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di Dr. Kriengsak Chareonwongsak
Se vogliamo che il mondo sia evangelizzato nella nostra generazione, abbiamo bisogno di capire che non potremo mai farlo con i metodi attuali. I pastori, i missionari, gli evangelisti e gli operai cristiani non saranno mai sufficienti per evangelizzare il mondo. L’unico modo in cui sarà possibile è la moltiplicazione di chiese bibliche. Io so che questa strategia funziona: undici anni fa ho fondato una chiesa, ora sono 174!
Molti oggi hanno la mentalità della “superchiesa” di migliaia di membri. Ma tali chiese saranno sempre una piccolissima parte di tutte le chiese che ci sono nel mondo; e pochi pastori hanno la capacità di guidare e di gestire una “superchiesa”. La stragrande maggioranza dei credenti si trova in chiese che hanno non più di 200 membri. L’importante non è che la chiesa sia grande, ma che evangelizzi e fondi molte altre chiese.
È però importante capire che le chiese, come ogni altra cosa che Dio ha creato, si riproducono “secondo la propria specie” (cfr. Genesi 1). Una chiesa scadente genererà altre chiese scadenti. Solo una chiesa forte partorirà altre chiese sane e forti. Prima di pensare a piantarne altre, dunque, dobbiamo assicurarci di avere la giusta qualità biblica di vita nella nostra comunità locale.
La formazione dei leaders
L’unico modo in cui la chiesa potrà diventare forte e fare cose più grandi è tramite la formazione di nuovi leaders. Nella maggior parte delle chiese, tutto il lavoro è fatto dal pastore ed eventualmente da uno o due collaboratori; la maggioranza dei membri viene la domenica, occupa una sedia e poi se ne va a casa, senza contribuire nulla all’opera di Dio. In una chiesa del genere è impossibile sviluppare i doni di leadership. La filosofia del nostro movimento è invece che tutti devono essere coinvolti nell’opera del ministero. Solo in questo tipo di chiesa sarà possibile formare nuovi leaders.
Quando sono rientrato in Tailandia dall’Australia, ho posto al Signore alcuni quesiti. “Signore – gli ho detto – mi hai dato un compito molto più grande della mie capacità!” E quando ho scoperto quanto poco era stato fatto in 170 anni di sforzi missionari, mi sono spaventato ancora di più. Infatti tornare in patria era per me come andare in un qualsiasi paese straniero dal momento che non avevo mai visto una chiesa in Tailandia, non conoscevo nessuno, non avevo soldi, niente! Tuttavia, sono tornato determinato a suscitare un esercito di operai per raggiungere tutta la nazione; e quando Dio mi ha rivelato la Sua strategia, mi sono convinto che era possibile farcela.
Attualmente esistono nel mondo circa due milioni di chiese locali. Se vogliamo che metà del mondo diventi cristiano, ne servono trenta milioni, per cui ne mancano ancora 28 milioni. Ora, tutte le scuole bibliche non potranno mai sfornare operai a sufficienza per compiere questo lavoro! Perciò abbiamo bisogno di una strategia completamente nuova: le chiese locali devono essere mobilitate per diventare centri di formazione.
Da centinaia di anni, le chiese contano essenzialmente di chiamare qualcuno dall’esterno a fare il pastore. Ma se facciamo il conto del numero totale degli studenti iscritti ogni anno in tutte le scuole bibliche del mondo, diventa subito evidente che con questo sistema non potremo mai evangelizzare il mondo. Il personale a disposizione è appena sufficiente per mandare avanti le chiese che già abbiamo! Non importa quanti convegni facciamo sull’evangelizzazione, non potremo mai riempire il mondo di chiese: è statisticamente impossibile. Con i metodi attuali, non riusciremo ad evangelizzare il mondo neanche in 200 anni.
Un altro grosso problema è che, mandando gli aspiranti pastori a una scuola biblica, li formiamo soltanto nella mente. Hanno le nozioni ma non sanno guidare gli altri, per cui cercano di portare avanti la chiesa a forza di tentativi e sperimenti. Finalmente, dopo trent’anni, forse imparano come essere leaders, ma sono ormai troppo vecchi: stanno per andare in pensione! È per questo che non ci tengo a mandare i credenti soltanto a una scuola biblica. Non è che sia contrario alle scuole bibliche: anche noi ne abbiamo una. Sono certamente meglio di niente! Ma servono solo per aggiungere la conoscenza in un secondo momento, se ce n’è bisogno: non possono produrre leaders per la chiesa.
