gv. 17:21).
Unità che diventerà possibile solo nella misura in cui riceveremo in noi Cristo e la sua gloria (il suo carattere!), piena di grazia e di verità, come Cristo ha ricevuto in sé la gloria del Padre: “Io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; io in loro e tu in me; affinché siano perfetti nell’unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me … affinché l’amore del quale tu mi hai amato sia in loro, e io in loro” (Gv. 17:22-23,26).
Con questo “viatico” siamo pronti ad andare nel Getsemani, davanti al sinedrio e a Pilato, sul Golgota e nella tomba, perché abbiamo ferma in noi la promessa e la speranza della risurrezione.
Il cenacolo pentecostale
Dopo la domenica di Risurrezione, Gesù dovette raccogliere tutti i suoi discepoli dispersi, smarriti e disorientati, primo tra tutti Pietro. Dovette cercarli, perdonarli, rassicurarli, guarirli. Sicché di nuovo potessero tutti raggiungere il cenacolo, e lì perseverare concordi nella preghiera. “Quando il giorno della Pentecoste giunse, tutti erano insieme nello stesso luogo” (Atti 2:1).
Su questa unità costruita da Gesù e ricercata dai discepoli, scese lo Spirito Santo, perché è sui fratelli che vivono insieme che “il Signore ha ordinato che sia la benedizione, la vita in eterno” (Sal. 133:1,3).
Il cenacolo finale
“Maranathà!”, “Vieni, Signore Gesù!”, invocava lo Spirito e la Chiesa del Nuovo Testamento. “Maranathà!”, hanno supplicato lo Spirito e la Chiesa nel corso di tutto il travagliato cammino storico del cristianesimo. “Maranathà!”, ancora oggi, “con sospiri ineffabili” (Rom. 8:26), pregano e gemono con intensa aspettativa lo Spirito e una Chiesa sempre più consapevole dello scandalo della divisione, sempre più cosciente della propria fragilità e debolezza, ma proprio per questo più aperta all’accoglienza della visitazione di Dio, “finché egli venga” (1° Cor. 11:26).
C’è un solo cenacolo che aspetta tutti i figli di Dio, una sola tavola a cui sederanno, mangeranno e berranno insieme tutti i riscattati dal sangue dell’Agnello.
Lo Spirito si è mosso in quest’ultimo secolo e ha impresso un’accelerazione senza precedenti alla preparazione della Sposa in vista delle nozze dell’Agnello. La storia va verso il suo culmine, la Chiesa verso la sua pienezza. L’intercessione di Cristo “che siano tutti uno” –nella Chiesa per mezzo dello Spirito Santo e per la Chiesa alla destra del Padre – si fa sempre più intensa e fiduciosa.
Verrà la Pentecoste finale. Verranno le nozze dell’Agnello. La Sposa si sarà preparata. “Una, santa, cattolica, apostolica” e vittoriosa, uscirà a incontrare lo Sposo, il nostro unico Signore e Salvatore Gesù Cristo. A Lui sia la gloria nei secoli dei secoli.
“E l’angelo mi disse: “Scrivi: Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell’Agnello” (Ap. 19:9).
E ci sarà un solo cenacolo, e una sola Chiesa.