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di Massimo Loda
“Gesù gli disse: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente … Ama il tuo prossimo come te stesso». Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti” (Matteo 22:37-40).
Tutta la legge e i profeti sono legati a questi due comandamenti. Qualsiasi aspetto della vita del credente, e più in generale della chiesa, è indissolubilmente legato a questi due versetti. Possiamo affermare che la Bibbia è riassunta in queste poche parole. L’apostolo Paolo dice anche che il regno di Dio non consiste di leggi asetticamente applicate, ma di rapporti vissuti in modo da riflettere la natura e il carattere di Gesù: “giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Romani 14:17). Chi ha creduto è passato dal regno delle tenebre al regno della luce (Colossesi 1:13).
Un regno, un re
Ora, se c’è un regno, ci sarà un re ed anche dei sudditi. L’insieme dei sudditi forma la nazione, e la chiesa è la nazione santa di Dio, l’espressione più tangibile del Suo regno; e così come nel naturale i vari ministeri sono le espressioni particolari del governo centrale, anche nello spirituale i ministeri diventano il mezzo attraverso il quale il re Gesù esercita il suo governo.
Il funzionamento di tale governo è regolato dalla qualità dei rapporti con il Re (“ama il Signore …”) e fra i Suoi sudditi (“ama il tuo prossimo …”). E questa è la chiave per una buona comprensione del rapporto fra i pastori e il gregge. “Voi sapete che i principi delle nazioni le signoreggiano e che i grandi le sottomettono al loro dominio. Ma non è così tra di voi; anzi, chiunque vorrà essere grande tra di voi, sarà vostro servitore” (Matteo 20:25-26). La motivazione dell’esercizio dell’autorità non è la necessità di un riconoscimento in chiesa, ma è nel desiderio di servire Dio servendo i fratelli.
L’autorità è un servizio, anche se purtroppo molti hanno vissuto veri e propri abusi. D’altro canto, nelle chiese entrano spesso persone il cui cuore è pieno di ribellione, che hanno aderito alla teologia evangelica, ma non hanno avuto quel reale ravvedimento che porta alla comprensione del fatto che non apparteniamo più a noi stessi, in quanto siamo stati comperati a prezzo (siamo costati la vita di Cristo), esattamente come si comperavano gli schiavi (1° Corinzi 6:19-20, 7:23a). E chi è stato comperato non ha più libertà, ma è sotto la signoria di qualcuno. “Noi infatti non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù quale Signore” (2° Corinzi 4:5).
Predicare il Vangelo del Regno è proclamare che esiste un padrone che vuole governare la tua vita: Gesù. Egli, da padrone assoluto quale è, ha dato come ha reputato meglio la delega del Suo governo ai vari suoi ministri. In Efesini 4:13 è scritto che Dio stesso ha scelto le persone specifiche (gli uni, gli altri…) cui affidare le varie espressioni del potere centrale (i ministeri apostolico, profetico, pastorale ecc.). Poiché si tratta di una scelta operata direttamente da Dio, è ovvio che a tali persone siamo chiamati a sottometterci come al Signore.
Disordine
Chi afferma di sottomettersi a Dio che non è visibile, ma non è capace di sottomettersi alle persone che Dio stesso ha stabilito sulla chiesa, è bugiardo esattamente come chi dice di amare Dio, ma non sa amare i fratelli che Dio ha dato (1° Giovanni 4:20-21). Si è molto equivocato sulla parola “libertà”, che nel suo significato biblico non è la possibilità di fare ciò che si vuole, ma è essenzialmente libertà dal peccato e dalle sue conseguenze. L’enfasi eccessiva posta sul rispetto della libertà di coscienza, ha spesso condotto ad un’esasperazione dell’individualismo tale da creare divisioni su divisioni. Invece di avere un corpo unico che si esprime nella chiesa, abbiamo tanti individui che vengono insieme per esprimere solo se stessi.
Basta partecipare ad alcuni culti per verificarlo: cantici che vanno in cento direzioni diverse, preghiere ad uso personale, testimonianze che diventano una scusa per il proprio piccolo momento di protagonismo e “profezie” che diventano lo scudo per cose che non si oserebbe mai dire in faccia. La volontà di Dio è invece di riportare tutto sotto l’autorità di Cristo (Efesini 1:10) e di poterla esprimere qui sulla terra attraverso i suoi ambasciatori (2° Corinzi 5:10).
Siccome noi siamo stati formati nel peccato (Salmo 51:5) ed eravamo per natura figli d’ira come gli altri, ubbidienti alle voglie della carne e dei nostri pensieri (Romani 2:3), abbiamo bisogno di essere aiutati a lasciare la vecchia mentalità del mondo per acquisirne una nuova: quella del regno di Dio. Questa è la ragione per cui Gesù disse: “Andate dunque e fate discepoli di tutti i popoli… insegnando loro di osservare tutte le cose che vi ho comandato” (Matteo 28:19-20). Agli undici apostoli diede il mandato di insegnare a mettere in pratica. È ancora questo il motivo per cui il Signore ha donato alla chiesa i Suoi ministri: l’obiettivo è il raggiungimento della piena conoscenza di Cristo e la maturità spirituale del credente, fino alla statura perfetta di Gesù (Efesini 4:13).