La strategia biblica – la strategia di Gesù – per formare leaders è molto diversa dalla maniera in cui le chiese cercano di farlo. Egli non cercava in primo luogo di formare la mente, seppure non l’abbia trascurata: la conoscenza è buona ed importante, ma non è sufficiente per fare un leader. Il Suo metodo è simile al modo in cui un padre forma il proprio figlio. Se il padre di una famiglia è falegname, anche i figli imparano lo stesso mestiere, semplicemente osservando il papà. Se non sappiamo formare altri leaders, vuol dire che non siamo modelli che altri possano imitare. È un processo che avviene da sé, come una specie di osmosi: se diamo l’esempio giusto, i nuovi leaders ci seguiranno e ci imiteranno, assorbendo inconsapevolmente i nostri modi di fare.
Così Gesù ha formato i suoi discepoli sul lavoro, stando con loro in tutte le situazioni della vita quotidiana. Andavano in giro insieme, parlavano insieme, lavoravano insieme. Essi lo osservavano mentre pregava, mentre predicava, mentre cacciava i demoni, mentre aiutava le persone; e dopo un po’, egli dava loro l’occasione di fare le stesse cose. Poi dovevano riferire sul loro operato e, se necessario, Gesù li correggeva: “Questa specie di spiriti non si può fare uscire in altro modo che con la preghiera”, spiegò loro in un’occasione. Se invece avevano fatto bene, li lodava e li incoraggiava.
Ma per realizzare questo tipo di formazione, dovremo rivoluzionare tutti i programmi della chiesa. Come possiamo pensare di formare dei leaders se ci vediamo solo un’ora alla settimana quando predichiamo la domenica mattina? In tal modo potremo avanti per cinquant’anni e alla fine la chiesa sarà sempre della stessa grandezza. Bisogna invece discepolarli, formarli, dimostrare loro come fare le cose e dare loro le occasioni per farle sotto supervisione, correggendo gli eventuali errori e incoraggiandoli ad andare avanti.
Ora, se la vita della chiesa segue il sano modello biblico, questo avverrà spontaneamente: una chiesa costruita come si deve produrrà nuovi leaders nella maniera più naturale. Io penso talvolta alla mia chiesa come a una “fabbrica spirituale”. La materia prima è costituita dai non credenti che vi entrano: si convertono alla porta d’ingresso e poi passano attraverso la catena di produzione, essendo lavorati dal coinvolgimento nella vita della chiesa, nel lavoro del ministero, nel discepolato. Infine escono dall’altra porta per diventare pastori. C’è una lavorazione a ciclo continuo: la chiesa è un centro di formazione.
Il luogo della formazione teologica è la chiesa stessa; il modello migliore è infatti una scuola biblica all’interno della chiesa locale. Penseremmo forse di formare dei medici senza mai farli mettere piede in un ospedale? Ti faresti operare da un chirurgo che avesse studiato unicamente sui libri? Si può forse imparare a nuotare per corrispondenza?! Ma è questo che facciamo nella chiesa: mandiamo i giovani a una scuola biblica e quando escono, senza avere nessuna esperienza del lavoro della chiesa, pretendiamo che diventino improvvisamente pastori.
Il laboratorio dove si formano i ministri è invece la chiesa locale. Se si riesce a costruire una buona comunità locale, secondo le Scritture, la gente imparerà al suo interno come essere leaders; e in un secondo tempo, se ce n’è bisogno, possono pure andare a una scuola biblica per aumentare il bagaglio delle conoscenze.
Questo tipo di formazione costa tempo e sacrifici, ma è l’unico modo di ottenere i risultati desiderati. Se Gesù ha dovuto fare così, dobbiamo farlo anche noi. La più grande gioia per me sarebbe quella di vedere il giorno in cui non dovrei più fare il pastore della mia chiesa: vorrebbe dire che avrei trovato qualcuno che mi sostituisse. Non voglio fare per sempre lo stesso lavoro, ma trovarne uno nuovo e affidare quello vecchio a un altro! All’inizio ho dovuto fare tutto, ma col tempo ho potuto delegare, dando agli altri la possibilità di prendere il mio posto e di fare esperienze.
Un buon leader è uno che non si aggrappa alla propria funzione. Non dobbiamo trovare la nostra sicurezza nel lavoro o nella posizione, ma in Dio. Ci sono molti pastori che non riescono a formare altri leaders a causa delle loro insicurezze interiori, non appena vedono un loro collaboratore crescere e fare un buon lavoro, si sentono minacciati e pensano: “Ora i credenti lodano il mio collega e non mi considerano importante!” Così schiacciano gli altri e impediscono loro di crescere, sminuendo sempre la loro importanza. Con un simile atteggiamento non è possibile formare altri leaders, e se nascono alcuni spontaneamente, non potranno mai maturare.
Piuttosto dobbiamo aspirare a che i nostri figli nella fede facciano meglio di noi. Non c’è successo senza successore! Anche se tu riuscissi a formare una chiesa enorme, di un milione di persone, ma alla tua morte essa tornasse a solo cinquecento credenti perché dipendeva tutta dalla tua personalità, la tua vita sarebbe un misero fallimento. Dobbiamo essere capaci di suscitare altri che siano in grado di fare opere maggiori di noi, come disse Gesù ai suoi discepoli in Giovanni 14:12. Ecco la chiave del successo nel Regno di Dio!
Fin qui ho descritto l’atteggiamento necessario per suscitare nuovi leaders nella chiesa. Ma sul piano pratico, come bisogna procedere? Se dovessi andare in una città per fondare una nuova chiesa da zero, come farei?
Bene, questo è esattamente ciò che ho fatto a Bangkok. Ecco come ho fatto. Ho cominciato a predicare il Vangelo, a portare le persone a Cristo e a formarle nella vita cristiana. Poi, a un certo punto, ho dovuto scegliere alcune persone in cui investire più tempo e risorse. Occorre fare molta attenzione nella scelta dei potenziali leaders, e voglio suggerire alcuni criteri che debbono guidare questa scelta.
- Scegliere le persone giuste. Spesso sbagliamo nella scelta delle persone da formare per la leadership perché guardiamo troppo l’esteriore. C’è gente che sa parlare bene, che ha molti talenti e una personalità attraente: ricordate Saul? Dio invece ha scelto Davide. In Isaia 11:3 è profetizzato di Gesù: “Non giudicherà secondo le apparenze, non darà sentenze per sentito dire”. Anche noi non dobbiamo guardare l’esterno delle persone, ma il cuore. Questa è una delle chiavi più importanti per avere successo nella formazione dei leaders. Io ho formato delle persone che sembravano i meno adatti, e oggi sono leaders di grande statura nella chiesa. Uno di essi era un uomo molto timido nei rapporti umani e confuso nel parlare; non sapeva come comportarsi in pubblico. Ma ho visto che aveva un cuore che Dio poteva usare, e oggi è un ottimo pastore, un uomo chiave per tutto il nostro movimento.
Le qualità che io ricerco sono:
- La fedeltà. La Bibbia sottolinea questa qualifica con grande chiarezza: “… le cose che hai udite da me … affidale a uomini fedeli …” (2° Timoteo 2:2). Deve essere un uomo che assolve qualsiasi compito affidatogli, piccolo o grande che sia, con grande fedeltà. Se non è fedele nelle cose piccole, come gli si potranno affidare quelle grandi (Luca 16:10-12)?
- Uno spirito di servizio. Questa è una delle qualità principali ricercate da Gesù. Tutti i miei leaders devono cominciare dai servizi più umili: preparano da mangiare, lavano i piatti, puliscono la chiesa, mettono fuori le sedie, montano i microfoni … Proprio come ho fatto io all’inizio! Non che debbano continuare sempre a fare tutti questi lavori, perché viene a mancare il tempo; ma tutti i leaders devono avere l’atteggiamento di servi.
A me non importa quale posizione occupo: se sorgerà nel nostro movimento qualcuno che è capace di fare il leader meglio di me, sarò felice di servirlo. Faccio il leader solo perché Dio mi ha chiamato, non perché io ci tenga. Non ho il desiderio di essere grande. E poiché ho questo spirito, tutti i miei leaders sono così. Se verrete nella nostra chiesa, potrete constatare che “facciamo a gara nel renderci onore reciprocamente” (Romani 12:10): non c’è competizione tra di noi, ma tutti sono felici di fare qualunque cosa serva a promuovere il Regno di Dio.