Non si può allora negare che l’impresa di un ministro è ardua anche perché egli dovrà rendere conto al Signore del suo operato. La Scrittura ordina di aiutare i pastori a compiere il loro lavoro con allegrezza e sollievo perché il contrario sarebbe dannoso per la crescita del gregge, e aggiunge che gli strumenti più idonei per un efficace aiuto sono l’ubbidienza e la sottomissione (Ebrei 13:17). La ribellione, la continua messa in discussione, la polemicità e la critica non aiutano i pastori, i quali sono sottoposti alle pressioni che caratterizzano tutti gli esseri umani.
Fin dove?
Qual è il limite della sottomissione, allora? La linea di demarcazione è, e rimane, la parola di Dio. L’ubbidienza incondizionata è semplicemente un’assurdità perché in ultima analisi, l’individuo resta responsabile delle sue scelte davanti al Signore. Quando un leader chiedesse di fare cose chiaramente contrarie alla Scrittura, gli si deve sicuramente disobbedire. Ma è chiaro che l’ubbidienza non è questione di leggi da rispettare; è piuttosto un profondo atteggiamento del cuore, tant’è vero che la sottomissione viene richiesta non solo verso i responsabili, ma anche gli uni verso gli altri (Efesini 5:21).
Si è spesso sentito dire che usiamo imporre ai credenti il numero di figli da avere, l’automobile da comperare e così via. È ovvio che non è vero; ma se queste cose “naturali” dovessero creare impedimenti spirituali, allora ci sentiremmo autorizzati ad intervenire, perché è evidente che per il credente non esistono aree escluse dal governo di Dio. Come accade all’interno di una famiglia, discutiamo insieme ciò che più è utile per un miglior cammino spirituale, ammonendo i disordinati, confortando gli scoraggiati, sostenendo i deboli (1° Tessalonicesi 5:14).
Nella chiesa la legge non è però uguale per tutti perché abbiamo a che fare con persone e non con oggetti. Ciò che all’apparenza può sembrare identico, deriva a volte da situazioni completamente diverse. I pastori debbono vegliare più sulle cause che non sugli effetti. Un’identica manifestazione di insubordinazione in due credenti diversi può derivare da cause assolutamente differenti; l’uno può essere davvero ribelle, mentre l’altro è in un duro momento di scoraggiamento. Ed è questo il motivo per cui non si può applicare ad entrambi la stessa disciplina. La disciplina è parte integrante dell’amore di Dio per noi suoi figli come strumento per farci partecipi della Sua santità (Ebrei 12:5-10). I fratelli sono un bene prezioso e più sono cresciuti alla scuola del Signore, più saranno per noi un valido aiuto, lo strumento che Dio stesso ha scelto per la nostra maturazione spirituale: “il ferro forbisce il ferro, così un uomo ne forbisce un altro” (Proverbi 27:17).
“Non disprezzare la disciplina del Signore” è l’esortazione dello scrittore della lettera agli Ebrei. E il Signore esercita la sua correzione certamente attraverso le circostanze, ma soprattutto per mezzo dei fratelli che sono in autorità, perché l’autorità ha la sua radice direttamente in Dio (Romani 13:1-2), il quale tratta con molta severità coloro che la disprezzano (2° Pietro 2:10). Onorare dunque chi Dio ha costituito è alla fine onorare il Signore e le decisioni che Egli ha preso.
Veniamo al dunque
Come possiamo praticamente portare onore ai nostri pastori? Quali sono i nostri doveri?
- Pregare per loro, sostenendoli nella battaglia spirituale che quotidianamente devono affrontare: “Esorto … che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti… per tutti quelli che sono costituiti in autorità … Questo è buono e gradito davanti a Dio, nostro Salvatore” (1° Timoteo 2:1-3). Dunque un incessante stare davanti al trono di Dio perché le nostre guide siano sempre più colmate di saggezza divina. La storia insegna e l’esperienza dimostra che, come l’eliminazione dei leaders porta automaticamente allo smembramento dei movimenti politici o sociali, così la strategia di distruzione che il diavolo attua passa molto spesso attraverso il tentativo di colpire i capi della chiesa. Possono insorgere gravi difficoltà nei rapporti coniugali e familiari in genere, pesanti pressioni economiche, cedimenti all’orgoglio spirituale ed altre simili situazioni.
I pastori, proprio perché più in evidenza di altri e a causa dei loro rapporti più stretti con i credenti, sono più esposti alla seduzione del culto della personalità e alle tentazioni di tipo sessuale (storie nostrane e notizie d’oltreoceano lo confermano purtroppo!). Intercediamo per loro con forza perché la protezione di Dio sia sempre su di loro. E impariamo anche, come ci insegna qui la Parola, a innalzare a Dio i nostri ringraziamenti per loro, per ciò che ci danno, per ciò che sono, per ciò che il Signore farà di loro e con loro ricordando che l’ingratitudine (cioè l’incapacità di ringraziare) è uno dei segni che caratterizzano gli uomini degli ultimi giorni (2° Timoteo 3:2).