È questo il tipo di leader che occorre. Se uno vuole dire agli altri cosa fare ma non è pronto a farlo egli stesso, Dio non gli può affidare una grande chiesa perché guasterà la vita della gente e si caccerà nei guai quando Dio lo benedice.
- Entusiasmo. Poi, cerco uomini entusiastici e zelanti: tali sono gli uomini di cui Dio si serve. Chi è passivo e apatico non sarà mai grandemente usato da Dio.
- Ammaestrabilità. L’uomo che Dio può usare è pronto ad imparare. Io evito coloro che hanno già tutte le risposte, che hanno letto il manuale e hanno imparato a nuotare per corrispondenza! Ci sono tanti uomini che vanno a fondare una chiesa e rimangono per anni con venti o trenta credenti perché non hanno mai aperto il cuore per essere ammaestrati.
Perché dobbiamo essere così orgogliosi da insistere a imparare sbagliando, quando possiamo imparare dagli altri? Noi non siamo più intelligenti degli uomini di duecento anni fa: come mai, allora, riusciamo ad andare sulla luna mentre loro viaggiavano con i cavalli? È perché abbiamo costruito sulla conoscenza di coloro che ci hanno preceduto. La vita è troppo breve per fare tutto da zero, senza imparare dagli altri; e se facciamo così, il progresso della chiesa sarà fortemente rallentato.
- Stabilità. Un’altra qualità che cerco è la costanza. Non servono persone che oggi sono piene di zelo e domani sono in preda alla depressione, che oscillano continuamente tra le stelle e le stalle.
- Un atteggiamento positivo. Non è possibile costruire la chiesa con persone che sono sempre negative e critiche, che ad ogni proposta rispondono “Mah …” Ora, certo, la prudenza è buona; ma per costruire la chiesa, Dio usa persone di fede, che hanno uno spirito positivo.
- Pronti al sacrificio. Il Regno di Dio è fondato sul sacrificio; e non so come si possa costruire una chiesa senza sacrifici. Ogni chiesa solida è fondata su vite consacrate a Dio.
Queste sono dunque le qualità che ricerco nello scegliere le persone da formare. Nel corso di una vita non si possono formare tante persone – Gesù ne ha formate dodici soltanto, dei quali uno è venuto meno – ma se il lavoro è fatto bene, essi saranno capaci a loro volta di formare altre. Io ho già delle chiese che sono mie “pronipoti”! Undici anni ho scelto una squadra di persone di buona qualità e nel corso degli anni ne ho aggiunto altre, e oggi costituiscono la leadership della chiesa tailandese. Se oggi muoio, o se il governo mi mette in prigione, la chiesa andrà avanti; e se mette in prigione anche loro, altri sono pronti a prenderne il posto. Così la chiesa non potrà mai essere sconfitta!
Il secondo principio per la formazione dei leaders è:
- Gestire i discepoli con saggezza. L’obiettivo deve essere quello di promuoverli e svilupparli al massimo del loro potenziale, offrendo loro occasioni per fare esperienza. Per alcuni anni dovete passare del tempo insieme anche in un contesto informale: mangiare spesso insieme, fare una passeggiata o una partita a tennis … Non è un peccato giocare a tennis! È così che si sviluppano le amicizie. Così faceva Gesù con i suoi discepoli; così faccio e così fanno i miei leaders impegnati a loro volta a formarne degli altri. Non è possibile formare i leaders in un’aula scolastica soltanto.
Poi, dopo aver osservato il loro comportamento, chiamali in disparte per dare conferma e incoraggiamento e, quando è necessario, correzione. Parla con loro anche di ciò che osservate negli altri: “Hai notato come ha fatto quell’uomo? Faceva bene: anche tu fa’ così. Hai notato quell’altro? Non imitarlo: non è quello il modo di fare nella chiesa”. Fate notare loro cose che possono essere sfuggite alla loro attenzione. Io ero solito ascoltare i miei leaders tutte le volte che predicavano, e poi analizzare con loro sia le cose buone che le cose da migliorare. Non solo, ma anch’io invito i suggerimenti e la correzione, perché aprire il mio cuore apre il cuore anche dell’altro.
Questo processo di formazione può richiedere più o meno tempo, in relazione soprattutto alla maturità della persona. La norma è alcuni anni, ma ho avuto un uomo, un avvocato, che aveva un ottimo atteggiamento e che ho cominciato a formare appena convertito. Egli rispondeva molto rapidamente e dopo otto mesi è diventato un pastore. So che questo è un’eccezione alla regola – non bisogna dare responsabilità ai nuovi convertiti troppo in fretta – ma non è questione solo del passaggio del tempo, ma della misura della crescita spirituale. Se un uomo è sottomesso e sorvegliato da un’autorità superiore, non ci sono grossi rischi.
È in questo modo che riusciremo ad avere sufficienti leaders per far crescere la chiesa. Altrimenti essa arriva al punto in cui le persone entrano per una porta ed escono dall’altra perché non vengono curate. C’è un ricambio di persone ma la chiesa rimane della stessa grandezza, e il pastore, invece di fare il suo lavoro, corre e destra e a sinistra cercando di trattenere le persone ed evitare che abbandonino la comunità, e in questo modo rischia di finire con l’infarto!
Solo allargando la base della leadership è possibile far crescere la chiesa. Infatti io non conto più il numero dei membri della mia chiesa ma il numero dei gruppi in casa e dei loro leaders: quando questi aumentano, la comunità cresce da sé. Non c’è limite alla crescita di una chiesa costruita nella maniera che sto descrivendo. Può essere organizzata poi come una sola comunità o molte: questo non ha importanza purché siamo in tanti! La chiave è che il leader sappia formare uomini che siano capaci a loro volta di formarne degli altri (2° Timoteo 2:2).
- Provare i nuovi leaders. Tra i discepoli ci sarà sempre un Giuda Iscariota. Perciò bisogna sempre che siano collaudati prima di essere lanciati pienamente nel ministero. In ogni chiesa verrà il momento della prova: sorgerà qualcuno con motivazioni sbagliate che cercherà di portarsi dietro i credenti. A me è successo finora una sola volta: uno dei miei collaboratori ha cercato di impossessarsi della comunità. Ma nessuno lo ha seguito, perché conoscono troppo bene il nostro cuore.
Occorre dunque saggezza per minimizzare i rischi, tenendo gli occhi aperti per mettere alla prova le qualità dei nuovi leaders. Bisogna provare la loro visione: è pura? è biblica? è la stessa che avete voi? Non è possibile camminare insieme se non si ha la stessa visione. Poi, la sottomissione e la lealtà: sono persone indipendenti che vogliono fare di testa loro senza mai sottomettersi a nessuno, come il diavolo? Talvolta provoco una discussione solo per mettere alla prova la sottomissione; cerco di irritare la persona per far venire fuori quello che ha nel cuore. La persona che vuole mettersi in mostra e avere posizione e riconoscimento creerà problemi più tardi per la chiesa. Poi bisogna provare anche la moralità e l’integrità: ci sono in loro aree di debolezza che provocheranno problemi? Amano il denaro? Hanno problemi di avarizia? Sono fedeli? Mettono Dio al primo posto? Sono pronti a compromettere i principi per motivi di convenienza? Poi c’è la prova dell’orgoglio: reagiscono in un modo sbagliato? E l’impegno: cosa succede nei momenti di difficoltà e di persecuzione? Sanno perdonare coloro che gli fanno un torto?
E ricordate: nessuno supera tutte le prove con 10 e lode. Tutti vengono meno in qualche aspetto. Ma Dio è un Dio che dà una seconda possibilità: pensate a Giona e a Pietro. Non rigettate subito le persone ma correggetele e concedete loro un’altra occasione di dare prova di se stesse.
Io so che questi principi funzionano perché fino ad oggi ho formato più di mille altri leaders, mandandoli fuori a fondare nuove chiese; e oggi essi stanno facendo la stessa cosa. Se li metteremo in pratica, potrebbe segnare l’inizio di un grande risveglio. Potranno nascere migliaia di nuove chiese, fino a riempire l’Italia della conoscenza del Vangelo. Ci può essere là fuori qualche Paolo, qualche Pietro o qualche Timoteo. Fra dieci anni potranno esserci migliaia di nuove chiese e voi mi confermerete: sì, funziona! Amen!