- Lasciarci servire da loro in modo tale da avere il miglior beneficio dal loro ministero. Pietro fece fatica ad accettare di avere i piedi lavati da Gesù perché era sicuramente umiliante, ma Gesù gli fece notare quanto fosse indispensabile per il Suo Regno (Giovanni 13:8). Le pecore riconoscono la voce del pastore e lo seguono. Egli conosce i bisogni di ciascun individuo del suo gregge e, seguendo l’esempio di Gesù il nostro Buon Pastore, lavora ad individuare nuovi pascoli perché abbiano la vita e l’abbiano sovrabbondante (Giovanni 10:1-10).
Perché questo sia reso possibile, sono necessarie trasparenza e onestà nei rapporti senza mascherarsi dietro alla falsa modestia o alla religiosità: anche le pecore devono conoscere il pastore (Giovanni 10:14). Dobbiamo esprimere esattamente ciò che siamo, in modo tale da permettere un intervento più finalizzato. Così come si fa con un padre, impariamo a dire i nostri problemi, le nostre ansie, le nostre perplessità ai pastori che Dio ci ha dato (o a chi essi hanno delegato), trovando insieme la cura più efficace. E impariamo anche a condividere con loro le nostre gioie e i nostri successi perché anch’essi ne abbiano beneficio.
- Servire loro. La Scrittura è piena di esempi di grandi uomini di Dio che hanno iniziato la loro carriera spirituale servendo altri servi di Dio. La pratica, il vedere come fanno i nostri padri, è la miglior scuola biblica. Come dicevamo prima, Gesù diede ordine ai suoi apostoli di insegnare ai discepoli a mettere in pratica le cose che avevano visto fare da Lui.
Questo è anche l’orientamento di Paolo quando a Timoteo dice di trovare altri uomini fedeli ai quali insegnare le cose che aveva imparato da lui (2° Timoteo 2:2). Timoteo aveva imparato a servire Paolo come un figlio serve il padre (Filippesi 2:22). Filemone (o in sua vece, Onesimo) avrebbe dovuto servire Paolo in prigione (Filemone 13). Anche Samuele serviva il Signore essendo sempre a disposizione di Eli: “Eccomi, poiché tu mi hai chiamato” (1° Samuele 3:4-8); Giosuè era il servitore (“ministro”) di Mosè ed a lui Dio diede il comando del popolo (Esodo 24:13).
Il servizio, con l’insegnamento di umiltà che ha in sé, precede sempre la gloria; la Parola afferma infatti più volte che solo chi si abbassa sarà innalzato. C’è stato un tempo in cui gli apostoli avevano deciso di non servire più alle mense, ma di dedicarsi alla preghiera e alla predicazione (Atti 6:2-4) non certo per amore della gloria, ma per compiere meglio il compito che Dio aveva loro assegnato.
Troppe volte i pastori sono imbrigliati da cose quali l’amministrazione, la manutenzione del locale e le pratiche burocratiche. Quanta libertà di movimento avrebbero in più se fossero sollevati dalle faccende che devono in genere sbrigare da soli! E quanta presunzione in meno ci sarebbe in molti credenti se comprendessero cosa significa gestire la vita di una chiesa!
Aiutiamoli dunque ad avere più tempo per il ministero! Non lasciamoci condizionare dalla mentalità di questo mondo che ci insegna solo a pretendere senza nulla dare. Se vogliamo dei benefici spirituali offriamo i nostri servigi materiali! Offriamoci di imbiancare loro la casa, di lavare loro la macchina, di curare il loro giardino e così via. Voi sorelle che siete libere durante la giornata, andate ad aiutare la moglie del pastore a servire a tavola i numerosi ospiti che spesso hanno, andate ad aiutare in cucina a lavare i piatti a rassettare la loro casa!
“Qualunque cosa facciate (quelle che ci piacciono e quelle che ci dispiacciono), fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini, sapendo che dal Signore riceverete per ricompensa l’eredità. Servite Cristo, il Signore!” (Colossesi 3:23-24).
E il contesto in cui il servire Cristo è posto parla di cose molto pratiche da fare gli uni agli altri. Questa è la vera diaconia, rivelatrice della reale posizione del tuo cuore! Ricorda che non è vergognoso servire gli altri e che solo nella misura in cui seminiamo raccoglieremo; e la Scrittura ci garantisce che il raccolto sarà traboccante. Siamo spesso legati alla cultura di questo mondo che ha suddiviso i lavori in umilianti e dignitosi, ma ciò che abbassa nel mondo innalza nel regno di Dio, dove i valori sono completamente ribaltati. E ricordiamoci che quando diciamo “regno di Dio” non stiamo parlando solo di una vita futura, ma anche di una realtà già esistente qui sulla terra. Il pastore ama le sue pecore e dà la sua vita per loro dal mattino alla sera; non fugge davanti a possibili lupi, ma piuttosto le difende strenuamente. L’amore per Dio, il vero proprietario del gregge, e l’amore per ogni singola pecora caratterizzano tutta la sua opera.